Concentrazione dell’offerta. Produzione accompagnata da forme di trasformazione e commercializzazione del prodotto. Pianificazione. Distintività e differenziazione dei prodotti made in Italy in un sistema di filiera aggregata. Un patto con il consumatore. Una maggiore presenza politica in Europa. Sono le strategie che sette fra i principali esperti del settore del latte in Italia, intervenuti alla tavola rotonda organizzata da Iz a Gonzaga, propongono di fronte alla situazione attuale del comparto.
Situazione che da una parte registra un boom del latte spot (il latte sfuso in cisterna commercializzato al di fuori di contratti annuali o di lunga durata) in Italia, passato dai 24,74 cent/litro della fine di aprile ai 36,60 cent/litro della fine di agosto (+48% nel giro di 4 mesi secondo la Borsa di riferimento nazionale di Lodi). E che, dall’altra parte, vede un prezzo del latte alla stalla che si mantiene stabile da tre mesi a questa parte sui 30,63 euro/100 kg in base ai dati del Milk Market Observatory della Ue.
La tavola rotonda nell’ambito della quale gli esperti hanno potuto commentare la situazione attuale del latte, e illustrare ciascuno la propria idea di strategia, è stata organizzata il 10 settembre scorso alla Fiera Millenaria di Gonzaga (Mn) dalla rivista Informatore Zootecnico e da Nova Agricoltura, con la collaborazione degli sponsor Sgariboldi, Tdm e Nutriservice. Il titolo dell’evento era «Quale redditività per la produzione del latte – I surplus produttivi del post quote latte, la questione del prezzo alla stalla, la concorrenza del latte estero, il rapporto allevatori-industrie. Le prospettive nel breve e nel medio termine».
Ma andiamo per ordine e vediamo quali sono state le fotografie del settore presentate dagli esperti e le soluzioni che hanno proposto per risolvere il problema della convenienza della produzione del latte per un imprenditore zootecnico.
Ettore Prandini (Coldiretti): no alla frammentazione
Secondo Ettore Prandini, presidente di Coldiretti Lombardia, in questi ultimi anni stiamo vivendo due grandi difficoltà: «Anzitutto, una difficoltà nel comunicare cosa sia il latte e l’importanza di una corretta alimentazione. Ultimamente il latte è stato demonizzato a tal punto che nel nostro Paese abbiamo avuto una riduzione significativa del consumo del latte fresco e dei derivati del latte. Tornare a fare una comunicazione corretta nei confronti delle nuove generazioni sugli aspetti nutrizionali fondamentali di una giusta alimentazione riteniamo sia uno degli elementi strategici che dovrà essere al più presto approntato in modo organizzato».
La seconda difficoltà citata da Prandini riguarda il modo in cui ci si muove come sistema Paese. «Siamo molto disgregati – ha affermato il presidente di Coldiretti Lombardia – e non riusciamo a concentrare l’offerta. La nostra sfida dei prossimi anni consiste nell’arrivare a forme di trasformazione e soprattutto di commercializzazione del prodotto, in alcuni casi cercando di farlo anche con soggetti che sono già organizzati sul mercato. Solo così potremo tornare a dare una possibilità di redditività alle nostre imprese. Se guardiamo infatti all’andamento del mercato in questi anni, le difficoltà non hanno toccato quei soggetti impegnati a fare trasformazione e commercializzazione del prodotto. Se prendiamo a riferimento gli utili netti dell’anno scorso, vediamo come, nel peggiore dei casi, questi si siano attestati sullo stesso livello del 2014, mentre, nella maggior parte dei casi, l’utile netto sia aumentato».
Quanto al sistema di contingentamento produttivo, Prandini, pur salutando positivamente l’iniziativa del ministero volta a ridurre la produzione e basata su risorse comunitarie per intervenire a sostegno di chi ridurrà la produzione, ha commentato: «Un sistema di contingentamento produttivo che ci permetteva di giocare una partita diversa rispetto ad altri stati membri, noi lo avevamo già. E la partita era quella della distintività e della qualità della produzione. Oggi, invece, l’unico elemento che viene tenuto in considerazione è il dato produttivo, che di fatto porta a premiare chi produce di più, ignorando gli aspetti qualitativi del prodotto».
