Così come nella salute umana, la somministrazione di acidi grassi della serie n-3 è in grado di determinare effetti positivi anche sulla salute animale. Si ricorda infatti che in presenza di processi infiammatori, il rilascio di citochine pro-infiammatorie determina un rialzo febbrile, una riduzione dell’assunzione di alimento e un conseguente aumento della mobilizzazione delle riserve proteiche muscolari, con intuibili effetti negativi sulle performance di crescita. Per tale motivo la somministrazione di acidi grassi essenziali rappresenta una strategia interessante anche durante alcune fasi critiche del processo produttivo, quali ad esempio la fase di adattamento nel bovino da ristallo ed il post parto nella vacca nutrice.
Se sul bovino da carne ancora limitati risultano gli studi presenti in bibliografia, gli effetti positivi della somministrazione di acidi grassi n-3 (o omega 3) sulla sfera riproduttiva sono stati invece ampiamente indagati in diverse indagini scientifiche. Gli acidi grassi polinsaturi determinano una riduzione della sintesi di prostaglandine PGF2α, aventi funzione luteolitica.
Una loro minore sintesi determina così una maggiore persistenza del corpo luteo con conseguente aumento della produzione di progesterone, aspetto in grado di promuovere l’attecchimento embrionale ed il mantenimento della gravidanza. Vanno inoltre sommati i benefici effetti derivanti dalla riduzione del bilancio energetico negativo e dall’apporto di precursori steroidei, a cui si associa un maggiore sviluppo follicolare e l’incremento nella produzione di progesterone (Staples et al., 1998; Fig. 2).
Il lino come alimento zootecnico
Il lino oleaginoso presenta un titolo lipidico del 35-45% e un tenore proteico del 19.5-24% circa (Cevolani, 2005; Newkirk, 2008). Per quanto concerne il profilo acidico, l’acido linolenico rappresenta il principale acido grasso, seguito da acido linoleico (n-6) e acido oleico (n-9), mentre molto bassa risulta essere la percentuale di AG saturi (Tab. 1).
Il seme di lino rappresenta quindi un’importante fonte di acidi grassi della serie n-3 nell’alimentazione del ruminante. Esso è infatti caratterizzato da uno tra i maggiori contenuti di acidi grassi n-3 tra le oleaginose, con un presenza ben 17 volte superiore a quella dei semi di soia e 8 volte superiore a quella dei semi di colza (Cevolani, 2005).
Forme di utilizzo del lino nell’alimentazione dei ruminanti
Il lino può essere utilizzato in varie forme per l’alimentazione animale, ovvero come farina d’estrazione, panello, seme intero, seme macinato o laminato, seme estruso, olio. Tali prodotti differiscono essenzialmente per due caratteristiche: contenuto lipidico e trattamento termico subito.
Farine d’estrazione o panelli. Le farine d’estrazione e i panelli si caratterizzano per una ridotta concentrazione lipidica, aspetto che rende tali prodotti interessanti come fonti proteiche (concentrazione attorno al 30-35%), ma certamente non come apportatori di acidi grassi omega 3.
La farina d’estrazione presenta infatti una concentrazione lipidica generalmente inferiore al 2%, mentre nel panello, il titolo lipidico, anche se superiore, risulta comunque inferiore al 10%.
Olio di lino tal quale. Al fine di apportare il massimo quantitativo di acidi grassi n-3 è possibile impiegare olio di lino tal quale,aspetto che però presenta numerose controindicazioni. Come tutti gli oli ricchi di acidi grassi insaturi, infatti, l’olio di lino si caratterizza per una ridotta stabilità ossidativa, aspetto che ne rende difficile la conservazione. Sussistono altresì controindicazioni anche da un punto di vista nutrizionale, infatti è sconsigliabile somministrare una elevata quantità di acidi grassi insaturi a livello ruminale in quanto gli acidi grassi insaturi sono in grado di interagire con le particelle di fibra, formando attorno ad esse un film lipidico che ne riduce la digeribilità sottraendole dall’attacco batterico e dall’attività delle cellulasi presenti nel liquor ruminale.
Essi inoltre presentano un effetto citotossico espletato a livello delle membrane cellulari degli organismi procarioti, quali appunto i batteri ruminali (Borst et al. 1962, Luvisetto et al. 1987). Al fine di limitare tali effetti dannosi gli acidi grassi insaturi subiscono così un processo di bioidrogenazione a livello ruminale che coinvolge dall’85% al 100% dell’acido linolenico della dieta (Lock et al., 2006). Tale evento riduce pertanto la quota di acido linolenico disponibile a livello intestinale, ovvero assorbibile e trasferibile a livello muscolare.
Al fine di ovviare a tali problematiche sono disponibili in commercio anche forme di olio di lino saponificato. Tale trattamento tecnologico presenta il vantaggio di garantirne il by-pass ruminale, anche se, come noto, per i prodotti saponificati l’effettivo by-pass è strettamente condizionato dal valore di pH ruminale.
