Nell’allevamento della bovina da latte la selezione spinta ha comportato l’instaurarsi di un’associazione negativa fra il livello produttivo e la fertilità (Whitfield 2020). Ma se un grande passo in avanti per arginare il fenomeno dell’ipofertilità femminile è già stato impresso tramite l’introduzione di nuovi obiettivi di selezione e l’ottimizzazione del management aziendale (Crowe et al., 2018), l’obiettivo del pieno controllo dell’effetto del toro sull’efficienza riproduttiva è ancora lontano (Taylor et al., 2018).
Per quanto riguarda la componente maschile, esiste una relazione tra il numero di spermatozoi “funzionali” e la fertilità (Willett e Larson 1952). La fertilità della maggior parte dei tori utilizzati in fecondazione artificiale raggiunge un plateau seguendo una curva con un’inclinazione che è propria di ciascun animale (Pace et al. 1981). Le differenze tra le curve dei diversi animali sono dovute alle caratteristiche degli spermatozoi, i cui difetti che ne limitano la funzionalità possono essere compensabili o non compensabili.
Difetti non compensabili
I difetti compensabili, i cui effetti si manifestano prima della fecondazione, possono essere attenuati aumentando il numero di spermatozoi nella dose inseminante.
Diversamente, non sono compensabili quei difetti rispetto ai quali l’aumento del numero di spermatozoi non comporta alcun incremento della fertilità e i cui effetti negativi si manifesterebbero dopo la fecondazione, cioè durante lo sviluppo embrionale. Tra questi vi sono i difetti del materiale genetico (Amann e DeJarnette, 2012).
Ad oggi, il metodo più utilizzato per stimare la fertilità maschile è basato sul rilievo del successo della fecondazione dopo inseminazione artificiale ed opportune elaborazioni tramite complessi modelli matematici. Queste stime, per essere attendibili, richiedono un numero elevatissimo d’inseminazioni e diversi anni prima di essere disponibili. Per tale ragione, la ricerca ha cercato metodi alternativi per stimare la fertilità in maniera sempre più precoce.
La seminologia identifica i difetti dello spermatozoo come alterazioni della cinetica, struttura, materiale genetico e metabolismo, il cui rilievo, seppur indispensabile, non è purtroppo sempre risolutivo. E l’embriologia fornisce un supporto alla verifica della funzionalità spermatica attraverso la valutazione delle fasi di fecondazione in vitro con gli ovociti e successivo sviluppo embrionale.
In uno dei primi lavori svolti dall’Istituto Spallanzani alla ricerca di nuovi strumenti per la stima della fertilità in vitro, basandosi sulla supposizione che alcuni eventi che si verificano durante le primissime fasi d’interazione fra spermatozoo e ovocita possano avere ripercussioni sul tasso di sviluppo embrionale, e quindi sulla fertilità, è stato evidenziato che la velocità di penetrazione degli spermatozoi all’interno degli ovociti è caratteristica di ogni singolo toro, ma non è correlabile con la sua fertilità misurata in vivo (Puglisi et al., 2004).
Un secondo lavoro ha poi indagato una fase ancor più precoce della fecondazione confrontando più tori e valutando la capacità dei loro spermatozoi marcati con coloranti differenti (Figura 1) di legare la membrana esterna dell’ovocita (Figura 2) (Puglisi et al., 2010).
Le differenze rilevate hanno permesso di classificare i tori in due categorie di bassa e alta fertilità riproducendo, in parte, la classificazione risultante dai dati di fertilità stimata in vivo (Tabella 1).
Dalla Fondazione Mach. Ricercatori trentini, altoatesini e austriaci al lavoro per identificare i fattori biotici e abiotici che influiscono maggiormente sulla diversità microbica e faunistica nel suolo dei pascoli alpini. E per prevedere come queste comunità potrebbero essere influenzate dai cambiamenti climatici. Tutto questo nell’ambito del progetto Microvalu
In seguito, l’Istituto ha indagato le fasi successive alla fecondazione, cioè lo sviluppo embrionale. In questo caso il disegno sperimentale ha complicato non poco gli elementi in gioco, in quanto gli spermatozoi di diversi tori non sono più tracciabili dopo la loro penetrazione nell’ovocita.
Il risultato finale, ottenuto attraverso l’ausilio delle tecnologie di biologia molecolare che hanno consentito di risalire all’identità del padre a partire dall’embrione (Figura 3), ha consentito di identificare un parametro caratteristico dello spermatozoo di grande rilievo per quanto riguarda la capacità predittiva della fertilità, cioè il livello di frammentazione del DNA (Tabella 2) (Puglisi et al., 2016), confermando nel bovino alcune evidenze già emerse nell’uomo.
Successivamente alcuni filoni di ricerca svolti in Istituto hanno indagato aspetti innovativi per individuare potenziali marcatori precoci della fertilità identificandone alcuni promettenti tra alcune famiglie di proteine che compongono lo spermatozoo (Soggiu et al., 2013) e addirittura in mutazioni, definite polimorfismi di un singolo nucleotide (Puglisi et al., 2016), che disegnano, di fatto, una carta d’identità della fertilità da condividere con il mondo della ricerca al fine di raggiungere un traguardo comune.
Un passo indispensabile
Avere un quadro accurato della fertilità del materiale seminale rappresenta dunque un indispensabile passo verso il controllo dell’effetto del toro sull’efficienza riproduttiva, quale strumento per gli allevatori per individuare quei riproduttori che hanno tassi di gravidanza superiori alla media.
Questo significa aumentare il tasso di gravidanza e ridurre in numero di fecondazioni medio per bovina che si traduce in maggiore efficienza ed aumento dei margini di guadagno in azienda (Cabrera 2016).