E con una sorta di autocritica, Prandini ha citato anche l’internazionalizzazione: «Come è possibile che se andiamo in Cina ci muoviamo ancora in alcuni casi con grande frammentazione, come provincia, comune, regione, camera di commercio? Ci dovremmo muovere come Italia, ovvero come soggetto unico che fa strategia sull’internazionalizzazione».
Ha dunque concluso il presidente di Coldiretti Lombardia: «Anche sfidando le altre organizzazioni di rappresentanza, sostengo che abbiamo avuto un sistema che ci ha fatto crescere, che è il Sistema allevatori (l’Aia, le Ara, le Apa - ndr). Non riesco a capire perché si faccia una lotta nei confronti del sistema allevatori se rappresentato da uno piuttosto che dall’altro, invece di guardare al fatto se il sistema allevatori ovvero le associazioni allevatori servono alla nostre imprese agricole oppure no».
Germano Pè (Aral): raggiungere il consumatore
Pur concordando con l’idea di Prandini di fare massa critica e lavorare nei confronti del mondo industriale, per Germano Pè, presidente di Aral Lombardia, la strategia è quella di raggiungere direttamente il consumatore: «Quando il mercato crolla detenere la materia prima non è facile. Io ritengo fondamentale arrivare fino al consumatore. Abbiamo la fortuna di avere delle Dop – penso anzitutto a Grana Padano e Parmigiano Reggiano – che hanno consentito agli allevatori che conferivano loro il latte di superare anche i momenti di grande difficoltà. Sappiamo che il latte e soprattutto i suoi derivati provenienti dalla Germania, dalla Francia, dall’Olanda e da altri Paesi esteri non sono come i nostri. E mi chiedo: se abituiamo il consumatore a certi tipi di prodotti – importati, appunto -, quanti di questi consumatori torneranno poi a consumare prodotti nobili? Dalla mia esperienza non ho mai visto un allevatore che ha cessato di produrre per poi riprendere».
Aral Lombardia controlla circa il 90% del latte nella regione, 44 milioni di q di latte e 400mila bovini, conta 4mila aziende associate e un laboratorio accreditato che fa 20mila campioni al giorno, con 80mila analisi in uscita quotidianamente. «Questo nostro lavoro – ha sottolineato Pè - ha portato molti benefici per l’allevatore; per esempio questi può così conoscere velocemente e sistematicamente la propria situazione e la propria realtà in azienda, uno indiretto per il consumatore».
Pè ha concluso lanciando una provocazione: «Io presiedo anche una cooperativa di vendita latte con fatturato di circa 60 milioni di euro che detiene il 6% delle azioni della centrale latte di Brescia. Se penso a quello che faceva mio nonno, morto nel 1942, che con 20 vacche preparava il suo carretto di stracchini e li andava a vendere, mi chiedo: da quanti anni non nasce una cooperativa di trasformazione che vende anche il prodotto?».
Gianpiero Calzolari (Granarolo): paghiamo il latte più di altri
Tenere sotto controllo la pianificazione e i consumi è la strategia su cui puntare per garantire la redditività per i produttori di latte secondo Gianpiero Calzolari, presidente del Gruppo Granarolo, che al convegno di Gonzaga ha detto: «Per essere imprenditori evoluti che fanno parte di una filiera, indipendentemente dal fatto se siamo nel settore della produzione, della trasformazione o della distribuzione, abbiamo bisogno di tenere sotto controllo la produzione e i consumi».
E riferendosi al problema della comunicazione citato da Prandini, Calzolari ha mosso un passo indietro descrivendo anche la propria esperienza: «A luglio il latte fresco ha subito un calo dei consumi del 7% a livello nazionale. Stiamo parlando di un prodotto che in cinque anni ha perso 320mila tonnellate di consumi. Questo è accaduto anche per una ragione di cattiva informazione. Come molti sanno, il nostro gruppo ha compensato il minor fatturato di latte con l’equivalente di prodotti vegetali. Quindi, se da un lato abbiamo registrato un trend molto negativo, dall’altro abbiamo comparti nuovi che registrano una crescita a doppia cifra. Tutto ciò per dire che è fondamentale rafforzare il rapporto con il consumatore attraverso una buona comunicazione e un presidio della marca. Se lasciamo tutto - anche il prezzo - in mano alla Gdo, perdiamo un fattore distintivo che invece la marca sostiene».
