Sono stati necessari otto anni segnati da una pesante crisi e da una lenta ripresa, ma nel 2011 il Parmigiano-Reggiano è riuscito a superare le quotazioni medie toccate nel 2003, l’annata migliore del decennio 2000-2010. I prezzi all’origine si sono infatti attestati, lo scorso anno, sulla media di 10,76 euro/kg, mentre nel 2003 si collocarono a 9,25 euro/kg.
Il sorpasso, sfiorato nel 2010, quando i prezzi medi all’origine si posizionarono a 9,14 euro/kg, è avvenuto soprattutto grazie al buon andamento del primo quadrimestre 2011 (picco in aprile, con 11,45 euro/kg di media mensile), al quale è seguito un ripiegamento delle quotazioni (10,40 euro/kg la media di luglio) e infine la stabilità degli ultimi quattro mesi (con 10,50 euro/kg). Sono dati presentati nei giorni scorsi a Bologna dai dirigenti del Consorzio.
Rispetto al 2010, dunque, l’incremento delle quotazioni si è attestato di poco al di sotto del 18%, ed è un valore, sottolinea il presidente del Consorzio del Parmigiano-Reggiano, Giuseppe Alai, «che ha finalmente restituito ai produttori quella redditività e quella possibilità di investimento che è mancata per molti anni».
Non è allora casuale il dato che indica nel 7,1% l’incremento della produzione 2011 (3.231.862 forme, per un valore, all’origine, di 1,215 miliardi di euro), cioè quasi il triplo rispetto al +2,44% del 2010.
«Un valore molto alto, ma grazie alle azioni che sono state messe in atto in campo commerciale - spiega Alai - non siamo in situazione di allarme: le scorte hanno registrato un aumento modesto e fisiologico (un 11,5% in più, equivalente però a sole 84mila forme e a livelli identici a quelli del 2009); il +4,2% delle esportazioni è un buon dato e lo sono, soprattutto, i ritiri effettuati dalla società I4S, che interessano oltre 180mila forme destinate a mercati e tipologie di consumo diversi da quelli interni». Resta però il fatto, e qui Alai non nasconde qualche preoccupazione, «che la crescita produttiva va riportata rapidamente entro limiti sopportabili da un mercato che ha già penalizzato duramente i produttori».
«L’approvazione dei criteri di gestione dei piani produttivi da parte dell’Assemblea dei soci del novembre scorso, con gli annessi contributi consortili aggiuntivi per chi sforerà i tetti produttivi - sottolinea Alai - è in tal senso incoraggiante, ma l’obbligo del governo della produzione per garantire redditività ai produttori non è legato soltanto alla coerenza rispetto alle capacità di assorbimento del mercato. La storia ci dice che il calo dei consumi e delle quotazioni si lega in modo evidente alle repentine ed ampie oscillazioni dei prezzi al dettaglio, che tendono a disorientare i consumatori e ad abbassarne la fidelizzazione».