Il mais ad uso foraggero è sicuramente la coltura più diffusa negli areali irrigui dove vi è un’elevata presenza della zootecnia intensiva, in modo particolare quella da latte. Nonostante i costi di coltivazione siano notevoli (2.356 ±185 €/ha, come da Bellingeri et al. 2019), il ritorno economico è assicurato dalla importante resa/ha che questa coltura assicura rispetto ad altre.
Con il professor Francesco Masoero e il dottor Antonio Gallo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, e con Emanuele Badalotti di Bayer, presenteremo spunti utili per efficientare e ottimizzare quantità e qualità del trinciato che portiamo in trincea.
Professor Masoero, quali sono i parametri che un allevatore dovrebbe considerare per massimizzare il ritorno dell’investimento del trinciato integrale di mais?
«Da un punto di vista nutrizionale, oltre a puntare ad un alto livello produttivo in termini di biomassa (sostanza secca) prodotta per ettaro, bisognerebbe soprattutto concentrarsi e valutare la quantità di “materia utile” per l’animale prodotta per ettaro. Con “materia utile” si intende la quantità di nutrienti che sono realmente disponibili al fine del soddisfacimento degli elevati fabbisogni energetici e proteici di mantenimento e produzione.
Nel caso del trinciato integrale, gli indicatori di riferimento potrebbero essere la produzione per ettaro di fibra (in particolare la quota di NDF) e amido digeribile a livello del tratto gastro-intestinale degli animali. Nel caso della NDF, questo significa avere ibridi di mais caratterizzati da una parte vegetativa facilmente degradabile dai microrganismi ruminali e poco lignificata. Questo permetterà ai batteri ruminali di massimizzarne l’utilizzazione della NDF contribuendo in modo importante alla copertura dei fabbisogni dell’animale attraverso la sintesi di acidi grassi volatili a livello del comparto rumine-reticolo.
Gli ibridi attualmente commercializzati sono stati selezionati per massimizzare la quota di NDF degradabile, passando da valori del 45-48% dei vecchi ibridi a valori ben superiori al 65% per i nuovi ibridi. Diverso invece è stato l’approccio riguardo la qualità della parte amidacea, che rappresenta fino al 35-37% della sostanza secca raccolta. In questo senso, le linee di selezione devono tenere presente anche i concetti di degradabilità ruminale dell’amido (effetto sulla sintesi proteica) e di digeribilità intestinale della frazione di amido che sfugge alle fermentazioni microbiche (quota by-pass).
Avere troppo amido by-pass potrebbe causare, in presenza di una non completa utilizzazione nella prima parte dell’intestino, un eccesso di materia fermentescibile nel grosso intestino con rischio di acidosi intestinale».
Badalotti, come lavora Dekalb per migliorare anno dopo anno gli ibridi che arrivano al mercato italiano?
«Bayer ha un centro di ricerca nel Cremonese, cuore della zootecnia italiana, e questo vuol dire selezionare i parentali dei futuri ibridi, consentendoci di ottenere un’ottima adattabilità del materiale commercializzato. Verificare a pieno campo il comportamento degli ibridi in numerose situazioni ci permette di capire qual è la loro tolleranza a situazioni “multi-stress”.
Da molti anni, seminiamo gli ibridi da trinciato a 5 diverse densità di semina (da 6,5 a 12,5 semi/m2) in località italiane dove la produzione da trinciato è cruciale.
Possiamo pertanto testarne la risposta sia in termini di produzione sia riguardo ai principali parametri nutrizionali di interesse per l’allevatore.
Grazie a queste conoscenze, vogliamo portare agli agricoltori, non solo gli ibridi più performanti, ma anche soluzioni in grado, sia di fornire il consiglio di semina ottimale, sia nel definire il miglior momento di raccolta».
Dottor Gallo, come un allevatore può capire come valorizzare al meglio il trinciato di mais?
«Nel 2020, Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza e Bayer hanno avviato una collaborazione per capire la risposta produttiva, in termini di “materia utile” prodotta per ettaro, che diversi ibridi hanno in condizioni di pieno campo, in zone più o meno vocate della Pianura Padana e in condizioni diverse di coltivazione (data di semina e di raccolta, fertilità, input agronomici, etc).
E’ emerso che alcuni fattori, più di altri, possono influenzare la produzione di materia utile/ha di trinciato integrale. In particolare, anche se questo è noto, lo stesso ibrido può produrre il ±25-30% in funzione delle diverse condizioni agro-tecniche. Ad esempio, l’epoca di raccolta e la maturità della pianta sono fra i principali fattori in grado di influenzare la produzione di NDF e amido utile agli animali.
Ovviamente la tipologia dell’ibrido in termini di caratteristiche di “stay-green” e di velocità di maturazione della granella (Fast dry down) determinano grandi variazioni e risposte alle diverse condizioni di campo.
Dall’analisi condotta si è potuto verificare come, a parità di tutte le altre condizioni, non raccogliere al momento idoneo possa causare una perdita di 5 q.li/ettaro di NDF utile e altrettanti di amido utile. Tenuto conto delle corrette degradabilità che caratterizzano le materie prime ed i prodotti che compongono i mangimi, sopperire a questa mancata produzione potrebbe significare acquistare circa 8-10 q.li/ettaro di un buon mangime amidaceo-fibroso. In termini economici, questo potrebbe significare un costo pari 300-400 €/ha».
Badalotti, dalle informazioni in vostro possesso, quali sono le situazioni in cui si massimizzano la quantità e la qualità degli ibridi Dekalb?
«Per ogni ibrido e situazione (epoca di semina, fertilità, disponibilità idrica etc.) vi è una densità di semina ottimale e un momento ideale di raccolta per massimizzare la quantità e la qualità del trinciato. Prendiamo due ibridi Dekalb di classe 700, seminati in primo raccolto: DKC7107 e DKC7084. Dalle nostre conoscenze, si evince che DKC7107 si esprime al meglio negli appezzamenti aziendali più fertili, mentre DKC7084 manifesta performance elevate anche nelle situazioni più difficili.
Inoltre per entrambi la miglior densità di semina è di 8 semi/m2. Grazie all’elevato stay-green che ambedue presentano, mediamente il valore di NDF utile/ha si mantiene ad un ottimo livello anche in situazioni di linea del latte elevata (grafico 1).
Parimenti, anche il valore medio di amido utile/ha aumenta (grafico 2). Riteniamo in conclusione che DKC7107 e DKC7084 si adattano anche a raccolte più tardive, fino a 2/3 “linea del latte” (ndr amido), mantenendo ottimi valori nutrizionali. Le modalità di insilamento devono variare in funzione delle caratteristiche fisiche del trinciato (lunghezza e tipologia di taglio, SS, etc) così da mantenerne le caratteristiche presenti al momento della raccolta: è cruciale adattare il taglio in funzione del momento di maturazione».
In conclusione, da questa breve chiacchierata con gli specialisti dell’Università Cattolica di Piacenza e di Bayer è emerso chiaramente l’importanza che la selezione e il lavoro di campo hanno nel massimizzare la produzione di materia utile che può essere prodotta con il trinciato di mais.
In quest’ottica, “l’animale” deve quindi rappresentare il focus centrale che tutti gli attori della filiera devono avere per migliorare, giorno dopo giorno, le opportunità presenti nel mercato.
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