Prezzo del latte da fame, caseifici pieni di Pecorino romano invenduto, pastori sul piede di guerra da giugno, scontri in piazza e occupazioni delle istituzioni, accordi siglati alle prime luci dell’alba. A tutto quello che nei mesi scorsi ha portato la pecora sarda sulla bocca di tutti, anche oltre i confini isolani, ora si aggiunge una legge fresca fresca approvata il 12 novembre dal Consiglio regionale.
Una legge voluta dalla Giunta regionale, appoggiata da alcune associazioni (Confagricoltura e Copagri) ma osteggiata da altre (Cia e Coldiretti e Movimento pastori) che in soldoni stanzia per l’agricoltura isolana quasi 150 milioni per il triennio 2010-2012.
Di questi, una cinquantina sono soltanto per l’ovi-caprino: il comparto chiave dell’economia agricola sarda che, secondo Andrea Prato, assessore regionale dell’Agricoltura, sta attraversando «la peggiore crisi dal dopoguerra a oggi».
Proprio l’assessore sardo, industriale caseario del settore caprino prestato alla politica, è stato al centro di una delle vertenze che hanno infiammato l’estate e che hanno riportato in primo piano i problemi di stare in campagna, i costi di produzione, i redditi sempre più bassi dei pastori, le aziende che chiudono, il prezzo del latte a soli 60 centesimi/litro.
Sempre al centro delle polemiche, osteggiato spesso dalla sua stessa maggioranza ma sopravvissuto al rimpasto di ottobre della giunta, in quest’ultimo periodo Prato sembra aver assunto una posizione più defilata e ora, a legge approvata, tende un ramoscello d’ulivo alle associazioni che lo contestano: «Mettiamo da parte le critiche, vediamo a quali risultati porta questo provvedimento, poi ogni giudizio sarà legittimo. Nel frattempo, lavoriamo insieme».
Assessore Prato, ora c’è la legge ma la vertenza è tutt’altro che archiviata.
«Adesso entriamo nella fase attuativa e dobbiamo operare uniti tralasciando le polemiche. E dobbiamo fare in fretta perché ci sono delle somme da spendere entro il 31 dicembre, che serviranno principalmente per l’aggregazione dell’offerta; per eliminare le giacenze di formaggio ovino invenduto grazie anche a interventi nuovi come destinarlo ai Paesi in via di sviluppo; per la diversificazione produttiva; premi a chi trasforma il latte ovino in polvere; fondi per ristorare le nostre aziende del primario. A queste risorse vanno poi aggiunti i 14+4 milioni che Agea ha impegnato per il prossimo bando degli indigenti».
Questa legge è solo un pannicello caldo per bloccare le proteste o qualcosa di più?
«Voglio ribadire che è uno strumento decisivo che non solo affronta la crisi di oggi, ma vuole gettare le basi perché tra due o tre anni non ci ritroviamo con gli stessi problemi, con 60 mila quintali di pecorino da smaltire. La legge contiene numerosi interventi infrastrutturali, per l’accesso al credito, per il ricambio generazionale, incentivi per il fotovoltaico nelle stalle. È il primo passo per una riforma agraria in Sardegna di cui da anni si è solo parlato».
Nel suo discorso in Consiglio regionale, durante la discussione del disegno di legge, ha parlato di “vergogne” da cancellare nel comparto ovino per superare questa crisi. A cosa si riferiva?
«Al latte pagato ancora al litro e non secondo la qualità del prodotto, alla mancata elettrificazione rurale, al fatto che l’80% del latte ovino diventa un solo formaggio (il Pecorino Romano), ma soprattutto al sistema delle caparre che ancora regola, come fossimo ancora al Medioevo, i rapporti tra produttori e trasformatori (cooperative e industriali), e non permette la crescita né tantomeno un rapporto sereno fra le parti».
Nell’accordo siglato con il Movimento pastori si parla di un prezzo del latte che avrà una forbice tra 0,75 e 0,85 centesimi al litro. Come farete a obbligare le imprese di trasformazione a rispettare minimo e massimo nel pagamento del latte ai pastori?
«In questa fase ognuno deve fare la propria parte. Il settore della trasformazione, se vorrà accedere ai sostegni regionali, dovrà rispettare dei vincoli affinché la remunerazione della materia prima sia adeguata». Il vero problema sembra essere sempre il Pecorino romano.
«Per troppi anni questo formaggio è stato il bene rifugio per i pastori e per chi lo produceva. Dopo i 7 euro e più al chilo alla vendita che ha raggiunto nel 2008, ora siamo arrivati ai 4 euro. Questa altalena ha provocato gravi danni e anche negli Stati Uniti, dal 2008, ora si consuma meno Pecorino romano perché nel frattempo altri formaggi locali (spesso vaccini) hanno preso il suo posto. Dobbiamo ridare dignità a quello che è un grande formaggio ovino sardo e italiano, e questo grazie a una sua produzione più controllata e realmente rispondente alle quantità che il mercato può assorbire. E grazie a una quantità di sale dimezzata rispetto a oggi che lo possa far diventare anche un formaggio da tavola».
Quando la crisi potrà dirsi finita?
«Non voglio fare previsioni, ma se grazie alla legge e alla collaborazione di tutti gli attori della filiera partiremo bene, saremo già a un buon punto».
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