Il concetto di “globalizzazione”, in questi ultimi anni, è diventato sempre più concreto e tangibile anche e soprattutto per i mercati agricoli. Operare in un tale contesto richiede indiscutibilmente un approccio molto attento e maggiormente accurato rispetto al passato, basato su un’approfondita conoscenza della complessità di fattori in grado di causare i repentini cambiamenti che, recentemente, caratterizzano il mercato delle commodities agro-alimentari.
Tali conoscenze risultano fondamentali per operare analisi e previsioni quanto più possibile realistiche a medio/lungo termine, con il fine ultimo di una corretta programmazione degli investimenti e delle scelte.
Forecasting e risk analysis
Il mercato delle materie prime presenta da alcuni anni caratteristiche che lo accomunano sempre più ai mercati finanziari complessi, quali quello immobiliare o, ancor più, quello borsistico, in quanto governato da una pluralità di fattori, spesso lontani al ciclo produttivo stesso come eventi climatici, accordi politici internazionali (ad esempio il Wto), andamenti degli indici borsistici e monetari, mercato immobiliare, prezzo del petrolio, solo per citarne alcuni.
Su tali mercati è oramai da anni che vengono investite ingenti risorse in strumenti e denaro per operazioni di “forecasting” e “risk analysis”, ovvero previsioni degli andamenti del mercato, misurazione del rischio e messa a punto di strategie per governarlo. La sensibilità verso l’implementazione di sistemi di previsione sofisticati e complessi risulta invece insufficiente nel comparto agro-zootecnico il quale, proprio in considerazione delle evoluzioni che lo hanno riguardato e che sempre più lo coinvolgeranno con la “globalizzazione”, ne ha al contrario un indispensabile bisogno.
Il comparto agroalimentare non può infatti più permettersi “sviste” come il “set aside”, la messa a riposo coatta di una proporzione variabile dei terreni agricoli, in un contesto dove un accurato modello previsionale avrebbe evidenziato, a breve, l’aumento delle richieste di materie prime da parte dei paesi in via di sviluppo e quindi la necessità, anziché di uno “standby”, di un potenziamento del settore cerealicolo europeo. O ancora di una politica “disaccoppiata” dei premi Pac in grado di fuorviare i prezzi ai diversi livelli della filiera.
Servono pertanto modelli previsionali basati su un’approfondita e dettagliata conoscenza sia delle filiere produttive sia di tutti i fattori economici e politici in grado di influenzarne gli equilibri, partendo dall’individuazione dei player dotati di forte influenza sul mercato.
L’elaborazione di una tale imponenza di dati richiede necessariamente approcci innovativi e tecnologie avanzate, l’indispensabile supporto delle istituzioni pubbliche nonché il coinvolgimento di tutti i leader del settore, dalla ricerca, alla produzione, all’industria e al commercio, al fine di garantire un’elevata qualità dei dati da esaminare, affinando così l’attendibilità del risultato. Tali modelli previsionali, se ci si ferma a riflettere, inevitabilmente appaiono ad ognuno di noi una tra le principali priorità e necessità per il comparto agro alimentare, di fronte ad un mondo in violenta espansione demografica, crescenti costi di produzione e un preoccupante aumento della richiesta di alimenti.
Sfamare il mondo
Le stime della Fao relative a evoluzione della popolazione mondiale e conseguente disponibilità di alimento non lasciano alcuni dubbi circa la criticità della situazione. Le persone sottonutrite sono ancora ad oggi quasi un miliardo, valore di poco superiore a quello di 40 anni fa (quando però la popolazione mondiale era il 60% circa dell’attuale), sintomo chiaro della scarsa efficacia delle strategie fino ad oggi adottate in materia di lotta alla fame nel mondo.
Secondo stime Onu, la popolazione mondiale raggiungerà i 9,3 miliardi di abitanti nel 2050, più di 6 miliardi dei quali concentrati nelle città (Fig. 1), motivo per cui sarà necessaria un’importante opera di programmazione a livello agricolo al fine di garantire un sufficiente approvvigionamento alimentare.
Tale affermazione risulta ancor più veritiera se si considerano i dati Faostat, dai quali emerge come ad oggi siano utilizzati circa 1,5 miliardi di ettari per la produzione agricola mentre ne rimangono ancora utilizzabili altri 2,8 miliardi, la maggior parte dei quali in America Latina, Africa Sub-Sahariana e nei paesi più sviluppati, mentre limitate sono le risorse disponibili per il Medio Oriente, il Nord Africa e il Sud dell’Asia. Verosimilmente, quindi, questi paesi che, soprattutto il Sud dell’Asia, saranno tra le principali culle dell’incremento demografico, dovranno aumentare in maniera consistente l’importazione di materie prime agricole e di alimenti.
