
Qualsiasi consulente finanziario spiega, quando ci propone una strategia per i nostri risparmi, che si devono bilanciare investimenti più sicuri con altri aventi un rischio un po’ più alto, ma maggiori possibilità di guadagno. Il "portafoglio" zootecnico della famiglia Zerbini, se così possiamo chiamarlo, è composto esattamente in questo modo: metà stalla orientata a ottenere un reddito stabile, l’altra metà più soggetta alle fluttuazioni di mercato. Laddove con mercato si intende quello del latte, chiaramente.
Parmigiano di nicchia
La famiglia Zerbini abita a Fidenza, provincia di Parma. E dunque munge latte per la filiera del Parmigiano Reggiano. Ma non un Parmigiano qualunque. O meglio, non soltanto quello, come ci spiega Giuseppe, titolare dell’azienda assieme alla moglie Mara Dall’Aglio. “In pratica, abbiamo due stalle in una. La prima di frisone, l’altra di vacche reggiane, con cui facciamo latte per Parmigiano di Reggiana. Praticamente, una nicchia, essendo la Reggiana a rischio di estinzione”.
Prima di approfondire questo aspetto, sintetizziamo la storia di questa realtà, zootecnica da generazioni. Fondata dal nonno di Giuseppe, coltiva un fondo a Chiusa Ferranda, poco a nord di Fidenza, dal 1964.
“Mio nonno arrivò qui con otto vacche. Oggi ne abbiamo circa 700, di cui 320 in mungitura”, specifica l’allevatore. Nel frattempo, la superficie coltivata ha superato i 650 ettari. “Almeno 450 di questi, sono prati di medica, che è certamente la coltura più importante per noi. Siamo autosufficienti per le esigenze della stalla e nelle annate buone abbiamo anche una certa quantità di fieno da vendere”. Accanto alla medica, gli Zerbini seminano grano foraggero, girasole e mais. Da usare, ovviamente, come farina, essendo vietato l’impiego di insilati in area Parmigiano Reggiano.
Come convivere con l’argilla
Il Parmense, come noto, è zona di terre forti e l’area di Fidenza non fa certamente eccezione. “Abbiamo terreni altamente argillosi, che condizionano le lavorazioni. Per esempio, il taglio del maggengo è un problema, perché in primavera, spesso, va fatto sul bagnato”. Chi parla è Mattia Zerbini, figlio di Giuseppe e impegnato nell’azienda di famiglia assieme ai genitori e al fratello Alessandro.
Le difficoltà del lavoro su suoli argillosi sono legate alla facilità con cui si attaccano agli attrezzi, se non sono perfettamente in tempera. “Abbiamo provato le falciatrici a dischetti, ma ben presto il disco si riempie di terra e comincia a scavare il cotico, rovinandolo”. La soluzione, interviene il padre, è usare una barra di sfalcio a tamburi. “Siccome il fondo del tamburo ruota in modalità flottante, si muove senza danneggiare il terreno e soprattutto non si riempie di fango, per cui si può lavorare anche con il terreno un po’ bagnato”.
Zerbini e Bellon: cinquant’anni di partnership
Esattamente da 49 anni, le falciatrici dell’azienda sono fornite da Bellon, noto costruttore veneto ultra-specializzato in barre di sfalcio, con e senza condizionamento. “Cominciammo a lavorare con Lamberto, padre degli attuali titolari. Fin da subito – ricorda Giuseppe Zerbini – tra noi si è instaurato un rapporto di fiducia, poi diventato di amicizia. Bellon ci ha sempre assistiti, in tutto. Addirittura, aiutandoci a riparare vecchie falciatrici di altri fabbricanti, con pezzi di ricambio fatti su misura. Faccio fatica a contare quante delle loro barre abbiamo comprato. Prima da lui, poi dai figli e ormai dai nipoti”.
Nel raccontarci la storia di una relazione ormai ultradecennale, l’allevatore ci accompagna in giro per i ricoveri degli attrezzi, dove troviamo almeno quattro falciacondizionatrici rosso-gialle. Di varie misure, ma tutte accomunate da due caratteristiche: l’impiego in retroversa e la presenza dei tamburi e del condizionatore a rulli.