Resta poi da fare qualcos’altro di importante. «Serve – ha aggiunto Calzolari - individuare ciò di cui necessita il mondo agricolo e produttivo e puntare su quello, alleggerendo dal punto di vista del costo questo sistema barocco. Parlando di cooperazione, poi, mi vien da dire che abbiamo ancora poca cooperazione e troppe cooperative. Dobbiamo essere un sistema allevatori che punta a premiare l’allevatore».
E se vogliamo andare a vendere all’estero «dobbiamo puntare su tre elementi di grande appeal. Primo, avere una dimensione adeguata. Secondo, saper interpretare i nuovi consumatori, che non sono più quelli tradizionali. Terzo, giocare sul libero scambio: oltre alle promozioni bisogna fare in modo che ci siano aperture di spazi commerciali reali».
Sul tema specifico della redditività, il presidente di Granarolo ha commentato: «Noi siamo una cooperativa, la cui mission è la valorizzazione del prodotto. Questo è fondamentale in una situazione complicata come quella attuale: il mercato globale è un’opportunità ma è difficile da praticare, ci vuole gente capace. Noi dirigenti dobbiamo essere bravi a fare bilancio pagando il più possibile il latte».
Il riferimento è proprio all’esperienza di Granarolo: «Noi paghiamo il latte più degli altri, paghiamo il costo del lavoro come va pagato – perché abbiamo il primo contratto integrativo di lavoro firmato a livello nazionale -, paghiamo gli utili, perché la cooperativa ha scelto di utilizzare la formula “spa” e quindi di pagare le tasse, rinunciando integralmente ai benefici fiscali del mondo cooperativo. Anche se raccogliamo 16-17mila quintali di latte al giorno, abbiamo richieste in particolare in Lombardia da persone che vorrebbero diventare socie del nostro gruppo, ma non basta perché siamo il 5-6% del latte».
Secondo Calzolari la sfida è chiara: «Abbiamo messo sul piatto uno strumento che è l’interprofessione: ci vogliamo lavorare? Vogliamo chiuderci dentro a una stanza e restare lì finché non troviamo una soluzione? Se il problema c’è e le opportunità ci sono, vogliamo fare un piano poliennale strategico del latte in Italia? La speculazione che si fa sul burro è un colpo di fortuna, ma può giocare anche alla rovescia la prossima volta. Il miglioramento delle condizioni di prezzo non hanno niente a che fare con alcun nostro merito».
E l’esperienza del gruppo Granarolo si estende anche all’export: «L’anno scorso sui banchi di una grande catena distributiva di San Francisco abbiamo trovato una (sola) confezione di Parmigiano Reggiano a 50 dollari al chilo. Ma se vogliamo andare nel mondo, dobbiamo portare non una confezione, ma centinaia di confezioni, e farle pagare a 23-24 dollari al chilo, non 50. Noi abbiamo fatto una scelta: abbiamo comprato il mercato in Francia, in Svezia, in Svizzera: solo se hai il tuo presidio puoi fare la tua politica».
Paolo Carra (Virgilio): rapportarsi con l’agricoltura
La distintività e la differenziazione dei prodotti made in Italy in un sistema di filiera aggregata è la strategia che considera vincente Paolo Carra, presidente del Consorzio Virgilio.
«A maggio il latte non trovava una collocazione sul mercato – ha spiegato Carra – e non si avevano nemmeno dati concreti sulla quantità della produzione di latte dei vari Paesi europei. Tre mesi dopo ci troviamo di fronte ad una situazione totalmente invertita. Tre, quattro grandi aziende europee hanno messo in ammasso una certa quantità di burro il cui valore è più che raddoppiato nel giro di due/tre mesi. Oggi fare impresa in queste condizioni è difficilissimo e quando si lavora in un contesto in cui tutte le protezioni vengono meno, le aziende hanno delle grandi opportunità, ma corrono anche degli enormi rischi. Al momento non abbiamo la capacità né economica, né finanziaria, né patrimoniale per sopportarli».
