Usando la solita metafora del bicchiere, quello uscito da Consiglio agricole dell’Ue del 14 marzo è vuoto per due terzi. Perché dalla riunione dei ventotto ministri dell’Agricoltura a Bruxelles (nella foto un momento delle manifestazioni organizzate davanti alla sede del Consiglio) è uscita una serie di misure tampone, non certo miracolose, e nulla sul fronte delle tanto invocate riforme strutturali.
Questo almeno è quanto emerge dalla conferenza stampa con la quale Phil Hogan (Commissario europeo all’Agricoltura) e Martijn van Dam (ministro dell’Agricoltura olandese e presidente di turno del Consiglio agricolo Ue) hanno illustrato le decisioni prese nell’attesissimo Consiglio dei ministri europei dedicato alle gravi crisi di molti comparti, a cominciare da latte e suini.
E improntati a delusione sono anche i primi commenti a caldo che escono da più parti, come si vede anche nel box della pagina accanto. A cominciare dal ministro Martina che uscendo dai lavori del Consiglio ha voluto sottolineare quanto gli interventi decisi siano insufficienti: «Manca una visione strategica su come affrontare in misura strutturale la questione lattiero casearia. L’aumento degli aiuti di stato, fuori dal de minimis – prosegue Martina – è un buon segnale, ma non basta».
Perché tra le decisioni prese c’è, appunto, l’aumento del tetto “de minimis”, che oggi limita a 15mila euro massimi all’anno e per singolo agricoltore, gli interventi che un stato nazionale può concedere senza incorrere nella violazione della normativa sugli aiuti di Stato. Questo tetto verrà, pare con un “artificio” normativo ancora da chiarire, portato a 30mila euro. Con ogni probabilità, l’Italia utilizzerà questa possibilità che si apre per dare spazio all’iniziativa di moratoria sui mutui bancari degli allevatori che il Mipaaf sta discutendo con l’Associazione bancaria italiana.
Ma è sulle altre misure prese che il ministro Martina va giù duro: «Continuare ad aiutare chi produce non per il mercato, aumentando le quote di ritiro di latte in polvere e burro, non fa che peggiorare la situazione. Si dà un pessimo segnale ai produttori come quelli italiani che invece lavorano per il mercato, producendo latte di qualità e affrontando i relativi costi».
Sì, perché il grosso delle misure decise a Bruxelles è di natura strettamente congiunturale e di scarso effetto per il nostro Paese. A cominciare dal ricorso, per la prima volta nella storia della politica agricola europea, a quanto prevede l’articolo 222 dell’Ocm unica (Regolamento 1308/2013). Si tratta di concedere alle Op (organizzazioni di prodotto), o alle loro associazioni (Aop) o, infine, alle Oi (organizzazioni interprofessionali) di attuare misure di programmazione (che significa limitazione) dell’offerta di latte. Non dunque ciò che molti attendevano: un intervento europeo, o demandato agli stati membri, che direttamente agisse per arginare la produzione continentale di latte, oggi eccedentaria e principale causa della crisi dei prezzi e dei redditi delle stalle. Il fatto è che la delega ad agire alle forme organizzate dei produttori, oltre a essere una via lunga e che richiederà tempo per essere applicata – non fosse altro per le norme Ue ad hoc ancora tutte da scrivere – è per l’Italia una via ben poco efficace, visto che le Op nel comparto latte sono ancora poche, di Aop ne esiste a oggi una sola e l’interprofessione è, al momento, nel libro dei sogni.
E per il resto? Classiche misure di intervento sul mercato, magari utili al momento ma dal respiro cortissimo. Come il raddoppio temporaneo dei massimali per il ritiro dei prodotti, dedicato a burro e latte scremato in polvere, dalle attuali 50 mila e 109 mila ton, rispettivamente, a 100 mila ton per il burro e 218 mila ton per il latte scremato in polvere.
Dunque ciò che è completamente mancato al Consiglio del 14 marzo sono azioni strutturali. Per chi segue queste vicende si trattava di speranze vane, data l’impostazione di politica agricola di questa Commissione. Ma pure sarebbero auspicabili, perché la crisi europea nei comparti del latte e dei suini è di natura strutturale e si sintetizza in una offerta crescente ed eccedentaria rispetto a consumi interni in discesa, e a esportazioni rese difficili da embargo russo e dal calo della capacità di acquisto in vaste aree gravate dal crollo del prezzo del petrolio (nella foto in alto un altro momento delle manifestazioni del 14 marzo a Bruxelles, in questo caso davanti alla sede della Dg Agricoltura).
È ancora Martina a dare voce a queste attese mancate e all’urgenza di interventi strutturali: «La Commissione rimanda ormai da mesi una riforma della normativa sul latte, non accorgendosi che la crisi non aspetta. Qui si danno solo risposte parziali e di breve periodo. Abbiamo chiesto decisioni su etichettatura e Ocm Latte, non possiamo sentirci rispondere con la creazione dell’ennesimo gruppo di alto livello».
Peraltro un nuovo “gruppo ad alto livello” non si farà. Almeno non nella formulazione tipica di meeting di rappresentanti degli stati membri presso la Commissione europea. E questo perché, ha spiegato Hogan in conferenza stampa, esiste già, ed è operativa da qualche mese, la Task force sui mercati voluta dallo stesso Commissario e fatta di tecnici del mondo economico (per l’Italia partecipa Gianpiero Calzolari presidente di Granarolo e responsabile lattiero-caseario di Alleanza delle cooperative). Ma ci vorrà tempo, e intanto il prezzo del latte a quanto andrà?
Le reazioni
È un coro di commenti negativi quelli che si raccolgono a margine del Consiglio agricolo. Coldiretti, con il presidente Roberto Moncalvo, esprime disappunto: «La mancanza di risposte strutturali da parte dell’Ue di fronte a squilibri di filiera che sono comuni a tutti i paesi dell’unione e interessano trasversalmente diversi settori vuol dire di fatto non voler affrontare davvero e rapidamente la questione agricola in Europa».
«Alcune scelte vanno nella direzione giusta – commenta Mario Guidi presidente di Confagricoltura – quali, ad esempio, la manovra sul “de minimis”. Ma non si può non notare che al di là del potenziamento di alcuni strumenti di mercato, comunque non risolutivi, non sono state previste nuove risorse comunitarie per il settore. Così si rischia di avere una politica agricola “meno comune”, con alcuni Paesi che potranno scegliere di incentivare di più i loro produttori tramite gli aiuti di Stato».
Anche per Copa-Cogeca (l’associazione europea degli organismi professionali agricoli e delle cooperative) «la situazione è inaccettabile, i 500 milioni offerti dall’Ue lo scorso settembre sono una goccia nel mare e anche ora non si vedono le necessarie misure strutturali».
Stefano Boccoli