Filiera bovina italiana emissioni nette zero

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Scordamaglia: “Ma politiche europee e disinformazione mettono a rischio il settore”. Prandini: “Urgente mettere in atto una corretta informazione che spieghi come la carne italiana nasca da un sistema di allevamento che per sicurezza, sostenibilità e qualità non ha eguali al mondo”

Allevamenti vs sostenibilità ambientale? La risposta è nei dati scientifici, non nelle ideologie. È stato questo il filo rosso che ha animato il simposio internazionale “Cow is Veg – Il ruolo dei ruminanti in una dieta sostenibile”, organizzato a Roma da Assocarni in collaborazione con Coldiretti. La sfida, come sottolineato dai relatori, è incentivare un dibattito informativo – che manca nel nostro Paese – raccontando il valore e la strategicità dell’allevamento bovino, che in Italia è a emissioni “nette zero” per quel che riguarda i gas climalteranti.

Emissioni, saldo negativo per l’allevamento bovino

Come spiegato da Giuseppe Pulina, ordinario di Etica e sostenibilità delle produzioni animali all’Università di Sassari, il nostro Paese si conferma fra i più virtuosi al mondo in termini di bilancio delle emissioni degli allevamenti bovini.

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Giuseppe Pulina

«Dobbiamo cominciare a guardare a questa filiera come parte integrante di un’economia circolare, in un’ottica di bilancio di emissioni. Questo significa – ha detto Pulina – che oltre a considerare la riduzione degli impatti – dati Ispra ci dicono che le emissioni dell’allevamento pesano il 5% del totale e sono calate di oltre 14 punti percentuali in 30 anni (e del 10% solo negli ultimi 10) – va aggiunto l’aumento di sequestro di carbonio compiuto dalle aree nelle quali si pratica l’allevamento».

Un risultato reso possibile, ha incalzato Pulina, anche grazie allo sviluppo di un «approccio innovativo, secondo cui la sostenibilità del comparto zootecnico si ottiene incrementando la conoscenza, che passa anche dall’impiego di tecnologie all’avanguardia che rendono il sistema sempre più efficiente, tutelando contemporaneamente animali e ambiente». Pulina in merito ha citato un dato su tutti: «il nostro Paese non è mai stato così verde dal secondo dopoguerra ad oggi, passando da 5 milioni e mezzo di ettari forestali a 11 milioni di ettari».
Ecco perché, ha concluso Pulina, «imporre arbitrariamente, e senza studi accurati, politiche per ridurre i capi di bestiame degli allevamenti bovini in Italia, non solo sarebbe nocivo dal punto di vista economico e sociale ma, come dimostrano questi dati recenti, anche controproducente dal punto di vista ambientale».

Politiche europee miopi ed egoiste

Come spiegato dal presidente di Assocarni Luigi Scordamaglia, la filiera bovina rappresenta più del 4% del fatturato del comparto agroalimentare italiano, per un valore di oltre 6 miliardi di euro, e vede coinvolti più di 230mila addetti in oltre 135mila aziende attive in tutte le regioni del nostro Paese. Un settore strategico che però oggi più che mai sembra soffrire sotto il fuoco incrociato di campagne di disinformazione e politiche europee miopi.

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Luigi Scordamaglia

«L’Europa si muove senza pianificazione e in maniera strumentale – ha affermato Scordamaglia –. C’è una parte di mondo in cui la domanda di carne bovina aumenta: oltre 800milioni di persone, come ricordato dalla Fao, sono in una condizione di sottonutrizione, non tanto calorica quanto proteica e nutrizionale, e la soluzione non può che venire dalla produzione bovina, che è comunque inferiore a questa domanda crescente. L’Europa è egoista, ignora queste esigenze».

La filiera bovina, ha detto Luigi Scordamaglia, rappresenta più del 4% del fatturato del comparto agroalimentare italiano, per un valore di oltre 6 miliardi di euro. E vede coinvolti più di 230mila addetti in oltre 135mila aziende attive in tutte le regioni del nostro Paese.
La sostenibilità della carne bovina italiana, ha affermato Ettore Prandini, è consolidata anche grazie a iniziative di valorizzazione messe in campo dagli allevatori: adozione di forme di alimentazione controllata, disciplinari di allevamento restrittivi, sistemi di rintracciabilità elettronica, vendita diretta della carne.

