(di Stefano Boccoli)
Il prezzo del latte è ormai senza rete. Da circa un mese è infatti scaduto il sistema dei "prezzi minimi garantiti" previsti dall'accordo siglato nel dicembre scorso.
Rileggiamo per sommi capi la vicenda. A fine 2016 è stata raggiunta un'intesa sul latte crudo alla stalla tra Italatte e le principali organizzazioni professionali agricole che l'hanno firmata per conto dei propri associati. Il documento, valido dal primo gennaio scorso e sino al 31 dicembre 2017, ha apportato due novità: da un lato in quanto si tratta di un "accordo quadro" (più sotto analizziamo questo concetto).
Dall'altro lato perché non ha previsto l'indicazione di uno o più prezzi del latte predeterminati, come in genere accadeva in passato, ma specifica un metodo di determinazione del valore del latte attraverso un meccanismo di indicizzazione; corretto però da un sistema di prezzi minimi garantiti limitati nel tempo.
In pratica cioè a dicembre scorso si era concordato che, comunque fossero andati i calcoli dell'indicizzazione, il prezzo minimo del latte alla stalla per gennaio 2017 sarebbe stato non inferiore a 37 centesimi di euro al litro, quello di febbraio a 38 centesimi al litro, quello di marzo e aprile a 39 centesimi al litro.
Ecco perché da aprile scorso, per la determinazione del prezzo del latte crudo alla stalla, vale la sola indicizzazione. A meno di accordi ulteriori, di cui però, al momento, nessun segnale è alle viste.
Come si calcola
È utile perciò ricapitolare cosa prevede questo meccanismo di indicizzazione che sta regolando una buona parte del mercato del latte italiano.
Innanzitutto è stato fissato un prezzo base (cosa comunque diversa dalla fissazione del prezzo alla stalla come capitava in passato) a 37 centesimi di euro al litro.
Sono poi stati indicati altri due valori: quello del latte di riferimento europeo, detto “Ue-28”, a 32 euro/100 litri (si tratta dell’Eu historical prices, nella colonna weighted average, ritrovabile nel sito http://ec.europa.eu/agriculture/market-observatory/milk); quello del Grana Padano a euro 6,82/Kg, ovvero il prezzo medio mensile (media tra maggior e minore) del formaggio a stagionatura di nove mesi o oltre, quotato alla borsa merci della Camera di commercio di Milano.
Si è quindi considerato che, nel calcolo delle variazioni dell'indice, il prezzo Ue-28 debba pesare per il 70%, mentre la quotazione del Grana Padano per il 30%. Tutto ciò, nell'applicazione concreta, significa che solo il 70% delle variazioni percentuali della quotazione Ue dei prossimi mesi andrà a modificare il prezzo del latte alla stalla oggetto dell’accordo; allo stesso modo, per il Grana Padano, solo il 30% dell'eventuale variazione del suo prezzo peserà su quello del latte alla stalla.
Tre esempi
Chiariamo ancora meglio questo meccanismo, che è non immediatamente comprensibile, riportando tre esempi contenuti nello stesso documento firmato dalle parti a dicembre scorso.
Una prima ipotesi considera il caso di variazione zero sia del prezzo "Ue-28" sia del Grana Padano: il risultato è che non si avrebbe alcuna variazione del prezzo di base, il prezzo del latte crudo alla stalla rimarrebbe quindi fisso al livello base di 37 centesimi di euro al litro.
Nel secondo esempio, il prezzo del Grana Padano viene considerato stabile mentre varierebbe il latte "Ue-28", che dal valore base di 32 centesimi al litro andrebbe a 33 centesimi al litro. Si tratterebbe di una variazione del 3,125% che, ponderata per il relativo coefficiente pari a 70%, scenderebbe a 2,1875%. Quest'ultima rappresenterebbe la percentuale di aumento del prezzo base del latte: 37 x 2,1875% = 0,81. Ecco che, in questo esempio, il prezzo del latte alla stalla raggiungerebbe il livello di 37,81 centesimi di euro al litro.
Nell'ultimo caso considerato, a rimanere fermo sarebbe il valore del latte "Ue-28" mentre viene prevista una crescita del prezzo mensile del Grana Padano a 6,95 euro al Kg. Ciò significherebbe uno scostamento dell'1,906% dal prezzo base fissato nell'accordo a 6,82 euro al Kg. Questo scostamento viene "pesato" per il fattore di ponderazione relativo al Grana (30%), scendendo a 0,5718%, che rappresenterebbe, nel caso ipotizzato, la percentuale di aumento del prezzo di base del latte crudo: 37 centesimi x 0,5718% = 0,21; un prezzo finale del latte alla stalla a 37,21 centesimi di euro al litro è la conseguenza dell'applicazione di questa terza ipotesi.
Monitorare due dati
Si noterà che gli esempi riportati nell'accordo sono tutti "in aumento". Ciò è indicativo del fatto che essi sono stati scritti in un momento in cui vigevano i "minimi garantiti".
Come abbiamo spiegato, ora questi minimi non esistono più, dunque gli allevatori dovranno monitorare attentamente l'andamento dei prezzi "Ue-28" e "Grana padano", perché qualora scendessero sensibilmente il prezzo del latte alla stalla potrebbe andare al di sotto del prezzo base fissato a 37 euro al litro.
CHE COS’E’ UN ACCORDO QUADRO
L'intesa sul prezzo del latte firmata a dicembre 2016 ha rappresentato un sostanziale momento positivo nell'ambito dei rapporti tra il sistema produttivo zootecnico e l'industria di trasformazione del latte. Se non si può parlare di vera e propria interprofessione, certamente l'aver firmato un accordo quadro rappresenta un'interessante novità. Inoltre, l'unanimità di intenti raggiunta dal mondo agricolo – sotto il documento c'erano le firme di tutti i principali sindacati agricoli – è stato un altro segnale apprezzabile. Per la parte industriale, l'accordo riguarda direttamente la "sola" Italatte (la società capogruppo per l'Italia della multinazionale francese Lactalis), ma trattandosi del principale acquirente di latte crudo esistente nel nostro Paese, l'intesa ha fatto, almeno in parte, da punto di riferimento per un'area molto vasta vocata alla produzione lattiera.
Cerchiamo di capire meglio di cosa si tratta quando si parla di "accordo quadro". Alla possibilità di stipulare intese a valenza più generale rispetto ai singoli contratti di somministrazione del latte crudo alla stalla fa esplicito riferimento la normativa europea e nazionale. Il Regolamento Ue 1308 del 2013 ha aperto la strada dando la possibilità a ogni stato membro dell'Unione europea di rendere obbligatoria la stesura di contratti scritti tra le parti.
E così in Italia il decreto-legge 51 del 2015 (convertito dalla legge 91 del 2015) è andato a specificare le caratteristiche dei contratti scritti e ha introdotto la possibilità di stipulare contratti-tipo (o "accordi quadro"), che dettano le norme generali e le linee guida, concordate tra i rappresentanti delle parti, per la successiva stesura dei singoli contratti aziendali. S.B.