“I tamburi, come abbiamo spiegato, sono necessari per lavorare sui nostri terreni almeno fino a giugno. E se si vuole una falciacondizionatrice a tamburi è praticamente obbligatorio scegliere Bellon. È infatti rimasto l’unico, o quasi, a fabbricare, in Italia, le barre a tamburi di una certa dimensione. Detto questo, le ragioni del nostro rapporto con Bellon vanno ben al di là dei tamburi. Le loro macchine funzionano bene, sono affidabili ma anche leggere, per cui possiamo lavorare con trattori non enormi e ridurre il peso che andiamo a caricare sul terreno coltivato. Soprattutto, però, conta il rapporto con la famiglia. Come abbiamo detto – ripete Giuseppe – ormai siamo oltre la relazione d’affari. Inoltre, in caso di necessità ci sono sempre. Se abbiamo un problema, basta telefonare per avere il pezzo di ricambio consegnato nel giro di 24 ore”.
Gli acquisti, sottolineano gli allevatori parmensi, sono realizzati direttamente presso il costruttore. Le province di Reggio Emilia e in parte Parma, infatti, sono gestite direttamente da Bellon, in omaggio a una scelta fatta molti decenni fa dal fondatore.

Una macchina per l’estero
“Questi territori sono per noi importantissimi. Sia perché da essi proviene un’importante domanda di macchine, soprattutto a tamburo, sia perché mio nonno era particolarmente legato a essi”, ci dice Ilaria Vettore, responsabile commerciale e figlia di Daniela Bellon, che assieme al fratello Pierluigi guida l’azienda di famiglia.
Il grosso della produzione di barre a tamburi è tuttavia destinato all’export. “Ce ne chiedono molte in Messico, ma anche in altri paesi, Stati Uniti compresi. La maggior parte delle macchine a tamburi – spiega Ilaria Vettore – finisce fuori dai confini nazionali. In Italia, ormai, tutti cercano le testate a dischetti, soprattutto per la gestione dell’andana: mentre i tamburi lasciano l’erba piuttosto raggruppata, le falciatrici a dischi allargano molto l’andana, tanto che nei mesi più caldi rendono inutile il voltafieno”.
È proprio in quest’ottica che anche gli Zerbini hanno deciso di sperimentare una barra a dischi. Una Combi-D680 da 6,8 metri, per la precisione. “L’abbiamo presa per lavorare in estate, quando il terreno è ben asciutto. Anzi, spesso fin troppo secco”.
In questa situazione, ci spiega Mattia Zerbini, la testata a tamburi subisce colpi e vibrazioni e si usura rapidamente. O, in qualche caso, si rompe. “La barra a dischi, invece, resiste molto meglio ai colpi dovuti al terreno secco, per cui dovrebbe rendere più semplice il lavoro e ridurre i rischi di rottura”.
Il suo impiego, si affretta a precisare Giuseppe, sarà limitato ai mesi più caldi e ai climi asciutti. “Avevamo già preso, in passato, una barra a dischi, ma la vendemmo dopo poche stagioni. Sul bagnato, non c’è modo di lavorare. Chi la usa aspetta di avere le condizioni adatte per tagliare, ma quando si hanno più di 400 ettari, come accade a noi, non ci si può permettere di far passare giorni interi aspettando che il terreno asciughi. Per capirci, quando è il momento di imballare usciamo con undici rotopresse in contemporanea, per sfruttare quelle due ore scarse, al mattino, in cui è possibile pressare la medica senza danneggiare la foglia”.
Questo, precisa l’allevatore, accade soprattutto con i maggenghi, quando il raccolto è estremamente abbondante. In quel caso, l’azienda mette in campo anche quattro o cinque falciacondizionatrici in parallelo. “In estate, dal quarto taglio in poi, le cose cambiano. Il prodotto è molto più scarso e secca in fretta, per cui tagliamo in media una trentina di ettari al giorno. Per superfici di questo genere è sufficiente lavorare con una o due falciatrici, dunque la macchina a dischetti basterebbe quasi, da sola, a coprire tutto il lavoro”.

