Un polverizzatore per il latte? Sì, ma, dipende. Sono diverse le posizioni, ma l’apertura a un progetto ancora in fase embrionale e che ha il sostegno delle principali cooperative di lavorazione del latte e la disponibilità a collaborare il Consorzio del Grana Padano, è trasversale.
La volontà di realizzare un polverizzatore era nell’aria e, in verità, se ne parlava da diversi anni, seppure a fasi alterne, soprattutto quando le consegne di latte erano così impetuose da creare ingorghi di mercato e, dunque, ribasso dei prezzi.
Già nel 2015-2016, nel pieno di una crisi che solo la Commissione Agricoltura dell’Ue ha stentato a vedere per parecchi mesi, il dibattito si era acceso e la costruzione di un polverizzatore in Lombardia sembrava vicina. Poi vinse la linea di trovare altre formule di valorizzazione del latte.
Oggi l’ipotesi di avviare il progetto è tornata in auge e sembra essere più concreta. La notizia è affidata ad un recente comunicato stampa dell’Alleanza delle Cooperative Italiane, che si affida a una premessa legata al trend delle consegne di latte. “La produzione di latte nazionale, che ha raggiunto un volume di 12,5 milioni di tonnellate alla fine del 2020, è in una fase di crescita strutturale, con un incremento negli ultimi 6 anni del 13% a livello nazionale e del 16% se si considerano solo le prime regioni produttive, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte”.
I dati elaborati da Clal.it si fermano a novembre 2020 e indicano un volume di consegne di latte per i primi 11 mesi pari a 11.585.713, il 4,49% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Ma già il consuntivo 2019 aveva proiettato la produzione italiana oltre la barriera dei 12 milioni di tonnellate.
E così, visti i numeri, la valutazione del sistema cooperativo è che “da un lato l’incremento è indice di un settore dinamico e in sviluppo che con l’attività zootecnica presidia il territorio, dall’altra parte occorre gestire tale maggiore disponibilità di latte. Nasce da questa esigenza la decisione del Coordinamento Lattiero-caseario di Alleanza Cooperative di valutare una iniziativa industriale di interesse per l’intero settore, finalizzata a individuare e definire destinazioni alternative per la materia prima del latte, sia per la componente magra, in particolare proteica, che per la componente grassa”.
Un’altra manciata di righe per annunciare il piano e la sinergia fra le più importanti realtà cooperative del territorio lombardo ed emiliano: “È stato così avviato uno studio di fattibilità, attualmente sostenuto finanziariamente da Aop Latte Italia, Consorzio Latterie Virgilio, Cooperlat, Latteria Soresina, Parmareggio, Plac - Fattorie Cremona e Consorzio per la Tutela del Formaggio Grana Padano Dop, che prevede una approfondita analisi e valutazione dei vari aspetti tecnici, dimensionali, commerciali e strategici delle operazioni. Si prevede di integrare anche il siero, che ha elevati elementi di sinergia e opportunità nel frazionamento del latte”.
Per il coordinatore del settore lattiero-caseario di Alleanza Cooperative Agroalimentari, Giovanni Guarneri, “l’operazione che ci avviamo a realizzare riveste un grande valore strategico che potrebbe avere importanti ricadute su tutte le aziende del settore lattiero-caseario italiano. È per questo che sarà nostra intenzione aprire l’iniziativa delle cooperative a tutte le organizzazioni e le imprese che operano nella filiera”.
Un’intesa progettuale di grande impatto affidata però a un comunicato essenziale, con poche informazioni, in verità. Mancano note sui costi, i tempi di realizzazione, la quantità di latte o di siero che saranno trasformate, la sede o le sedi che ospiteranno l’insediamento industriale.
Paolo Carra
Fra i protagonisti dell’operazione c’è anche la cooperativa di secondo grado mantovana del Consorzio Latterie Virgilio.
Anche in questo caso, però, le parole del presidente Paolo Carra poco aggiungono alle notizie fin qui descritte, ma proprio per il fatto che “si è dato mandato a un gruppo di tecnici e tecnologi per capire in che modo valorizzare quel latte in più che, di fatto, costituisce un esubero rispetto alle programmazioni produttive e al mercato delle Dop e che i circuiti dei formaggi a denominazione di origine protetta non sono in grado di assorbire. Siamo in una fase davvero preliminare e, pertanto, parlare anche di sedi è prematuro”.
La finalità delle torri? “Saranno gli equilibri economici a indicarci la strada – conferma Carra -. Non è detto che sia solo polvere, ma potrebbero essere anche siero proteine o cagliate a valore aggiunto”.
Tiziano Fusar Poli
Il tema delle consegne di latte torna nel ragionamento di un altro protagonista della cordata di cooperative. A più riprese, il presidente della Latteria Soresina Tiziano Fusar Poli ha affermato che “ci stiamo avvicinando velocemente all’autosufficienza di latte liquido, fondamentalmente per due motivi: l’incremento delle produzioni di latte ed il calo dei consumi di latte alimentare. L’Italia importa ancora in ogni caso circa 5 milioni di quintali di latte equivalente, soprattutto sotto forma di cagliate, in grado di generare però, evidentemente, scarsa valorizzazione. La conseguenza di ciò sarà che in futuro il latte eccedente avrà valorizzazioni particolarmente depresse”.
