Al pari di tutti i settori dell’agricoltura, anche la fienagione si sta evolvendo. E, per alcuni aspetti, si adegua agli standard dell’Europa centrale e settentrionale, sebbene le condizioni climatiche e le caratteristiche aziendali di quei paesi siano lontane anni luce dalle nostre. Lo fa, per esempio, ricorrendo con maggior frequenza all’insilamento dei foraggi in luogo dell’essiccamento, ma anche aumentando dimensione e prestazioni delle macchine per il taglio e la pressatura, oppure rivolgendosi con maggior frequenza ai professionisti della meccanica, laddove è tradizione che l’allevatore italiano raccolga da solo i propri foraggi.
Per cercare di capire che strada sta prendendo questa realtà, importantissima per il buon funzionamento delle stalle e la qualità del latte, abbiamo interpellato Carlo Bisaglia, primo ricercatore del Crea-Ing di Treviglio (Unità di ricerca per l’ingegneria agraria), un ente statale che cura lo sviluppo di tecnologie e metodiche inerenti l’ingegneria agraria.
Le differenze con l’Europa
Da sempre Bisaglia è particolarmente attento al settore zootecnico ed è anche un appassionato osservatore dell’agricoltura continentale. Ovvio quindi iniziare la nostra chiacchierata chiedendogli un parallelo tra le tecniche di fienagione tipiche del nostro paese e quelle più in voga nel continente. «La foraggicoltura italiana si è da sempre caratterizzata per alcune peculiarità – risponde Bisaglia -. In primo luogo, l’impiego preponderante di macchine di proprietà: quasi tutti gli allevatori hanno trattore, falciatrice, andanatrice e una pressa. Secondariamente, e in conseguenza di quanto appena detto, come anche della dimensione media della stalla italiana, in Italia si usano in media attrezzi più piccoli rispetto a quanto avviene in Germania, Francia o Olanda. Infine, ed è forse l’aspetto più caratterizzante, da noi si produce soprattutto fieno, mentre al di là delle Alpi, per evidenti limiti climatici, ci si orienta sugli insilati».
L’insilaggio, parliamo ovviamente di erba e non di mais, sta tuttavia facendo capolino anche dalle nostre parti, quantomeno per far fronte alle stagioni irregolari che hanno caratterizzato gli anni più recenti. Andiamo quindi verso una soluzione “all’europea”?
«È vero: anche in Italia sta prendendo piede l'abitudine di fare insilati, soprattutto sul primo e ultimo taglio. Si adotta questa soluzione perché le code della fienagione sono caratterizzate da instabilità atmosferica e spesso è troppo rischioso portare il fieno a essiccamento. Anche in questo caso, comunque, l’Italia si distingue dall’Europa, in quanto preferisce le balle fasciate – più precisamente le rotoballe – alla trincea. Lo fa sia per sfruttare la maggior versatilità di questa soluzione, sia per scarsa disponibilità di trincee fisse e, aspetto non trascurabile, per le caratteristiche dei terreni. Nel Nord Europa – penso soprattutto all’Olanda – vi sono terreni su cui si può fare quasi esclusivamente prato. Avendo una così vasta superficie da gestire e non potendo ricorrere all’essiccamento, le stalle si sono dotate di trincee fisse e attrezzature di grandi dimensioni. Da noi, per capirci, è difficile vedere una falciatrice da 9 metri o un andanatore da 12, attrezzi invece piuttosto comuni su al Nord. In questo senso, Eima (Esposizione internazionale di macchine per l’agricoltura e il giardinaggio), che si terrà a Bologna dal 9 al 13 novembre, è un’ottima cartina di tornasole: la differenza di dimensione tra le macchine esposte a Bologna e quelle che si possono vedere, per esempio, ad Hannover, è evidente».
Meglio essiccare o insilare?
Noi facciamo fieno, loro insilati. E questo è un dato di fatto. Chi sta meglio? In altre parole: potendosi permettere entrambi, meglio fare essiccamento o insilaggio? «Non ne farei tanto un discorso di tecniche di conservazione – afferma Bisaglia -, quanto di cosa portiamo alla conservazione. Mi spiego: la qualità del foraggio, soprattutto per certe varietà, è fortemente condizionata dall’epoca di taglio. Se la ritardiamo, la pianta perde proteine e aumenta la fibra: parliamo di un decadimento proteico dello 0,25% e di un incremento della fibra pari a circa lo 0,4% ogni giorno. Evidentemente, quindi, un taglio ritardato peggiora la qualità del foraggio. La scelta del momento per tagliare è tuttavia condizionata anche dalle condizioni climatiche: le prime due settimane di maggio – che mediamente sarebbero il periodo ideale per il primo taglio – sono le più piovose del mese, mentre le ultime due sono statisticamente più asciutte. Chi fa fieno, pertanto, tende a rimandare il raccolto da metà maggio in poi. In questo caso, è indubbio che se questi agricoltori invece di essiccare insilassero, avrebbero un prodotto di qualità molto migliore».
«Questo – aggiunge Carlo Bisaglia – in primo luogo perché insilando non si ha necessità di avere un prodotto perfettamente asciutto e, secondariamente, poiché, proprio per questo motivo, i tempi di permanenza sul terreno sono dimezzati. Parliamo di due giorni circa per l’insilato contro i quattro giorni abbondanti del fieno. È evidente che dimezzando la permanenza in campo dimezzo anche la probabilità di piogge e pertanto posso arrischiare un taglio in un periodo sì piovoso, ma che mi permette di portare a casa la pianta nel momento in cui è al meglio delle sue potenzialità. Anche per questo motivo, come dicevamo prima, in Italia si sta diffondendo l’insilaggio del primo taglio».
