La Paver, importante costruttore di prefabbricati molto attivo anche in ambito zootecnico, organizza ogni anno una giornata di studio e approfondimento su diversi aspetti dell’agricoltura e dell’allevamento in particolare. La quattordicesima giornata di studio, svoltasi come sempre presso la sede dell’azienda, a pochi chilometri da Piacenza, ha trattato sia argomenti tecnici – come l’importanza delle strutture per il successo dell’allevamento e la corretta gestione degli insilati – sia questioni più economiche, a cominciare dall’atteggiamento da tenere nei confronti della nuova Pac e delle possibilità di finanziamento da essa offerte, illustrate da Ermanno Comegna.
Accanto all’economista agrario si sono alternati sul palco Giorgio Borreani, del Politecnico di Torino, e Pierluigi Navarotto, già docente presso l’università di Milano, oltre a Ciro d’Apice, responsabile del settore agricoltura e agroalimentare per Crédit Agricole, che ha ricordato come i bassi tassi e la ripresa della domanda stiano creando un momento straordinario per chiunque voglia investire.
Una visione che ha trovato concorde il presidente di Paver Giuseppe Parenti. Quest’ultimo, tuttavia, non ha mancato di sottolineare come gli imprenditori abbiano bisogno, in primo luogo, di certezze e dunque di sapere in tempi rapidi se un finanziamento ha possibilità o meno di essere concesso.
Pur dopo un lungo e tormentato travaglio, i nuovi Psr stanno finalmente venendo alla luce, uno dopo l’altro. Essi rappresentano, come noto, un’importante fonte di finanziamento per gli agricoltori. Anzi: secondo Ermanno Comegna, economista agrario, sono ormai l’unica fonte disponibile, visto che Governo e regioni hanno da tempo interrotto ogni stanziamento. “Per questo motivo – ha aggiunto il relatore – occorre muoversi con destrezza all’interno dei Psr e sfruttare al meglio le sue possibilità. Per esempio, deve essere chiaro che l’Unione Europea, e di conseguenza le Regioni, non finanziano più ciò che l’agricoltore intende fare, ma ciò che esse vogliono che l’agricoltore faccia. Se un imprenditore vuol ottenere soldi deve dunque considerare molto attentamente due elementi importanti della domanda, che sono la finalità e la descrizione dell’intervento”.
Una possibile fonte di finanziamento è poi rappresentata dal cosiddetto approccio integrato. “Ne esistono di due tipi: quello di filiera e quello di area. Nel primo, più soggetti appartenenti a una stessa filiera si mettono assieme per realizzare un progetto che interessa tutti. Dopodiché, ottenuti i fondi, ciascun beneficiario realizza la parte di sua competenza. Nel progetto integrato di area, invece, più agricoltori di uno stesso comprensorio si uniscono per un investimento comune, solitamente riguardante un obiettivo o una criticità del territorio”.
Come ha spiegato il relatore, l’approccio integrato richiede un iter specifico: “Occorre focalizzarsi con precisione su un obiettivo, costituire un’aggregazione di imprese, individuare gli investimenti e poi presentare la domanda. Soprattutto per l’approccio integrato di filiera, l’agricoltore è solitamente un comprimario che può ricavare un’utilità dall’aggregazione con soggetti più forti, piuttosto che il promotore della domanda”.
Un altro elemento che caratterizza – purtroppo – gli ultimi Psr è l’eccesso di burocrazia. “Le regioni sono purtroppo solerti nell’applicare gli inasprimenti burocratici decisi a Bruxelles e lente, invece, quando si tratta attuare misure di semplificazione, anche quelle promosse dalla stessa Ue. Una procedura che sarebbe facilmente semplificabile, per esempio, è quella dei tre preventivi richiesti per finanziare l’acquisto di macchine e attrezzature: basterebbe stilare un elenco di costi di riferimento per ogni attrezzo: fatta questa lista, si finanzierebbero i vari acquisti in base a essa, senza richiedere tre preventivi e senza troppo lavoro di istruttoria”.
Lo stesso, ha concluso il relatore, si potrebbe fare per gli investimenti strutturali. “Oggi tutti i Psr usano il cosiddetto sistema a rimborso, che prevede il controllo di ogni singola operazione e l’erogazione del contributo a fronte di fattura sulla spesa effettivamente sostenuta. Al contrario, l’Europa invita ad adottare il regime dei costi semplificati, che ribalta la logica attuale: in via preliminare si stabiliscono i costi al metro quadro delle diverse opere, dopodiché tutti i lavori che sono in linea con i queste cifre sono automaticamente finanziati”.