La soluzione? «Dobbiamo portare molta attenzione a ciò che succede nel mondo avendo però i piedi nel nostro Paese» ha risposto il presidente del Consorzio Virgilio. «Grandissima parte dei Paesi europei stanno seguendo un percorso di differenziazione del latte dove quello che interessa non è mungere, ma monetizzare, dopodiché il percorso è finito. L’Italia, per tradizione, storie e cultura e tipologia di produzione è totalmente diversa: circa il 45% del latte va all’interno delle Dop che hanno trovato uno strumento di protezione non dal mercato europeo, ma dal proprio mercato interno».
Esiste dunque oggi una ricetta in grado di fornire una prospettiva solida alle aziende? «Di certo – ha affermato Carra - oggi abbiamo due certezze. Primo, in questo momento c’è una fortissima ristrutturazione del sistema - e mi riferisco al trend di concentrazione del latte all’interno sia delle aziende che dei territori. Secondo, oggi non possiamo più pensare che il settore lattiero-caseario possa restare disgiunto da altri settori agricoli. Nella fattispecie penso al legame che esiste tra produttori lattiero-caseari e cerealicoltori, che condividono un forte legame col territorio. Oggi quello che ci contraddistingue è la vendita di un brand, che è il “made in Italy”. Dunque per dare una prospettiva solida alle aziende vanno creati in legame col territorio e un patto di filiera».
Ma non è finita qui. Secondo Carra un altro patto importante va costruito con il consumatore: «Avere una grande massa critica con le grandi catene e i grandi commercianti di latte a volte può mettere in una situazione di difficoltà. Ed è vero, oggi le catene decidono, ma chi decide prima di loro è il consumatore. Quindi, o il consumatore è indotto a scegliere il nostro prodotto sullo scaffale oppure le catene sono libere di fare quello che hanno fatto fino ad oggi».
Marco Ottolini (Aop Latte Italia): aggregazione
Aggregare e concentrare l’offerta è la soluzione proposta da Marco Ottolini, direttore di Aop Latte Italia. Che ha interpretato l’altalena del mercato europeo puntando il dito sulla concentrazione dell’offerta in un determinato periodo. Ha spiegato Ottolini: «Da gennaio a maggio 2015 abbiamo prodotto il 5% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Quest’anno chiuderemo a 113 milioni di quintali di latte prodotto rispetto ai 110-111 milioni dell’anno scorso. Ma non è stato l’aumento della produzione ad aver sballato il mercato a livello europeo. La causa va ricercata nella concentrazione in quei pochi mesi. Il mercato libero purtroppo prevede queste situazioni. Soprattutto per il latte, per cui non si può improvvisare, ma che è stato frutto di decisioni prese l’anno precedente».
Quale può essere la soluzione dunque? «Oggi – ha risposto Ottolini - dobbiamo aumentare la concentrazione sia da parte degli allevatori (magari entrando in cooperative siano esse di trasformazione, siano di commercializzazione), sia da parte delle cooperative stesse, che a loro volta devono diventare più grandi per riuscire a navigare sempre meglio sul mercato europeo se non mondiale».
Proprio Aop Latte Italia ha iniziato un percorso un anno fa per cercare di aggregare e concentrare il più possibile l’offerta. «E in questi giorni entrerà nell’associazione un’altra Op, che è la Plac di Dosimo Cremonese (Cr), presieduta da Cesare Baldrighi (presidente anche del Consorzio del Grana Padano, ndr)».
Ma se il discorso vale per le cooperative, vale anche per gli allevatori. «Il mercato senza quote latte ha bisogno di essere organizzato e concentrato per riuscire a soddisfare una richiesta da parte dell’industria (sia essa in formula cooperativa, sia essa in formula privata), che a sua volta chiede una flessibilità. Ci sono dei momenti in cui arrivano ordini che non si è in grado di soddisfare. Quindi dall’altra parte bisogna avere un sistema produttivo che sia reattivo e che abbia la capacità di rispondere a queste richieste».