Al di là dei rischi meteorologici, ci sembra che esista anche una differenza sul decadimento proteico: restando per meno tempo in campo, la pianta perde meno proteine. «In realtà non è una differenza molto significativa. La perdita principale di proteine si ha infatti nelle prime cinque ore dopo il taglio, quando gli stomi non si sono ancora chiusi e la pianta è soggetta a una forte traspirazione. Tuttavia, anche il foraggio da insilare resta in campo cinque ore, anzi di più, ovviamente. Il fieno resta a terra più a lungo, senza dubbio, ma in una fase in cui la perdita proteica è molto ridotta. Per salvare – aggiunge il primo ricercatore del Cra-Ing – proteine dopo il taglio, è più utile allargare bene lo sfalcio, coprendo almeno il 70% della superficie del campo. In questo modo si favorisce la perdita di umidità con conseguente chiusura anticipata degli stomi».
La dimensione macchine conta?
Nel Nord Europa usano attrezzature più grandi, come abbiamo già ricordato. Sono senza dubbio più performanti, ma offrono anche un prodotto di qualità migliore? «No. In Italia abbiamo attrezzi più piccoli, ma assolutamente efficienti anche sotto l’aspetto qualitativo. In una pratica delicata come la fienagione, la qualità del lavoro umano conta anche più delle caratteristiche tecnologiche della macchina. Posso avere la miglior pressa del mercato, ma se raccolgo fieno tagliato in ritardo oppure bagnato dalla pioggia, avrò un prodotto di bassa qualità. Per questo motivo è importante curare i dettagli: tagliare al momento più opportuno, anche quando si avrebbero altre cose da fare, distribuire bene il prodotto in campo, come abbiamo appena visto, e poi prestare molta attenzione alle lavorazioni intermedie, per esempio regolando l’aggressività delle macchine rotanti in funzione del grado di appassimento. Infine, curare molto bene la raccolta».
Il ricorso ai contoterzisti
Una soluzione per usare macchine di ultima generazione pur non potendosele permettere è quella di ricorrere ai contoterzisti. Che ne pensa? «È una pratica piuttosto comune in Europa. Meno in Italia dove, come si diceva, l’allevatore preferisce fare da sé. Può farlo, ma a patto di sapere che la foraggicoltura non è un’attività secondaria né da praticare nei ritagli di tempo, se si vuol avere un buon prodotto. L’agromeccanico, al contrario, è un professionista che fa soltanto quel lavoro e che pertanto può dedicarsi, per due o tre giorni, esclusivamente ai foraggi dell’azienda in questione».
Sempre che non arrivi in ritardo, come talvolta accade, perché ha troppi clienti da gestire. «In realtà, più che accadere, accadeva. Ormai i contoterzisti sono ben consci dell’importanza di dare un servizio di qualità e si attrezzano con macchine e personale sufficienti a soddisfare tutti i clienti».
Il compattamento dei suoli
I suoli, nella moderna agricoltura, hanno un innegabile problema di compattamento. Usando macchine più grandi, non rischiamo di compattare ancora di più? «In linea di principio sì, tuttavia non dobbiamo dimenticare che, di pari passo con la tecnologia dei trattori, si è evoluta anche quella dei pneumatici, che oggi sono arrivati a livelli davvero elevati. In più i trattori più grandi cominciano a montare sistemi di telegonfiaggio che permettono di lavorare in campo con pressioni inferiori a un bar.
Sul compattamento, invece, farei bene attenzione all’asportazione delle balle: molto spesso, per mancanza di tempo, l’agricoltore le lascia in campo per diversi giorni e finisce col portarle via proprio quando le piante stanno ricacciando e sono più deboli. Un ritardo nella pulizia del campo può comportare perdite produttive anche del 6%, secondo alcuni studi statunitensi. Ancora una volta, quindi, più delle macchine contano le decisioni umane».
Pressa o rotopressa?
Concludiamo con l’eterno dilemma dell’allevatore: meglio la pressa o la rotopressa? «Tendenzialmente, le balle prismatiche sono utilizzate dalle grandi aziende o dai contoterzisti, mentre le stalle medio-piccole lavorano con la rotopressa. Che è comunque un attrezzo versatile, in grado di fare fieno, insilato e, quando serve, anche paglia. In teoria non possiamo dire che una è migliore dell’altra, ma che ciascuna è meglio in determinate situazioni. Per il fieno, per esempio, la rotopressa lascia la balla più soffice e permette quindi una miglior evaporazione di eventuale umidità residua. Al contrario, proprio per la sua alta densità, la pressa quadra è ideale per fare insilato. Parliamo in ogni caso di macchine molto efficienti, che hanno fatto grandi passi nella tecnologia di pressatura e legatura. Bisogna soltanto conoscere le differenze tra le due e intervenire di conseguenza. Per esempio, usando una pressa prismatica si deve fare attenzione a raccogliere il prodotto soltanto quando è ben secco. Le macchine sono importanti, ma, come ho detto, da sole non bastano».
L’articolo è pubblicato su Informatore Zootecnico n. 19/2016
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