Molti lo avevano previsto da allora: la fine del regime del prelievo supplementare era fissata per il marzo 2015, ma di quote latte si sarebbe parlato per molto tempo. Almeno in Italia, perché nel nostro paese un mix di difficoltà oggettive e di gestione raffazzonata (e talvolta furbesca) a tutti i livelli ha portato a una situazione di multe non pagate di enorme entità, e contenziosi con l'Unione europea che si trascinano ancora oggi. Con conseguenze che si proiettano sul futuro del settore lattiero nazionale, poiché si sta parlando di cifre enormi.
Partiamo da queste, riassumendo una situazione piuttosto complessa. Intanto chiariamo che si sta parlando delle multe sullo sforamento delle quote che gli allevatori italiani hanno accumulato nel corso delle campagne tra la 1995/96 e la 2008/09; ecco perché si arriva a una somma imponente: 2,303 miliardi di euro.
Già nel 2003, quando la cifra era ovviamente inferiore ma già molto elevata, il governo italiano negoziò con la Commissione europea un piano per offrire agli allevatori sanzionati la possibilità di pagare a rate quanto dovuto. Ne uscì un buon compromesso che prevedeva una dilazione in 14 rate annuali senza interessi. Per contro l'allevatore che vi aderiva doveva rinunciare a qualsiasi contenzioso giudiziario sulle multe a suo carico. Il meccanismo era semplice: a partire dal 2004 la rata scadeva al 31 dicembre di ogni anno, quando Agea mandava per posta a ciascun allevatore interessato il "mav" (che significa pagamento "mediante avviso") per il versamento. A chi avesse saltato un'annualità sarebbe stato revocato il beneficio della rateizzazione. A parte un inciampo occorso nel 2010, e che ci vale un contenzioso tuttora aperto con l'Ue, il meccanismo è filato abbastanza liscio e proprio in queste settimane di fine 2017 scade la quattordicesima e ultima rata.
Un secondo sistema di pagamento dilazionato venne istituito nel 2009 come strumento di rimborso di quanto dovuto dall'allevatore sempre in termini di multe pregresse sulle quote latte. Il meccanismo di questa rateizzazione risulta assai più flessibile del precedente. Intanto vale per singole campagne, ovvero l'allevatore può aderire per un'annata e per questa rinunciare a ogni contenzioso, ma proseguire a contestare per via giudiziaria multe attribuite su altre campagne. Una volta definito il perimetro delle multe da rateizzare, il produttore di latte può dilazionare l'importo e iniziare a pagare ogni anno a giugno o a dicembre (in funzione di quando è stata presentata la domanda). La rateizzazioni in questo caso però comporta interessi, è valida solo per somme non inferiori a 25.000 euro e può essere stipulata per una durata massima variabile in funzione della cifra complessiva rateizzata: non superiore a tredici anni per debiti inferiori a 100.000 euro; non superiore a ventidue anni per i debiti compresi fra 100.000 e 300.000 euro; non superiore a trent'anni per i debiti che oltrepassano i 300.000 euro.
Queste due complesse operazioni di rateizzazione avevano – e hanno – l'obiettivo di chiudere il fardello pesantissimo delle multe pregresse sulle quote latte mai regolarizzate. Ma oggi, a distanza di anni, di può dire che l'obiettivo è stato per tanta parte mancato. Vediamo i numeri, con l'aiuto di fonti ufficiali: l'ultima relazione della Commissione europea sulla vicenda, uscita l'aprile scorso; e quanto riferito al Parlamento dal ministro delle politiche agricole Maurizio Martina nel corso di un "question time" del 12 marzo 2015, dunque a poche settimane dall'abrogazione del regime delle quote latte (avvenuta il 31 marzo di quell'anno).
È bene ripartire dalla cifra complessiva delle multe accumulate tra il 1995 e il 2009 che, come detto, è pari a 2,303 miliardi di euro. Di questi, tra il 2003 e il 2015, 671,8 milioni sono già stati recuperati dall'Italia, di cui – specifica la Commissione – oltre 333,34 milioni attraverso il piano di rateizzazione avviato nel 2003, 6,81 milioni con il sistema di rimborso del 2009 e 331,65 milioni al di fuori dei regimi rateali.
Restano quindi "inevasi" 1,63 miliardi di euro. A questi però bisogna sottrarre altri 71,77 milioni in via di recupero sempre attraverso le due rateizzazioni (quella del 2003 e quella del 2009); e 276,46 milioni che sono stati dichiarati irrecuperabili in seguito al fallimento del produttore o all'annullamento definitivo del prelievo da parte di un giudice.
