Multifunzionalità, sostenibilità e innovazione possono rappresentare i paradigmi delle aziende agricole moderne che vogliono guardare con una certa fiducia al domani. E ciò vale anche per la zootecnia. O, almeno, così la pensano all’azienda Marianis di Palazzolo dello Stella (Udine) che ha voluto fare il punto delle riflessioni su questi temi, convocando, a Villa Manin di Passariano (Udine), alcuni tecnici ed esperti i quali hanno proposto la loro visione per un confronto focalizzato, in maniera particolare, sul latte.
Zootecnia circolare
L’inquadramento sull’agricoltura multifunzionale, smart, circolare e sostenibile è stato fatto da Francesco Marangon del Dipartimento di Scienze economiche e statistiche dell’Università di Udine.
«Non è vero che il settore primario è marginale – ha esordito – e lo dicono i numeri.
Secondo il Registro delle imprese tenuto dalle Cciaa del Friuli Venezia Giulia, a esempio, in Regione ci sono quasi 14mila imprese agricole che rappresentano oltre il 15% delle imprese complessive. Inoltre, se consideriamo che la multifunzionalità riguarda tutti quegli aspetti che vanno oltre la semplice produzione delle derrate alimentari (manutenzione del paesaggio, turismo, indotto), questa multifunzionalità, in regione, vale il 25,8% dell’intera economia».
L’agricoltura smart è un modo di gestire il settore primario che richiede innovazione, intelligenza, conoscenza e l’impiego delle nuove tecnologie.
Lo dimostrano già le esperienze messe in atto, in Europa, anche applicate alla zootecnia (in Danimarca, a esempio), dove la circolarità genera, oltre che minor impatto ambientale, anche più opportunità per l’allevatore, dal punto di vista energetico, economico e del marketing poiché la sicurezza alimentare, il benessere animale e la sostenibilità, rappresentano le attuali priorità dei consumatori del Vecchio Continente e la politica agricola, tra l’altro, se ne sta facendo (e se ne farà in futuro) carico.
Agricoltura digitale e connessa
Secondo Manuel Maire, di Neovia Italia (società di Invivo, il più grande Gruppo cooperativistico agricolo e agroalimentare francese), il futuro dell’agricoltura è nella connettività e, su questo, il suo Gruppo sta investendo molto con ottimi risultati in termini di crescita e di fatturato.
Ma, «Stare fermi non si può – ha detto Maire – poiché ogni singola attività agricola è inserita in un contesto globale che cambia in continuazione. Dunque, un Gruppo come il nostro ha impostato una propria strategia futura che guarda, almeno, al lasso temporale dei 3-5 anni, avendo come riferimento una serie di linee guida che si chiamano: trasformazione digitale, innovazione, internazionalizzazione, risorse umane smart e responsabilità d’impresa che è legata al nostro fatto di essere, comunque, una cooperativa di proprietà dei soci impegnanti nell’attività agricola». Invivo, nata nel 2001 con questo nome, è formato da 206 cooperative socie e coinvolge circa 300mila agricoltori francesi. Ha 10mila dipendenti, un fatturato di 5,5 miliardi di euro ed è presente in 34 Paesi del mondo.
Il biologico nei nuovi trend di mercato
Per Giovanni Pomella, direttore generale di Parmalat, il latte è entrato a pieno titolo nel dibattito sulla globalizzazione.
Un vero e proprio cambio di passo del settore è avvenuto a partire dal 2009, con l’avvio di un lungo periodo di oscillazione dei prezzi alla stalla e delle quantità offerte sul mercato. Un mercato che è in continua evoluzione e che ha modificato, anche, le dinamiche della produzione.
«Per fare un esempio – ha spiegato Pomella -, assistiamo a una valorizzazione della componente grassa del latte, poiché la domanda di burro e panna è in costante crescita. Contemporaneamente, inoltre, negli ultimi 6 anni, si è verificata una diminuzione del consumo del latte (fresco e conservato) di circa il 30%. Per quali motivi?
Innanzitutto, il numero dei bambini è in costate diminuzione, poi c’è una modificazione delle abitudini delle persone che fanno colazione, sempre più spesso, fuori casa, consumando poco latte. L’8% circa della popolazione, inoltre, ha assunto modelli di consumo vegani e vegetariani con diete alimentari dove le proteine animali, latte compreso, hanno un rilievo scarso o nullo. Il 10% della popolazione italiana è formata da immigrati che consumano, per tradizione, poco latte. Infine, in questi anni, si è assistito al proliferare, sul web, ma anche in contesti pseudoscientifici, di studi più o meno seri, che “criminalizzano” il consumo del latte».
I produttori di latte e tutti i componenti della filiera, dunque, devono ascoltare la voce che viene dai nuovi trend di mercato e, queste voci, sussurrano richieste di maggiore sostenibilità delle produzioni (possibilmente certificate) e di rispetto del benessere animale.
In tale contesto, ben si inserisce la proposta del latte biologico, soprattutto se si incardina su una progettualità pluriennale.
«Il latte biologico – ha concluso Pomella – è un prodotto di eccellenza che valorizza i territori e li promuove nei mercati di vendita. Inoltre, il “biologico” conferisce caratteristiche di unicità al latte, similmente alle dop, che lo mette al riparo dalla concorrenza generica. In questo senso, assumono un significato positivo le filiere corte territoriali».
“MARIANIS” IN BIO
E la conversione verso produzione del latte biologico è stata la strada della sostenibilità economica scelta dall’azienda Marianis per uscire dalle secche di una serie di bilanci in perdita.
A oggi, con i suoi 600 ettari di terreno e la sua mandria di 700 vacche (330 in mungitura), Marianis è la stalla biologica di Pezzata Rossa Italiana più grande d’Europa.
«Una scelta di campo – ha puntualizzato la sua direttrice, Fabienne Coletti – non semplice, ma quasi inevitabile, soprattutto dopo il crollo dei prezzi dei cereali. Una decisione presa dal Consiglio di amministrazione del Circolo agrario friulano (che ha in gestione l’azienda, dal 2012, dall’Ersa) e frutto di una serie di alleanze. E il cambiamento ha assoluta necessità di alleanze per poter produrre frutti: da soli, esso diventa sempre più difficile se non, addirittura, insostenibile».
Ora l’azienda continua a essere un punto di riferimento per il territorio, trasformandosi anche in fattoria didattica con una forte propensione all’apertura delle proprie porte ai consumatori, ai cittadini e ai turisti.
comunque il latte è una commodity ed il suo prezzo è uniformato al prezzo medio europeo. I margini differenziali debbono essere ridotti altrimenti aumentano le importazioni di paesi terzi a prezzi minori.
Che il latte sia una commodity è soltanto la sua opinione. G.S.