«Le politiche che arrivano da Bruxelles – ha puntualizzato Scordamaglia – sembrano quindi voler andare inesorabilmente verso lo smantellamento della produzione delle nostre eccellenze, e dell’allevamento in primis, anche attraverso trucchi burocratici, come la nuova proposta che pensa di equiparare una stalla di appena 150 bovini a una grande fabbrica che emette CO2. Questo comporterebbe rischi non solo per chi oggi lavora in quelle filiere, ma anche in termini di sicurezza alimentare, condannando l’Italia alla dipendenza da paesi terzi che producono con standard meno elevati dei nostri anche dal punto di vista ambientale».
Scordamaglia ha ricordato che paesi come il Sud America producono emettendo più CO2 rispetto all’Italia: emissioni pari a cinque volte di più.
«All’Europa chiediamo quindi trasparenza – ha ribadito il presidente di Assocarni –, impatti di valutazione seri, scelte sulla base dei dati, non avvantaggiando chi ha altre finalità: chi vuole cioè omologare la nostra alimentazione e distruggere i legami tra alimentazione e terra».

Crollato il numero degli allevamenti

Scordamaglia ha ricordato poi che il comparto dagli anni ‘60 ad oggi ha visto crollare drasticamente il numero dei suoi allevamenti, registrando un calo del 91%: 60 anni fa erano un milione e mezzo.
Diminuito anche il numero di capi allevati, con un calo del 35%, passando da quasi 10 milioni di unità a poco più di 6 milioni.

Contrazione dei consumi

Ponendo l’attenzione sul consumo di carne nel nostro Paese, Scordamaglia ha precisato: «In Italia mangiamo 8,54 chili di carne bovina pro capite all’anno, sono questi infatti i consumi reali, cioè quelli valutati al netto delle parti non edibili (ossa, cartilagini e grasso). Un valore vicino alla quantità di carne che si mangiava nei primi anni ‘60 e ben lontano dai quasi 14 chili a persona del boom economico.

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La filiera bovina, ha detto Luigi Scordamaglia, rappresenta più del 4% del fatturato del comparto agroalimentare italiano, per un valore di oltre 6 miliardi di euro. E vede coinvolti più di 230mila addetti in oltre 135mila aziende attive in tutte le regioni del nostro Paese.

«E la crisi che stiamo vivendo – ha continuato il presidente di Assocarni – con la relativa contrazione dei consumi e l’emergere di fenomeni allarmanti, come l’aumento del food social gap, dove sempre più persone devono rivedere al ribasso le proprie scelte alimentari, vedrà scendere ancora la presenza delle proteine nobili della carne nei carrelli della spesa degli italiani, con effetti preoccupanti sulla dieta delle famiglie».

Comunicare il valore delle produzioni zootecniche italiane

Il presidente di Coldiretti Ettore Prandini ha evidenziato l’urgenza di mettere in atto una corretta informazione che racconti come «la carne italiana nasca da un sistema di allevamento che per sicurezza, sostenibilità e qualità non ha eguali al mondo. Consolidato anche grazie a iniziative di valorizzazione messe in campo dagli allevatori, con l’adozione di forme di alimentazione controllata, disciplinari di allevamento restrittivi, sistemi di rintracciabilità elettronica e forme di vendita diretta della carne. Dobbiamo fare giusta informazione su tutto questo».

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Ettore Prandini

Prandini ha poi sottolineato che «le potenzialità di miglioramento sono alla portata della nostra zootecnia puntando fin d’ora sulla gestione dei residui e sulla produzione di energia rinnovabile attraverso il biogas e il biometano».

A Bruxelles un certo «ambientalismo ideologico»

In collegamento da Bruxelles Salvatore De Meo, eurodeputato componente della Commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale Agri, è intervenuto nel dibattito dichiarando: «Negli ultimi anni si è fatto strada, anche a livello comunitario, un ambientalismo troppo ideologico che non ha niente a che vedere con la vera protezione dell’ambiente e la relativa transizione, ma che strumentalizza le preoccupazioni dei cittadini per attaccare apertamente determinati prodotti e tradizioni alimentari europee. Purtroppo, anche la carne rossa è al centro di questa campagna di demonizzazione che parte da una distorsione dell’agricoltura e dell’allevamento, tacciati come uniche cause del cambiamento climatico».

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Salvatore De Meo

In questa confusione, ha concluso De Meo, «perdono importanza le basi scientifiche delle ricerche e non si distingue più tra uso e abuso, qualità e quantità. In un momento in cui le aziende agricole sono in crisi e la sicurezza alimentare europea è a rischio, l’Europa non può permettersi politiche approssimative che mettono ancora più in difficoltà il settore agroalimentare».

Filiera bovina italiana emissioni nette zero - Ultima modifica: 2022-10-28T08:39:37+02:00 da Lucia Berti

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