Fatte queste ulteriori detrazioni, restano circa 1,28 miliardi di euro ancora dovuti dai produttori che hanno rifiutato di aderire ai regimi di pagamento rateale, contestando le multe dinanzi a vari organi giurisdizionali italiani. Qui nasce il vero problema, e spunta la spada di Damocle sulle finanze pubbliche del nostro Paese: la Ue ci contesta il mancato recupero di questi prelievi ai singoli allevatori; e se ciò non avverrà, scatterà una salata sanzione a carico dello Stato.
Spieghiamo meglio. Come noto, il regime delle quote era una misura a sostegno del mercato, dunque a favore di tutti i produttori di latte europei, ai quali si chiedeva di non aumentare la produzione individuale oltre un tetto prestabilito, per evitare cali di prezzo e di reddito generalizzati, e dunque a danno di tutti. Il prelievo (la cosiddetta multa) doveva fungere da deterrente al singolo allevatore, proprio per evitare che spingesse la produzione a vantaggio suo ma a danno degli altri colleghi, italiani ed europei, che invece, nel frattempo, seguivano le regole tenendo a freno le consegne anche sacrificando le economie di scala della stalla. Ecco perché l'Ue ci contesta proprio il mancato recupero di questo denaro direttamente alle stalle.
Cosa che, secondo Bruxelles, l'Italia non ha finora fatto. Da questo punto di vista, chiare sono le parole che la Commissione scrive nella relazione sulle quote latte: "Per quanto riguarda la riscossione degli importi che non rientrano nei regimi di pagamento rateale (1,28 miliardi di euro), i dati forniti dall’amministrazione italiana indicano che i progressi compiuti sono minimi".
E soprattutto – sottolinea Bruxelles – non si osservano progressi significativi nella riscossione degli importi definiti "esigibili", ovvero quelle sanzioni che non sono mai state contestate di fronte a qualche organo giurisdizionale o che, anche se contestate in passato, sono poi state confermate dal giudice competente.
Per tutto ciò, l'Italia è da tempo sottoposta alla cosiddetta "procedura d'infrazione", che è composta di tre fasi. Già nel 2013 la Commissione ha inviato al nostro Paese una lettera di "costituzione in mora"; alla quale è seguito, nel luglio 2014, il "parere motivato", cioè il secondo step. Infine, nel febbraio 2015, Bruxelles ha attivato l'ultima fase, deferendo l'Italia alla Corte di giustizia dell'Unione europea.
Un procedimento giudiziario lungo e complesso che è ancora in pieno svolgimento e che – in attesa del pronunciamento dei giudici – ha visto nel luglio scorso l'esposizione della relazione di Eleanor Sharpston, avvocato generale della Corte Ue. Non certo favorevole all'Italia, visto che ha evidenziato "l'inefficacia, l'irrazionalità e la farraginosità" della nostra legislazione in materia; osservando che "un inadempimento in senso oggettivo sussiste".
Secondo contenzioso su spostamento rata 2010
La tormentata vicenda delle multe sulle quote latte, e specificamente la sua confusa gestione politica negli anni, ha prodotto un secondo contenzioso con l'Unione europea. La questione riguarda la rateizzazione attivata nel 2003, di cui parliamo nell'articolo, e in particolare la decisione, arrivata nel 2010, da parte del governo italiano di allora (Berlusconi IV) di prorogare il pagamento della sesta rata, ovvero da dicembre 2010 a giugno 2011. Sei mesi di spostamento che, come in tutte le dilazioni, ha comportato un onere finanziario che, per quella decisione, veniva caricato alle casse dello Stato. Ma tutto venne fatto senza un accordo con l'Ue. Per questo, la Commissione, ha contestato nel 2013 l'operazione e attivato un'altra "procedura d'infrazione" contro l'Italia. Per Bruxelles infatti, la proroga unilaterale decisa dal nostro governo era contraria al diritto comunitario e dannosa nei riguardi di tutti gli altri allevatori italiani e comunitari che le quote latte le hanno rispettate (non sforando o pagando quanto dovuto e nei tempi dovuti qualora lo avessero fatto). E questo in quanto quell'onere finanziario innescato dallo slittamento di sei mesi della rata delle aziende e coperto dal Governo diventava, agli occhi della Commissione Ue, un auto di Stato non concordato e a vantaggio di alcuni allevatori – i beneficiari dello spostamento della dilazione – e non di tutti.
Dopo l'intera trafila giudiziaria prevista in questi casi, compreso un primo pronunciamento del Tribunale dell'Unione europea propizio al nostro Paese, l'ottobre scorso è arrivata la sentenza della Corte di Giustizia dell'Ue ed è sfavorevole all'Italia, che dovrà dunque recuperare dagli allevatori gli interessi goduti per quello slittamento.