Relativamente all’aumento della richiesta di alimento, l’attuale consumo medio pro/capite a livello mondiale di 2770 Kcal raggiungerà nel giro di pochi anni (2015) le 2860 Kcal, per poi arrivare alla soglia delle 3000 Kcal nel 2050. La crescita percentualmente più rilevante avverrà nel Sud-Est asiatico, in Medioriente, nel Nord Africa e in America Latina (Alexandratos, 2011).
Contemporaneamente, si assisterà ad un elevato incremento della produzione mondiale di etanolo, quota parte del quale, come noto, originerà da fonti vegetali (mais e canna da zucchero in primis) (Oecd and Fao Agricultural Outlook 2011-2020). Per contro, il trend di crescita della produzione maidicola registrato negli ultimi 30 anni, pari a 43 kg/ha/anno (Fischer et al., 2009), non sarà sufficiente a coprire i crescenti fabbisogni di mais da impiegarsi per l’alimentazione umana, per quella animale e per la produzione di bioenergia (Wiebe, 2012).
Le ripercussioni sui mercati di un tale quadro possono risultare preoccupanti. Solo la crescente domanda di generi alimentari che ha caratterizzato il recente passato ha avuto un impatto notevole e violento sul mercato delle commodities agricole e dei prodotti alimentari, determinando, a partire dal 2008, una notevole volatilità ed un marcato aumento dei prezzi a livello mondiale. Tale andamento è risultato del tutto anomalo rispetto a quanto osservato negli ultimi 15 anni, caratterizzati da una discreta stabilità delle quotazioni (Fig. 2).
La programmazione
Da tale breve e sintetica panoramica scaturisce indiscussa l’importanza di individuare e attuare strategie di programmazione in grado di garantire un sostenibile aumento della produzione e un’accurata e razionale destinazione finale dei prodotti agricoli (produzione di bioenergia vs alimentazione umana e animale). La programmazione risulterà inoltre uno strumento fondamentale per garantire redditività all’attività agricola, soprattutto in paesi come il nostro caratterizzati da basso tasso di autoapprovvigionamento delle materie prime ed elevati costi di produzione.
Tali aspetti, con particolare riferimento alla riduzione della popolazione al di sotto della soglia di denutrizione garantendo cioè la cosiddetta “food security”, ovvero la possibilità di poter accedere ad un’adeguata quantità di cibo, e la necessità di fornire agli agricoltori “meccanismi adeguati per la gestione dei rischi e delle crisi di mercato”, sono stati tra gli obiettivi fissati nella dichiarazione finale dei ministri dell’Agricoltura dei paesi G8, redatta al termine dell’incontro di Cison di Valmarino, il 20 aprile 2009.
Il mercato mondiale delle carni bovine
L’analisi dell’andamento dell’indice Fao del prezzo delle carni bovine degli ultimi 20 anni ripropone la situazione già descritta per le altre commodities (Fig. 3). Si può notare, infatti, come dal 1990 al 2006 le quotazioni risultino pressoché stazionarie, fatto salvo per la flessione tra il 2000 ed il 2001 dovuta alla Bse e comunque ristabilitasi in breve tempo sulle quotazioni degli anni precedenti.
A partire dal 2008, invece, si è verificata un importante ascesa dei prezzi, caratterizzata altresì da elevata volatilità. Le cause di tali improvvise e forti variazioni, come vedremo, sono molteplici e in alcuni casi esterne al settore carne bovina, come ad esempio l’influenza esercitata dal prezzo del petrolio che in quegli anni ha toccato in breve tempo quotazioni mai raggiunte in passato (Fig. 4), seguite poi da elevata volatilità.
Le variazioni del mercato sono comunque originate principalmente da cause interne al comparto produttivo; infatti i principali paesi produttori di carni bovine del Nord e Sud America, proprio a fronte di una previsione di elevata richiesta di prodotto, hanno intrapreso nel 2010 un’opera di ricostituzione delle mandrie di vacche nutrici riducendo ai minimi termini le macellazioni di animali di sesso femminile e, di conseguenza, la disponibilità di una quota importante di carni. Inoltre, onde contenere l’inflazione dei prezzi sul mercato interno, il governo Argentino ha imposto a più riprese un blocco dell’export di carni bovine ad eccezione della quota Hilton il che, come ovvio, ha determinato una riduzione della quantità di carne disponibile sul mercato mondiale.