E l’uscita, il 9 di settembre, delle misure per il contenimento dell’offerta da parte dell’Ue, Ottolini le ha commentate così: «Per quanto riguarda il nostro Paese, dobbiamo fare in modo che questo discorso di riduzione dell’offerta (dato che sono previste più date di entrata ovvero la possibilità di ridurre in diversi trimestri nel corso dell’anno) si concentri nel trimestre che per noi sarà più ostico. Da qui alla fine dell’anno problemi per il latte non ne prevediamo (si registra una produzione del latte che è più bassa della domanda, quindi il prezzo del latte salirà). Il problema che potrebbe presentarsi (oggi l’allevatore ha vacche gravide che partoriranno a ottobre-dicembre) sarà da gennaio a marzo. In questi mesi dovremo fare in modo che non si verifichi ancora un aumento di produzione del 5-6%».
L’invito del direttore di Aop Latte Italia è di «incontrarsi e confrontarsi più frequentemente per parlare del settore lattiero-caseario. Sono 15 o 20 anni che non mettiamo in campo un progetto che valga per tutto il settore. Approfittiamo della fine delle quote latte per ristrutturare un settore che sappia far fronte alle crisi che nel mercato potranno presentarsi, per essere pronti».
Lasagna (Confagricoltura): politica italiana assente
Sempre all’incontro di Gonzaga, il presidente di Confagricoltura Lombardia Matteo Lasagna si è chiesto cosa sia successo al comparto: «Perché fino a due mesi fa sembrava che fosse meglio buttare via il latte a 20 centesimi piuttosto che ritirarlo, mentre oggi abbiamo un bisogno estremo di latte? È successo un fatto semplice: sul mercato ci sono meno polvere e meno burro. Perché? I Paesi europei hanno cominciato a produrre un po’ meno per via di congiunture internazionali in mercati come l’India e la Cina. A giugno di quest’anno, l’Olanda è passata dal +10,4% al +4,5%, la Germania e la Francia da un +1,5% a un -1,5%, l’Irlanda si aggira sul trend dell’Olanda».
E concordando su quanto è stato affermato dai precedenti relatori sul tema della programmazione, il presidente di Confagricoltura Lombardia ha aggiunto: «Lunedì (il 12 settembre, ndr) come Confagricoltura chiederemo la convocazione del tavolo ministeriale, il cosiddetto Tavolo Latte. A questo tavolo chiederemo una maggiore aggregazione di unità d’intenti, una programmazione seria e una riflessione su come poter internazionalizzare meglio la nostra produzione. Se non cominciamo a ragionare tra la parte produttiva, la parte di trasformazione e soprattutto la parte distributiva, non riusciremo a fare sistema. E intanto altri continuano a fare sistema meglio di noi. Guardiamo solo alla Nuova Zelanda che in una condizione molto più piccola e vantaggiosa produce il 4% di prodotto lattiero-caseario e controlla una quota di mercato del 23%. Noi in Europa produciamo il 29% e controlliamo una quota di mercato pari a quella della Nuova Zelanda».
Per quanto riguarda invece il settore prettamente produttivo, Lasagna si è detto molto critico: «Se non si impone una chiara volontà politica italiana nell’affermare che quello agricolo è un settore strategico, faremo il doppio più fatica. Da una parte abbiamo dismesso le quote latte, dall’altra stiamo inducendo l’Europa a spendere milioni e milioni di euro dei contribuenti europei per contenere la produzione».
Da condannare anche il fatto che, all’interno delle decisioni comunitarie, l’Italia sconta una “non-presenza” politica all’interno di queste decisioni. Ancora Lasagna: «Saranno a disposizione 150 milioni di euro che funzionano come il “click day”. Vale a dire, il giorno in cui dichiaro che per il prossimo trimestre calerò la mia produzione e mi verranno dati i 14 centesimi al litro, procedo con il click day. Ma se qualcuno sarà più veloce di me, non riceverò quei soldi. Noi dichiareremo di poter calare la produzione, altri Paesi l’hanno già fatto e sono nella condizione di poter ricevere il contributo. Da questo punto di vista in Europa dobbiamo farci sentire di più».
Due auspici ben diversi hanno concluso l’intervento del presidente di Confagricoltura Lombardia: «Sui nitrati gli allevatori hanno lasciato molti soldi: servirebbe un colpo di reni della Regione Lombardia in questo senso. E il futuro? Il sistema allevatoriale non ha mai avuto costi bassi di produzione come in questo momento, ma pensiamo cosa accadrebbe se avessimo una ripresa dal punto di vista cerealicolo. Io resto comunque fiducioso e credo che ce la si possa fare».
