La Corte dei conti italiana conferma, con un nuovo rapporto pubblicato il 28 gennaio 2013, che la gestione delle quote latte in Italia è stata “cattiva” per un periodo che ormai ha avuto inizio trenta anni addietro e cioè sin dal momento dell’istituzione di tale regime. Il rapporto della Corte dei conti analizza tutto il periodo di gestione delle quote latte e soprattutto la spinosa questione delle multe che l’Italia ha accumulato e che ormai superano i 4mila milioni di euro.
Questo enorme debito accumulato da qualche migliaia di irriducibili splafonatori sembra che sia ormai irrecuperabile per cui alla fine viene premiato il partito dei contestatori e degli inadempienti.
Il rapporto della Corte dei conti diffuso il 28 gennaio 2013 precisa, senza mezzi termini, che la conseguenza finanziaria della cattiva gestione trentennale delle quote latte - caratterizzata dalla confusione della normativa, delle procedure, delle competenze e delle responsabilità dei soggetti investiti e dall’incertezza sui dati di produzione - si è tradotta in un esborso complessivo nei confronti dell’Unione europea, ad oggi, di oltre 4,4 miliardi di euro.
Prima del 1995
Nel primo periodo di applicazione del regime delle quote latte, e cioè quello precedente alla campagna lattiera 1995/96, l’onere delle multe si è scaricato interamente sull’erario, così come aveva solennemente promesso che sarebbe avvenuto, il ministro dell’agricoltura dell’epoca, Filippo Maria Pandolfi. Per quanto riguarda il periodo seguente le somme teoricamente recuperabili nei confronti degli allevatori - e già anticipate all’Unione a carico della fiscalità generale - risultano superare l’importo di 2.537 milioni. Tuttavia, già oggi, risulta imputabile ai produttori, secondo l’Agea, il minor ammontare di 2.263 milioni.
Ma la cosa più sorprendente è che di tale somma, teoricamente dovuta dagli allevatori all’Agea, il recuperato effettivo è trascurabile. Le colpe per il mancato recupero non sono dovute solo all’abilità degli allevatori a sfuggire ai pagamenti dovuti ma anche all’incapacità degli organi amministrativi di attivare procedure valide.
Piange sul latte versato
Ma è ancor più sorprendente che la Corte dei conti, nonostante queste precise individuazioni di soggetti responsabili, non sia riuscita ad aprire altrettanti puntuali giudizi di responsabilità contabile per danno erariale. Al momento della prima applicazione del regime delle quote latte con la fissazione del “bacino nazionale” e non delle quote di produzione individuali, la Corte dei conti citò per danno erariale proprio il ministro Pandolfi e il suo direttore generale ma dovette fermarsi davanti ad una legge interpretativa, il cui valore fu confermato addirittura dalla Corte costituzionale che affermava la legittimità dell’operato del ministro e del governo di cui faceva parte. La ragion di Stato dominò quindi la prima applicazione del regime delle quote latte in Italia e soprattutto il principio secondo il quale era giusto evitare di far pagare agli allevatori il “balzello” comunitario del prelievo supplementare per chi produceva di più della quota assegnata.
Il rapporto 2013 della Corte dei Conti prende quindi atto della situazione e ne descrive le conseguenze, affermando che l’accollo da parte dello Stato dell’onere del prelievo si configura come violazione non solo della regolamentazione dell’Unione europea ma, altresì, degli obiettivi della sua politica economica, indirizzati all’efficiente organizzazione del mercato lattiero-caseario, al suo assetto strutturale in linea con la necessità di contenere le produzioni ed alla tutela della libera concorrenza tra i produttori del settore.
Alla Corte dei conti non rimane che “piangere sul latte versato” affermando che la prima colpa del mancato recupero, è della legislazione italiana sulle quote latte - che fra l’altro spesso è apertamente incompatibile con la normativa dell’Unione - è risultata complessa, frammentaria e contraddittoria. A ciò si aggiunge che permane diffusa nella Pubblica amministrazione l’idea che le disposizioni legislative italiane, anche se difformi dalla normativa dell’Unione, pretendano cogente applicazione, nonostante, sul punto, anche per la materia delle quote latte, si sia fatta chiarezza, da tempo, in senso contrario.