A tali contingenze si è sommato da un lato un andamento climatico sfavorevole in Australia e Nuova Zelanda, che ha ridotto la produttività delle mandrie bovine e la disponibilità di prodotto per l’export, e dall’altro un forte aumento della domanda da parte di Russia, Giappone (a seguito del catastrofico terremoto del 2011), Corea del Sud, Sud-Est asiatico, Canada e dei paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, Turchia su tutti.
Per quanto riguarda la produzione di carne bovina, la Fao prevede, al 2020, un aumento pari a 867 milioni di tonnellate, il 78% del quale proverrà dai paesi emergenti a seguito di un incremento del numero di animali allevati, dell’attuazione di economie di scala e di miglioramenti tecnici.
Tale sviluppo verrà però rallentato nonostante la presenza in alcuni paesi di elevate risorse naturali come Brasile, Federazione Russa e Africa Sub-Sahariana, dall’alto costo alimentare e dall’inefficienza dei trasporti per la carenza di infrastrutture. Nei paesi cosiddetti sviluppati la carenza di risorse naturali si conferma e permane il principale limite per un ulteriore aumento della produzione di carne bovina, mancando sempre più la disponibilità di terreni, giovani animali da ingrassare e manodopera a costi sostenibili (Fig. 5).
Per quanto concerne i consumi, la crescita prevista dalla Fao, sempre al 2020, per l’insieme delle carni bovine, ovine, suine e avicole è di circa 60 milioni di tonnellate. Essa avverrà principalmente nei paesi emergenti quali Asia, circa il 56% del totale e America latina, con una quota pari al 18%, soprattutto a seguito della crescita demografica e dell’urbanizzazione. Nord America, Africa, Europa ed Oceania copriranno invece il restante 26%.
Per l’Ue è previsto un calo dei consumi di carne bovina dello 0,50%, più consistente nei paesi dell’Europa centro-occidentale (-4,50%). La ridotta crescita demografica rappresenta il principale freno all’incremento dei consumi di carne bovina nei paesi più sviluppati, alla quale si uniscono l’invecchiamento della popolazione e una crescente preoccupazione circa l’impatto ambientale delle produzioni zootecniche.
Relativamente alle quotazioni, gli analisti Fao stimano che l’elevato costo della carne bovina di questi periodi, conseguente ad una carenza di offerta e agli alti costi delle materie prime, determinerà nei prossimi anni un aumento della produzione, il che dovrebbe fungere da calmiere delle quotazioni (fig. 6). Sempre nel medesimo documento, “Agricultural Outlook 2011-2020”, gli analisti Fao indicano, relativamente al mercato delle carni bovine, alcuni possibili eventi in grado di sconvolgere quanto previsto:
l insorgenza di epidemie sanitarie, le quali avrebbero un maggior impatto soprattutto se a carico di paesi forti esportatori come Australia, Canada, Usa e Brasile;
l insorgenza di focolai di natura zoonosica, che potrebbe non tanto alterare l’offerta quanto più la domanda globale;
l aumento della produzione da parte dei paesi importatori, primi tra tutti Russia e Cina. La prima ha già manifestato segnali di tale natura per quanto riguarda la produzione di carne avicola e suina, mentre in Cina, negli ultimi 30 anni, oltre che ad un aumento produttivo generale (+ 5,80% annuo) si è assistito ad un incremento della quota di carni bovine ed avicole prodotte, in luogo di quelle suine (Zhou et al., 2012. Fig. 7);
l variazione dello stato di indennità da Afta epizootica (Fmd): il mondo produttivo delle carni bovine è essenzialmente diviso tra paesi indenni e paesi non indenni da Fmd, con la presenza quindi di due mercati del bestiame vivo quasi a sé stanti. Tra questi ultimi paesi figura, ad esempio, il Brasile, eccezion fatta per lo stato di Santa Catarina, da cui gli Usa importano animali. Qualora i brasiliani riuscissero ad eradicare l’afta epizootica anche da altri stati federali, tale evento potrebbe avere un forte impatto sulla disponibilità di ristalli nel circuito Fmd free, il quale comprende i principali paesi industrializzati (tra i quali Australia, Canada, Giappone, Ue e Usa).
In Italia: prezzi in aumento, consumi in calo
Nell’ultimo decennio, l’andamento delle quotazioni delle carni a livello mondiale e quello dei bovini da macello in Italia risultano similari (Fig. 3), ovvero quotazioni ridotte durante la “crisi - Bse” nel biennio 2000-2001 seguite poi da recupero e stabilità sino al 2008, salvo poi far registrare un trend di crescita. Anche le principali materie prime impiegate nell’alimentazione del bovino da carne (mais e soia) hanno seguito un trend analogo a quello registrato dalla Fao a livello globale (Fig. 7 bis) evidenziando l’elevato livello di globalizzazione oramai raggiunto dal mercato delle commodities alimentari.
