Al contrario di molti altri grandi paesi, l’Italia non è autosufficiente in quanto a fabbisogno di carne bovina: ne produce solo il 40% della richiesta del mercato. E il trend è in peggioramento: il numero totale di capi da carne allevati in Italia è in flessione.
In flessione soprattutto perché la principale fonte di rifornimento di bovini da carne, per gli allevatori tricolore, ossia l’import dalla Francia, ultimamente vive una situazione critica: è in discesa il numero dei capi che arrivano in Italia, è in salita il prezzo del loro acquisto.
Come reagire? Le principali risposte messe a fuoco in questi ultimi tempi sono tutte oggettivamente risposte parziali; non sono decisive se viste isolatamente. Però sono risposte solide, in grado di incidere positivamente sul trend, sorrette da un ottimo background scientifico e associativo. E sono sostanzialmente tre:
a) Aumentare l’efficienza produttiva, puntando sulle buone pratiche zootecniche, sull’innovazione in allevamento, sul miglioramento genetico, su tecniche di zootecnia di precisione… In tal modo, anche se il numero di animali potrà restare fermo, potrà invece aumentare la quantità di carne prodotta (e anche la qualità).
b) Incentivare la linea vacca-vitello, in modo da rendere la zootecnia bovina da carne meno dipendente dall’acquisto di vitelloni dall’estero; meno dipendente sia dal punto di vista numerico sia da quello economico sia da quello sanitario. In Italia la linea vacca-vitello è tradizionalmente realizzata dagli allevatori di razze autoctone, dunque con numeri non molto elevati a livello totale nazionale. E pare che non sia di facilissima diffusione invece su larga scala, nei grandi ambienti zootecnici veneti e lombardi. In ogni caso questo orientamento strategico è frenato dalla penuria di vacche nutrici. In Italia questa soluzione è già stata perseguita dal Masaf nel contesto dei bandi di filiera e potrebbe trovare un rilancio se, oltre alle razze autoctone, si avvalesse anche di razze pregiate da carne, come Charolaise e Limousine.
c) Puntare anche sulla nuova idea del “beef on dairy”, non propriamente inedita ma comunque nuova in quanto se ne parla seriamente solo da un paio d’anni. Un’idea che prevede di inseminare la bovina da latte con seme di razze da carne, in modo da aumentare il numero di animali a disposizione del comparto carne. In tal modo non si realizzerà un aumento sufficiente a raggiungere l’autosufficienza, ma si potrà ugualmente ottenere qualche centinaia di migliaia di capi in più.
Un elemento di novità
Soffermiamoci sulla possibile risposta “c”. Pur essendo delle tre la strada meno battuta, non si può definire un’idea particolarmente inedita. Fra l'altro c'è già qualche stalla che effettua incroci Blu Belga x Frisona. Allora perché ne parliamo in questo articolo? Perché un elemento di novità c’è.
Ed è costituito da una decisione editoriale, culturale, del comitato scientifico dell’Informatore Zootecnico. Che a partire da oggi intende approfondire la questione “c” con una serie di articoli tecnici ed economici dedicati ai vari aspetti della realizzabilità pratica dell’idea del beef on dairy.
Quali aspetti? Intanto questo: i genetisti del settore, i veterinari, i tecnici, i conduttori delle stalle più avanzate ci credono? Lo vedremo: firmeranno direttamente loro su IZ articoli di approfondimento della questione.
Un secondo aspetto che IZ intende approfondire è di tipo microeconomico:
- In teoria all’allevatore di bovine da latte dovrebbe risultare conveniente produrre e vendere anche vitelli da destinare al comparto carne. Questi infatti hanno un valore commerciale ben superiore a quello dei vitelli maschi di razze da latte.
- Ma in pratica è vero che questa scelta risulterebbe conveniente? In termini contabili i ricavi supererebbero i costi? E quindi: questa convenienza può raggiungere livelli tali da risultare competitiva, tali da risultare in grado di indurre l’allevatore da latte a dire sì all’operazione “c”?
Solo risposte positive alle domande di cui sopra potranno permetterci di affermare che sì, la realizzabilità pratica dell’idea “c” è plausibile. E quindi di affermare che abbiamo a disposizione una strada solida che può consentire alla zootecnia italiana di guardare con fondata speranza a questa sorta di “alleanza latte-carne”.
Un’operazione culturale
In conclusione l’Informatore Zootecnico vara una specie di operazione culturale, di opinione, che si realizzerà attraverso una serie di articoli tecnici, specialistici, che analizzeranno questo nuovo possibile orientamento allevatoriale.
Un orientamento che vede la zootecnia da latte, forte e solida, andare per così dire in soccorso della zootecnia da carne, che è in flessione. Rendendo concreta l’idea teorica di una “alleanza latte-carne”.
Gli articoli saranno almeno una decina nel corso del 2025. E saranno opera delle più autorevoli firme della rivista. Addirittura saranno sostenuti anche da un convegno dedicato, che dovrebbe aver luogo nell’ambito della prossima edizione della Fiera di Cremona, in modo da coinvolgere ancora di più il mondo della zootecnia da latte.
E a fine anno avremo le idee più chiare sull’eventualità che questo tipo di “alleanza” possa concretizzarsi, nell’interesse di tutti.