Scetticismo
Dal rapporto della Corte dei conti viene anche un segnale di speranza concreto per coloro che si sono opposti negli anni, con tutti i mezzi possibili, alle richieste di pagamento delle multe. Infatti secondo il rapporto la mancata, rapida riscossione del debito dei produttori comporta un rilevante incremento della probabilità che, con il passare del tempo, questo non sia più recuperabile, con conseguente aggravamento del rischio della traslazione dell’onere finanziario dagli allevatori inadempienti alla fiscalità generale.
I motivi di questo scetticismo sarebbero:
a) il persistere del legislatore nazionale nella produzione di disposizioni tese al differimento della scadenza dei versamenti da parte dei debitori ed il comportamento delle amministrazioni che danno esecuzione a disposizioni legislative che violano il diritto dell’Unione. Le nuove e rinnovate proroghe – che dilazionano i pagamenti connessi a rateizzazioni cui i produttori hanno aderito - non appaiono concorrere ad una rapida definizione del problema, favorendo il differimento della regolarizzazione e rallentando anche l’avvio del recupero delle quote indebitamente concesse;
b) l’introduzione di procedure esecutive in discontinuità con il sistema precedente e la cui ratio non appare chiara, ma che comportano, tuttavia, inefficienze ed ingenerano incertezze sulle modalità da adottare e sull'attribuzione delle competenze di ciascun ente. In particolare, il riesumato regio decreto n. 639/1910 - con procedure datate, né celeri né sicure nello svolgimento degli adempimenti - rende difficile garantire concretamente l'attuazione della riscossione coattiva. A ciò si è aggiunta la contestuale sospensione generalizzata delle procedure in atto;
c) il tardivo ricorso alla compensazione, assai efficace ed incoraggiata dall’Unione europea, ma ostacolata a lungo dalla legislazione nazionale e dalla prassi amministrativa;
d) la diffusione di dati sulla produzione non verificati, che hanno rinfocolato polemiche, mai del tutto sopite, sulla giustezza dei prelievi imputati. I ricorrenti, ciclici dubbi sulle consistenze zootecniche e sulle quantità prodotte di latte non possono, tuttavia, rappresentare giustificazione o pretesto per i produttori che si oppongano all’effettiva riscossione del prelievo e al recupero di quanto dovuto;
e) le politiche nazionali che, anche recentemente, “si sono orientate al mantenimento o alla introduzione di meccanismi premiali a beneficio di soggetti che hanno tenuto un comportamento contrastante con le regole. In sostanza, sia attraverso la restituzione del prelievo, sia attraverso l’attribuzione della titolarità di ulteriori quote resesi disponibili, la posizione di coloro che si sono resi responsabili ripetutamente di una produzione eccedentaria è stata ‘premiata’ rispetto a quella degli allevatori che, anche ricorrendo all’acquisizione onerosa di quote, hanno, spesso faticosamente, agito nel rispetto delle regole.
f) una prassi amministrativa non solerte nell’attività di recupero, cosa che si è manifestata nel ritardo dell’avvio delle procedure di riscossione, nel procrastinare la data limite per la presentazione delle istanze di rateizzazione, nella sospensione prolungata delle riscossioni - in attesa della definizione delle nuove modalità operative -, nell’indugio nell’adozione delle azioni per il recupero delle ulteriori quote concesse agli allevatori inadempienti.
Le conclusioni della Corte sono un invito a tutti a invertire rotta che peraltro può apparire inutile visto che ormai “i buoi sono scappati dalla stalla” e il regime delle quote latte si avvia verso la sua conclusione. Forse l’unica possibilità per l’Erario, anche se il rapporto non lo dice e neppure lo paventa, sarebbe quella di perseguire con giudizi di responsabilità contabile i soggetti individuati dalla Corte dei conti che hanno determinato la situazione attuale così ben descritta nel rapporto della Corte stessa.
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