Buone trincee per buoni foraggi
Specializzato in studio degli insilati, Giorgio Borreani da tempo conduce ricerche ed esperimenti per scoprire come migliorare la qualità dei foraggi in trincea e quali siano gli errori da evitare nella realizzazione della medesima. Proprio le cose da non fare sono state il filo conduttore del suo interessante intervento: “I momenti critici dell’insilamento sono due: la fermentazione, grazie alla quale all’apertura della trincea si ritrova un foraggio sano come quello che abbiamo immesso nella medesima alcuni mesi prima, e il periodo dell’impiego. Nel primo caso abbiamo a che fare, come noto, con la fermentazione anaerobica, mentre nel secondo il rischio è quello del deterioramento aerobico”.
Lasciando momentaneamente da parte la questione sanitaria, la semplice valutazione dei danni quantitativi dovrebbe consigliare a qualsiasi allevatore di prestare grande attenzione alle fermentazioni aerobiche: “Durante l’impiego della trincea, i lieviti – invisibili – e le muffe, più facilmente identificabili, possono sottrarre fino al 30% dell’energia dall’insilato. Senza contare che dare agli animali un silomais attaccato dai lieviti può comportare un calo produttivo che va da 1 a 1,4 litri per capo al giorno”.
Le soluzioni per non incorrere in questi problemi sono quelle già note: innanzitutto la prevenzione, con il corretto compattamento della trincea, soprattutto lungo i bordi della medesima, e l’apposizione di un telo anche lungo le pareti in prefabbricato. Poi il corretto impiego del silo, che non deve restare troppo tempo aperto, una volta tolta la copertura. Quest’ultima, infine, deve essere a prova di infiltrazione d’aria e ben pressata, meglio se con terra o ghiaia, da preferire ai più comuni copertoni.
“Il fronte di avanzamento è importante soprattutto in estate, quando le alte temperature aumentano fortemente il rischio di fermentazione. In questa stagione il silo dovrebbe arretrare di almeno un metro e mezzo a settimana, mentre in inverno un metro a settimana è sufficiente a garantire un buon margine di sicurezza”.
Per la gestione dei reflui
Pierluigi Navarotto, già docente dell’università di Milano, è un ospite fisso dei convegni Paver. Quest’anno ha affrontato uno dei temi a lui più cari: le strutture e la loro importanza ai fini della redditività dell’allevamento. “La struttura incide pesantemente sulla gestione e sui risultati produttivi dell’allevamento stesso. Purtroppo, molto spesso si tende a banalizzare la questione, dimenticando che la scelta strutturale, a differenza di altre, è definitiva e condizionerà l’attività aziendale per gli anni a venire”.
Responsabile di questa “banalizzazione” è anche, secondo il docente, l’eccessiva burocrazia: “Le difficoltà, materiali e oggettive, per ottenere le autorizzazioni edilizie fanno sì che molti allevatori finiscano per concentrare l’attenzione su questi problemi, dimenticandosi invece dell’importanza di un’adeguata pianificazione strutturale”.
Per esempio, benessere degli animali e igiene interna dipendono fortemente dal tipo di struttura che si realizza. “Non soltanto: anche pulibilità delle superfici e delle attrezzature, facilità di deambulazione e di asportazione dei reflui e molto altro dipendono da come è stato costruito un edificio”. Tutto questo senza contare la successiva gestione dei reflui: a seconda dell’impiego che si intende farne – distribuzione tal quale o uso energetico, per esempio – la scelta di una tipologia di edificio piuttosto che un’altra è ovviamente determinante.
Proprio partendo dalla necessità di raccogliere e trasportare i reflui, Navarotto ha mostrato, con un interessante esempio, come le strutture possano avere un ruolo di rilievo nella successiva gestione dell’allevamento: “Il cosiddetto canale Gol (sigla che sta per Gas & Odor Less, ovvero meno gas e odori, ndr) è una soluzione semplice ed economica per ridurre le emissioni e fornire inoltre reflui più freschi a un eventuale biodigestore”.
In sostanza, il Gol è una normale fossa posta sotto al grigliato, con la differenza che il fondo della medesima non è piatto ma svasato, a simulare il letto di un canale di scolo (da qui il nome alternativo di “canalone”). “I vantaggi di una sezione simile sono molti: in primo luogo la superficie di contatto tra liquami e aria si riduce dell’80% rispetto a una fossa rettangolare. Meno superficie esposta – continua Navarotto – comporta minori emissioni e dunque benefici sia per l’ambiente sia per gli animali che vivono nel capannone. In secondo luogo, il Gol ha frequenze di svuotamento molto superiori: nell’ordine di 3 giorni e mezzo contro i 15 richiesti da una fossa convenzionale in vacuum system”. Svuotare più spesso significa, chiaramente, mandare reflui più freschi alle vasche o all’impianto di biogas e dunque, ancora una volta, inquinare meno e aumentare l’efficienza dell’estrazione di energia.
L’articolo completo è pubblicato su Informatore Zootecnico n. 21/2015
L’edicola di Informatore Zootecnico