Dal confronto tra numero di animali macellati e consumo di carne bovina in Italia emerge come, a differenza di un tempo, i fattori che regolano il mercato si scostino dal semplice rapporto tra domanda ed offerta interni. Se il mercato nazionale fosse ancora influenzato da tale rapporto, l’aumento osservato (Fig. 8) sarebbe infatti dovuto scaturire da un aumento della domanda interna di carne e un calo di offerta.
I dati riportati in figura 9 e in tabella 1 evidenziano, invece, una riduzione interna del numero di capi allevati e dei consumi di carni bovine. Oltre alle evoluzioni a livello mondiale sopra citate, un contributo importante alla crescita dei prezzi è stato dato dalle esportazioni sia di animali vivi verso la Turchia con sgravi fiscali più favorevoli rispetto alle carni, sia di carni verso i paesi del Maghreb e la Russia (Tab. 2).
Negli ultimi mesi si è poi affiancata una rilevante riduzione delle importazioni di animali da ingrassare a seguito del considerevole aumento delle quotazioni dei bovini da ristallo (Fig. 10) con una conseguente diminuzione del numero di capi allevati e di carne prodotta. Nello specifico, proprio attualmente il mercato lamenta una forte carenza di animali di sesso femminile sia da ristallo che da macello a causa della decisione di parecchi allevatori francesi di implementare il numero di vacche nutrici, riducendo quindi l’export di scottone da ristallo.
L’aumento dei prezzi dei ristalli francesi scaturisce comunque anche dal crescente sviluppo in Francia dell’allevamento da ingrasso, il quale, ovviamente, toglie ristalli al mercato italiano e consente ai transalpini di “chiudere” all’interno del loro paese la filiera, esportando carni verso il nostro paese. Dal 2006 al 2010 l’importazione di carni dalla Francia è passata infatti dal 14,90 al 19,70% del totale della carne bovina importata dall’Italia (Crpa, 2011).
Volatilità
Dalla panoramica sui mercati di materie prime, bovini vivi e carni bovine emergono chiaramente due evidenze: un generale aumento dei prezzi dal 2008 in avanti, a differenza della stabilità che ha caratterizzato gli anni precedenti e, sempre a partire dallo stesso anno, un’elevata volatilità delle quotazioni. La volatilità che caratterizza il periodo pone numerose aziende del comparto agro-alimentare in grande difficoltà, poiché sprovviste di appropriati strumenti quantitativi e qualitativi di previsione e analisi dei rischi.
Tali strumenti, da anni alla base di scelte economiche o progettuali importanti in numerosi altri settori, diventano oramai strumenti imprescindibili anche per il primario, comparto al quale bisogna inoltre garantirne la massima fruibilità e diffusione oltre ad un ampia e semplice possibilità di acquisizione.
Negli ultimi anni, infatti, la complessità raggiunta dai mercati delle commodities, nonché le variabili su di essi incidenti sono oramai paragonabili ai settori finanziari più sofisticati, con prodotti che vanno dai futures ai derivati, con contributi e scelte governative dei diversi paesi di notevole rilevanza economica o dinamiche estremamente nuove rispetto al passato, come la produzione di bioenergia. Tali nuovi equilibri sono in grado di influenzare notevolmente e inaspettatamente le quotazioni, esitando in comportamenti molto differenti dalla normale dinamica domanda-offerta e difficilmente prevedibili dai classici modelli predittivi, non sufficientemente complessi ed articolati per descriverne con adeguata attendibilità i possibili andamenti.
Un esempio è rappresentato dall’andamento dei prezzi dei prodotti alimentari a livello mondiale a partire dal 2008, risultato analogo a quello dell’indice azionario Standard & Poor’s (Fig. 11), aspetto che sottolinea come, da quel momento in avanti, i grandi investitori a livello mondiale abbiano iniziato con decisione ad investire nel mercato delle commodities alimentari con prodotti di speculazione quali futures e derivati, generando quella volatilità caratterizzante il sistema borsistico e che mai prima di allora aveva riguardato i mercati dei prodotti agro-alimentari.
di G. Baldi, R. Compiani, C.A. Sgoifo Rossi, V. Dell’Orto
Gli autori sono del Dipartimento di Scienze veterinarie per la salute, la produzione animale e la sicurezza alimentare, Università degli Studi di Milano.
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