Gli assessori regionali all'agricoltura di Lombardia, Piemonte e Veneto hanno scritto al ministro delle Politiche agricole, Nunzia De Girolamo, e all'assessore della Regione Puglia, Fabrizio Nardoni, coordinatore della commissione Politiche agricole, «per difendere la filiera del latte da un possibile default sul piano economico-finanziario». Come spiega un comunicato dell'assessore lombardo, Gianni Fava, «è il problema legato alla gestione delle quote latte, che espone 650 imprese agricole a livello nazionale, la maggior parte delle quali concentrate in queste tre regioni, al rischio di mancanza di liquidità per 4, 5 o 6 mesi, con la conseguenza di una non improbabile chiusura».
La situazione di incertezza, continua Fava, «trae origine dal decadimento della deroga introdotta dalla legge 166/2009, che consentiva una diminuzione della trattenuta sul latte fuori quota e che oggi, invece, obbliga quelle stalle che eccedono il monte produttivo autorizzato a subire una trattenuta di 278,30 euro alla tonnellata. Una cifra che, a fronte di un prezzo del latte fissato in 420 euro alla tonnellata, lascerebbe alle imprese zootecniche appena 141,50 euro per tonnellata di latte, esponendole ad un grave pericolo di chiusura dell'attività per mancanza di liquidità».
Fava ha aggiunto: «Volendo stimare l'impatto sulle 650 aziende più interessate, si può ipotizzare una sottrazione di liquidità di circa 50 milioni di euro, che visti i dati dei primi tre mesi della campagna 2013/2014, verrebbero comunque restituiti in quanto è altamente probabile il non superamento del quantitativo nazionale garantito».
Gli assessori all'Agricoltura di Lombardia, Piemonte e Veneto, rimarcando la volontà di attenersi alle disposizioni comunitarie in tema di quote latte, non dimenticano tuttavia la volontà dell'Unione europea di arrivare alla fine del regime contingentato (previsto per il 31 marzo 2015) attraverso un «atterraggio morbido» (il cosiddetto soft landing), in modo da evitare la chiusura delle realtà produttive italiane ed europee.
Per questi motivi, le Regioni Lombardia, Piemonte e Veneto chiedono al ministro De Girolamo «di considerare concretamente e in tempi rapidi l'opportunità di reintrodurre la deroga di cui alla legge 166/2009, fino alla fine del regime delle quote, previsto per il 31 marzo 2015, in modo da bilanciare l'esigenza da parte della Ue di applicare pienamente le disposizioni sulle quote latte e contemporaneamente di non compromettere i bilanci delle imprese agricole ad indirizzo lattiero, evitando così di esporle al concreto rischio di una definitiva chiusura, con un rimbalzo negativo esteso a tutto l'indotto».
Il no di Confagricoltura e Cia
La proposta avanzata dei tre assessori (rivedere la normativa in materia di quote latte, riducendo l'entità del prelievo mensile in caso di fuori quota, lascia però «fortemente perplessi» gli allevatori di Confagricoltura e Cia: «E' inaccettabile usare la situazione di crisi economico-finanziaria generalizzata come scusa per continuare a tutelare situazioni di illegalità».
L'iniziativa degli assessori, continuano le due organizzazioni professionali, «è intempestiva e inopportuna. La deroga prevista dalla legge del 2009, infatti, serviva per agevolare il progressivo riequilibrio tra quote assegnate e produzione. Intempestiva perché, in quel preciso momento storico e non più attuale, veniva prevista una nuova assegnazione di quote ai produttori. Inopportuna in quanto chiaramente indirizzata a una precisa categoria di allevatori: sono solo 650 e sinora hanno operato a dispetto delle norme, non hanno colto le opportunità di regolarizzare le loro posizioni con le rateizzazioni e oggi, magari anche a causa della revoca delle quote aggiuntive loro assegnate, rischiano di splafonare e di vedersi imporre nuovi oneri finanziari relativi alle trattenute mensili».
I problemi di liquidità degli agricoltori, proseguono Confagricoltura e Cia, «vanno affrontati con provvedimenti generali che facilitino l'accesso al credito. Certamente non possono essere risolti cambiando le regole per la gestione delle quote. Questa partita è già costata tanto, troppo, all'Erario, con un esborso complessivo che la Corte dei conti valuta in 4,4 miliardi di euro. Pur comprendendo le ragioni di chi intende interpretare la spinta delle imprese a produrre, non possiamo sostenere un intervento che penalizzerebbe, ancora una volta, gli allevatori che hanno operato rispettando le regole comunitarie e il regime delle quote latte, provocando così, a loro danno, inaccettabili distorsioni di concorrenza».
G.S.