Un anno di Ecoschema 1, fra luci e ombre

Il suo avvio è stato travagliato e la navigazione si annuncia non priva di criticità. Sarebbe utile istituire una cabina di monitoraggio. Editoriale di Giuseppe Pulina per l’Informatore Zootecnico

L’Ecoschema 1 della Pac ha compiuto un anno. Un anno a dire il vero piuttosto confuso se l’Agea ha sentito la necessità di pubblicare il 15 gennaio scorso la circolare 2024-2664, contenente le direttive per le procedure di controllo per verificare le condizioni di ammissibilità, che si sovrappone o integra ben tre circolari precedenti (28 aprile, 26 maggio e 8 giugno 2023) e completa le azioni alla luce delle novità introdotte dal Dm del 15 dicembre 2023.

Come è ampiamente noto, l'impegno è finalizzato a sostenere il processo di transizione verso un modello di zootecnica più sostenibile, innalzare la qualità e salubrità delle produzioni agroalimentari, ridurre l'antimicrobico resistenza (Amr) e migliorare il benessere degli animali.

Esso si pone come obiettivo finale quello di fare aderire le aziende zootecniche a un percorso virtuoso di riduzione dell'uso del farmaco, basato sull'attuazione di impegni direttamente collegati al miglioramento del benessere animale misurati attraverso la piattaforma ClassyFarm e l’adesione all’Sqnba (per il 2023 e il 2024 però è sufficiente l’adesione al disciplinare di qualità del Dm 15 dicembre).

L’impegno complessivo di spesa per l’intero ciclo 2023-2027 è di € 1.826.559.018, di cui circa 1,5 miliardi di euro destinati al “livello 1” dello stesso ecoschema, con 6.238.434 unità animali annualmente coinvolte.

Un anno confuso, dicevamo, anche per l’incertezza nell’applicazione della misura e la mancanza di punti di riferimento precisi circa le soglie di dosaggio degli antimicrobici (Am) da rispettare a livello regionale, le modalità con cui esercitare il pascolamento previsto al livello 2, l’ammissibilità a entrambi i livelli da parte del singolo allevatore e l’esclusione dagli obblighi per i piccoli allevamenti o per quelli bio.

Un anno di rodaggio ha comunque portato ad avere indirizzi più precisi e applicabili, ma non ha rimosso le distorsioni alla base della formulazione della misura. La prima è relativa alle mediane regionali di uso degli Am, arrivate in ritardo sulla piattaforma, che creano un campo disuniforme fra le regioni (che cosa fa un allevatore a cavallo fra Lombardia e Veneto?).

Inoltre, la riduzione del 10% annuo della DDDAit (l’unità con cui si misura il consumo del farmaco a livello aziendale) assume un valore molto diverso in funzione del punto di partenza (se parto da 100 DDDAit è 10, se parto da 20 DDDAit è 2).

Giuseppe Pulina è professore ordinario di Zootecnica speciale presso il Dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari

Ancora, la premialità assicurata a chi sta sotto la mediana crea l’asimmetria di maggiori domande da parte di chi è in queste condizioni, rendendo più difficile l’abbassamento del consumo complessivo. Infine, chi sta sopra la mediana potrebbe non trovare conveniente aderire alla misura: mancano infatti gli scenari di costo subito (aumento della mortalità e morbilità, riduzione degli indici di trasformazione, aumento della durata dei cicli e della rimonta, ecc…), soprattutto nell’allevamento suino in cui sono stati rimossi alcuni principi attivi e auxinici (esempio colistina e rame).

Aneddoticamente, un allevamento di 1.200 scrofe che ha ridotto in 8 anni la DDDAit da 20 a 7 all’anno ha visto aumentare i costi per le vaccinazioni di € 80 per scrofa, la mortalità sottoscrofa dal 1% al 5% e ridurre il peso allo sgabbiamento da 30 a 22 kg.

Sarebbe comunque utile, se si intende mantenere la logica delle mediane, partire dal punto zero individuato nella DDDAit minima in grado di non compromettere a livello di allevamento salute e benessere delle specie beneficiarie.

I veterinari europei, secondo un’indagine recentemente pubblicata da Jerab e colleghi su Antibiotics, sono comunque convinti che l’abolizione della metafilassi (anche detta whole antibiotic free) può comportare un significativo aumento della mortalità (42% delle risposte), della morbilità (20%) e gravi cali produttivi (13%). Gli stessi sono convinti che misure alternative, quale la vaccinazione e l’aumento delle misure di biosicurezza, possono mitigare questi effetti, ma non controbilanciare completamente i danni da mancato uso di Am.

Per quanto riguarda il “livello 2”, il principale problema consiste nei maggiori costi da sopportare per adeguare le strutture agli standard ClassyFarm. Sfortunatamente non esistono scenari che possano dare una risposta a questa domanda.

In generale, da fonti ministeriali si apprende che il Comitato tecnico-scientifico per il benessere animale (Ctsba), istituito in base al decreto interministeriale 2 agosto 2022 che disciplina il Sqnba, sta mettendo a punto i disciplinari per aderire al sistema Sqnba; si ritiene che tale sistema sarà operativo nei prossimi mesi. Da questo si evince che allo stato attuale non sono disponibili scenari di riferimento, perlomeno per quanto riguarda quest’ultimo aspetto.

In conclusione, l’avvio dell’Ecoschema 1 è stato travagliato e la navigazione si annuncia non priva di criticità. Sarebbe oltremodo utile che i ministeri competenti istituissero una cabina di monitoraggio, che comprendesse rappresentanze qualificate di allevatori, in grado di valutare per poi prevenire e rimuovere quanto prima gli effetti distorsivi che l’applicazione della misura potrà generare nelle filiere zootecniche nazionali.

Un anno di Ecoschema 1, fra luci e ombre - Ultima modifica: 2024-02-14T15:15:39+01:00 da Laura Della Giovampaola

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