Seme intero. Nel seme intero,il contenuto lipidico risulta invece parzialmente protetto dall’attacco batterico dal pericarpo. A riguardo è sempre consigliabile ricorre a seme sottoposto a trattamento termico in quanto l’utilizzo di seme non trattato termicamente presenta come principale limite la mancata inattivazione dei fattori antinutrizionali linostatina, neolinostatina e linimarina, mentre il processo di estrusione determina un’efficace inattivazione di tali composti cianogenici.
Effetto della somministrazione di seme di lino sulle caratteristiche qualitative della carne bovina
La somministrazione di seme di lino, in ragione dell’8-10% della s.s., ha determinato in diversi studi ed in svariate condizioni sperimentali, un significativo incremento della concentrazione di acidi grassi omega 3 nella carne, nonostante risulti evidente un’elevata variabilità nella risposta all’integrazione (Tab. 2), motivo per cui è difficile poter determinare a priori l’entità dell’incremento della concentrazione di acidi grassi n-3 della carne sulla base della quantità di seme di lino somministrata. Mach et al. (2006), a seguito di un livello di inclusione pari al 3.6% sulla s.s. del mangime complementare, consumato in ragione di 7.08 kg/capo/d, corrispondenti ad un’assunzione di seme di lino pari a circa 280 g/capo/d per 105 giorni, riscontrarono un incremento della concentrazione di acidi grassi omega-3 da 8.9 mg/100g a 18.1 mg/100 g di carne.
Per quanto concerne l’effetto sulle caratteristiche qualitative delle carni, in linea generale, l’inclusione di semi di lino ai quantitativi precedentemente riportati non determina alterazioni delle caratteristiche sensoriali delle carni (Maddock et al., 2006; Juarez et al., 2012). Da un recente studio italiano è emerso inoltre come circa il 75% di consumatori coinvolti nell’indagine e che assumono abitualmente carne bovina non sia stato in grado di distinguere, da un punto di vista sensoriale, carni provenienti da soggetti alimentati o meno con seme di lino (Corazzin et al., 2013).
Per contro, però, LaBrune et al., (2008), in carni di soggetti alimentati con un 10% di semi di lino macinati sulla sostanza secca della dieta (pari a 920 g/capo/d), rispetto a soggetti alimentati con maggior concentrazione di mais o aggiunta di sego bovino, riscontrarono un peggioramento della stabilità ossidativa e, conseguentemente, una maggiore percezione sensoriale di off flavor.
Sempre i medesimi autori riscontrarono inoltre una minore stabilità del colore delle carni. Tali effetti sono dovuti all’aumento della concentrazione di acidi grassi insaturi, maggiormente suscettibili al processo di ossidazione. Ferma restando quest’unica evidenza in bibliografia che riporta potenziali rischi a seguito di utilizzo di elevate quantità di seme, si sottolinea che i quantitativi normalmente utilizzati nella pratica, o meglio consigliati, sono inferiori a quelli utilizzati da tali Autori.
Queste evidenze portano inoltre a suggerire, nel caso di un’inclusione importante di fonti di acidi grassi insaturi in razione, l’incremento della quota di antiossidanti, al fine di prevenire una eccessiva ossidazione della frazione lipidica delle carni. Juarez et al. (2012) hanno infatti riscontrato una riduzione del calo peso su crudo ed un aumento della stabilità ossidativa a seguito dell’integrazione con 1051 UI/capo/d di vitamina E in soggetti che ricevevano una dieta contenente il 10% di seme di lino .
Valutazioni delle caratteristiche qualitative del seme di lino
Da un punto di vista qualitativo, trattandosi di un prodotto ad elevato contenuto lipidico, risulta consigliabile la valutazione del rischio di irrancidimento attraverso la quantificazione del numero di perossidi.
A tale dato è possibile inoltre affiancare il saggio di Kreiss, in grado di individuare i prodotti secondari dell’autossidazione, a differenza dei perossidi che rappresentano i prodotti primari (prima fase del processo di autossidazione). Un saggio di Kreiss negativo, accompagnato a un numero di perossidi contenuto (< 10 meq O2/kg grasso), indicherà che la frazione lipidica si caratterizza per un ridotto livello di ossidazione e, pertanto, per una elevata stabilità e sicurezza.
Per quanto concerne il contenuto in fattori antinutrizionali, è opportuno valutare la concentrazione di acido cianidrico. A riguardo la direttiva CE 32/2002, riporta un limite massimo di acido cianidrico pari a 50 ppm (mg/kg) per mangimi completi e 250 ppm per i semi di lino. Tale valore trova inoltre conferma in un recente parere dell’Efsa che evidenzia che l’assunzione totale di acido cianidrico dovrebbe essere inferiore a 0.25 mg HCN/kg (Efsa, 2007).
Conclusioni
In conclusione l’integrazione della dieta del bovino da carne con semi di lino risulta in grado di determinare, anche a dosaggi di 250-300 g/capo/d, un significativo incremento del contenuto di omega 3 nella carne con risvolti interessanti per quanto riguarda sia le caratteristiche salutistico nutrizionali di questo importante alimento ma anche la possibilità di una specifica qualificazione del prodotto e del sistema produttivo di certo interesse per il consumatore attuale.
Allegati
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