Azzoni (Regione Lombardia): l’opportunità Psr
Sul nodo centrale della redditività è tornato Andrea Azzoni, responsabile della struttura Agricoltura, foreste, caccia e pesca dell’Ufficio territoriale “Valpadana” della Regione Lombardia (Cremona e Mantova). «La Ue mette in campo misure estemporanee per intervenire sulla crisi del settore (vedi il centesimo sul litro o il premio sul contenimento della produzione). Ciò accade dopo aver ridotto drasticamente le misure di protezione dei mercati e dopo aver ridotto la Pac a qualcosa di più complesso che utile. Tutto ciò ha qualche influenza sul fatto che nel settore del latte è difficile rimanere in piedi».
Azzoni ha portato emblematicamente una fotografia della situazione delle aziende da latte a Cremona e a Mantova: «Negli ultimi dieci anni si sono ridotte del 50%, passando da circa 1.500 a poco più di 700 nel cremonese e da 2.300 a meno di 1.000 nel mantovano, anche se il patrimonio bovino è rimasto lo stesso (con un leggero calo negli ultimi anni). Certamente ciò è dovuto a un fenomeno di ristrutturazione del settore alla ricerca di economie di scala e di efficienza, ma non è tutto qui. Rischia di scomparire lentamente la famiglia coltivatrice. Paradossalmente, nelle pieghe della Pac, sono ricomparse misure - che probabilmente non saranno attivate per questa programmazione - che timidamente tornano ad incentivare la “piccola” azienda agricola. Quindi, da un lato, la programmazione europea ha spinto verso la concentrazione aziendale e l’aumento delle dimensioni, e, dall’altra, ci si è accorti che è con la piccola impresa che si garantisce il presidio ambientale e territoriale».
Non bisogna dimenticare poi che sulla redditività del latte incidono anche i temi ambientali e sanitari che investono l’azienda. Ha proseguito Azzoni: «Pensiamo anche solo al tema della normativa nitrati. Purtroppo ha inciso anche il ritardo delle programmazioni, incluso il Psr che la Commissione ha approvato con un anno e mezzo di ritardo, costringendo la Regione ad una impegnativa rincorsa per l’attivazione delle misure (quasi 700 milioni di euro in un anno e mezzo). A tutto ciò si aggiunge il ritardo nell’attivazione dei programmi operativi nazionali e la sostanziale inefficacia del pacchetto latte, poi è confluito nell’Ocm».
«Ora, il ruolo della Regione Lombardia si esprime attraverso la gestione di diversi strumenti che traducono gli indirizzi del governo Regionale, in particolare orientando la destinazione dei finanziamenti del secondo Pilastro al settore agricolo tramite le misure (13 misure e 59 operazioni) del suo Psr».
Questo si traduce in misure che intercettano il livello aziendale (le misure che rilasciano contributi per il miglioramento del capitale fisico e umano, l’innovazione e il ricambio generazionale) e in misure più “strutturali” che incontrano gli attori delle filiere (anche quella del latte). A questo proposito, Azzoni ha concluso citando la misura 16.10 di recente attivazione e riguardante i “progetti integrati di filiera”, con una dotazione complessiva di 154 milioni di euro, in cui la regione Lombardia ha ricompreso la misura del finanziamento all’agroindustria integrandola con altre misure che investono la filiera tutta. «Attivando questa misura – ha detto Azzoni - di fatto si può attingere a un intero pacchetto di misure a sostegno di progetti che hanno lo scopo di sostenere l’aggregazione della filiera (progetti da 3 a 30 milioni di euro). Si tratta di un tentativo volto a far sì che su progetti importanti e innovativi e di lungo termine tutti i soggetti della filiera vengano coinvolti su uno o più obiettivi in comune, migliorando nel contempo il sistema delle relazioni e favorendo l’aggregazione».
L’articolo completo di tabella e grafici è pubblicato su Informatore Zootecnico n. 16/2016
L’edicola di Informatore Zootecnico