Salvaguardare il prodotto
Chiunque faccia medica o essenze simili, e ancor più se coltiva per la propria azienda, ha un’attenzione quasi maniacale per il rispetto sia della pianta tagliata, sia del cotico da cui dovrà rigettare il nuovo raccolto. “Abbiamo il brutto vizio di voler tagliare la medica ogni tre settimane”, scherza Giuseppe, giustificando così l’attenzione messa nel preservare terra e fieno.
La barra a tamburi con condizionatore a rulli, ci spiega, consente di ottenere entrambi i risultati. “Il tamburo non danneggia il terreno e ci permette di lavorare praticamente sempre, mentre il condizionatore a rulli non fa perdere foglia alla medica”.
Con l’ultimo acquisto fatto, gli Zerbini provano però ad andare anche oltre il condizionatore, come riferisce Mattia. “Siccome è una testata che useremo sempre in estate, l’abbiamo presa senza condizionatore. Visto che il prodotto non è abbondante e il clima è molto caldo, pensiamo che si possa seccare a sufficienza anche senza il passaggio tra i rulli. Facendo sfalcio non condizionato e nessun rivoltamento, dovremmo ottenere un prodotto di qualità molto buona”.
Anche la Combi-D680, come le falciatrici precedenti, è allestita per il lavoro in retroversa. “Iniziammo a usarle sul sollevatore posteriore, con guida invertita, alcuni decenni fa e da allora non abbiamo più cambiato. Il lavoro è molto più comodo. Il difficile è, se mai, trovare i trattori adatti”. Gli Zerbini usano macchine sui 200 cavalli. Alcuni Deutz e poi, naturalmente, Valtra, che ha nella reversibilità della guida quasi un marchio di fabbrica.

Passione reggiana
Abbiamo iniziato a raccontare la storia di quest’azienda spiegando la duplice attitudine della stalla, destinata per metà a Parmigiano moderno, se così si può dire, ma con anche 160 capi di razza Reggiana, che producono un formaggio due volte dop.
“Iniziammo ad allevare Reggiana nel 2016, essenzialmente per stabilizzare il prezzo del latte. Mentre quello convenzionale fluttua a seconda dell’andamento di mercato, infatti, il latte per un prodotto di nicchia come il Parmigiano di Reggiana ha una quotazione molto più stabile nel tempo”.
Il vantaggio non è tanto nel prezzo in sé, rimarca Giuseppe Zerbini, quanto, per l’appunto, nella scarsa sensibilità alle fluttuazioni di mercato. “Al momento attuale, per esempio, il latte di Reggiana non è remunerativo: lo cediamo a circa 1,2 euro al litro contro l’euro del latte comune, a fronte di una produzione per capo di 20 litri circa contro i 30 e passa della Frisona. Tuttavia, quando il prezzo del latte convenzionale era a 75 centesimi, quello di Reggiana è rimasto sempre sopra l’euro e dunque ci ha aiutati a mantenere una certa stabilità nelle entrate”.
Quella economica è certamente una giustificazione, ma non può essere la sola ragione per allevare un animale con rese così basse e vincolato a un disciplinare rigoroso. Che, per esempio, vieta qualsiasi forma di unifeed, imponendo un’alimentazione tradizionale fatta di fieno, farina di mais e proteine vegetali (ma, rigorosamente, non Ogm).
“Certamente, al primo posto per chi fa una scelta come la nostra c’è la passione perché, se dovessimo ragionare soltanto sui numeri, bisognerebbe vendere le quote e smettere. Per quanto riguarda le reggiane, sono animali che mi piacciono moltissimo e ci danno anche soddisfazioni dal punto di vista della qualità. Il loro latte ha buoni valori di grasso e proteine (3,8 e 2,7, ndr), ma soprattutto ha un’alta resa alla caseificazione. Del resto, il Parmigiano Reggiano nacque per trasformare il latte di queste vacche: non è una sorpresa che sia appunto con il latte di Reggiana che massimizza le performance”.