E per la prima volta negli ultimi decenni, aggiunge Fusar Poli, “nel 2020 il latte libero tedesco ha avuto una valorizzazione quasi stabilmente superiore a quello italiano.
Questa evoluzione strutturale del mercato impone al settore lattiero caseario di interrogarsi su come rispondere con una strategia di medio-lungo termine”.
La realizzazione di un polverizzatore – ha scritto il numero uno di Soresina anche su IZ 2.2021 – potrebbe essere una soluzione. “L’obiettivo di fondo sarebbe quello di inviare il latte eccedentario a questa destinazione; la trasformazione in polvere potrebbe fare un po’ da ammortizzatore sull’asse temporale, considerando la shelf life di tale prodotto, ma soprattutto essere destinata a utilizzi e mercati diversi, evitando così di appesantire il tradizionale mercato del latte nazionale. Questo in prima istanza non produrrà valore aggiunto, forse anche rispetto alla vendita del latte spot, ma avrebbe l’effetto collaterale molto positivo di mantenere valore a tutto il resto del latte e suoi derivati”.
Antonio Boselli
È un sì con riserva quello del presidente di Confagricoltura Lombardia, Antonio Boselli, che ha già fissato un incontro con il coordinatore del settore lattiero caseario dell’Alleanza delle Cooperative, Giovanni Guarneri, proprio per approfondire gli aspetti strategici del progetto.
“Se si dovesse fare un polverizzatore tout court per fare solo polvere di latte, sarei contrario – taglia corto Boselli -. Chi è sano di mente può pensare di valorizzare il latte italiano producendo polvere? Qualora, però, la declinazione industriale aprisse anche ad altre tipologie di produzione, modulando la realizzazione di siero e finalizzando il risultato verso canali ad alto valore aggiunto come la farmaceutica, la nutraceutica o le formule per l’infanzia, allora potrebbe essere interessante. Chiaramente, anche i tempi di funzionamento e la possibilità di accedere a fondi pubblici faranno la differenza. Ritengo che un impianto per la produzione di polvere dovrebbe funzionare costantemente, magari con dei picchi di lavoro, ma sostanzialmente con una continuità costante nel tempo. Allo stesso tempo, anche la produzione di siero non potrà essere relegata a qualche fiammata, senza un piano commerciale alla base”.
Massima disponibilità di dialogo, comunque, per sostenere l’economia lattiera della regione. “Il fatto, poi, che a valutare la fattibilità vi siano le più importanti realtà cooperative lombarde di settore mi tranquillizza”, si lascia andare Boselli.
Gabriele Gorni Silvestrini
Non manca chi è scettico sugli effettivi ritorni economici, come Gabriele Gorni Silvestrini, consigliere del Consorzio del Grana Padano, allevatore e presidente della Latteria Sant’Angelo di Marcaria (Mn). “Non vorrei essere male interpretato – anticipa – perché penso che uno studio scientifico sia illuminante, anche per rispondere alle esigenze di fronteggiare uno scenario che la pandemia Covid ha contribuito ad accelerare. È doveroso capire quale politica del latte adottare in Italia, senza per questo abdicare alla valorizzazione del latte che già avviene attraverso il sistema delle Dop. Ed è corretto che a contribuire all’analisi di fattibilità partecipi anche un consorzio come quello del Grana Padano a fianco delle cooperative”.
Tuttavia, il punto delicato secondo Gorni Silvestrini è legato ai canali di valorizzazione. “Ritengo che dia più soddisfazione potenziare le Dop, allargando i mercati internazionali – sostiene -. Anche perché il settore è strutturato in maniera diversa rispetto alla Germania, dove in caso di esubero produttivo si innesca tempestivamente una politica di scolmatura del latte verso le polveri che aiuta a riequilibrare il mercato. Noi siamo molto più frammentati e probabilmente ci ritroveremmo il nodo di definire chi e in quali quantità deve destinare parte del latte alla polverizzazione rispetto alle Dop. In ogni caso, è corretto studiare anche soluzioni alternative rispetto alla Dop Economy, sarà un’occasione di riflessione”.
Alberto Dall’Asta
Il dibattito si è acceso anche sui gruppi del latte ospitati su Facebook. Un post di Alberto Dall’Asta, direttore di Italatte (Gruppo Lactalis), invita a riflettere sui ritorni economici. “Tutte le imprese del Nord Europa che fanno polveri e formaggi prendono sui 31 euro. Bisognerebbe che mettessero i loro soldi, che firmassero in proprio, non con i soldi del Recovery Fund”. Lapidario ed essenziale nell’esprimere la propria contrarietà.
Daniele Rama
Il professor Daniele Rama, responsabile dell’Osservatorio Latte dell’Università Cattolica di Cremona, gioca in difesa (“So che era nell’aria, ma non ho molti elementi per un commento”, frena), ma poi si lascia andare a una valutazione.
“Certo un impianto di polverizzazione ha una marginalità molto ristretta - esordisce - e per essere redditivo deve funzionare in continuazione, quasi al 100%, e non essere uno strumento per smaltire le eccedenze e basta. Secondo aspetto da considerare: la valorizzazione del latte a polvere è oggi sicuramente più bassa rispetto a quella dei prodotti tipici e dei formaggi italiani. Se un acquirente è disposto a pagare la polvere a un prezzo probabilmente sopra i prezzi di mercato, il business è redditizio, altrimenti la marginalità è molto dubbia”.
Di per sè “l’idea di differenziare gli sbocchi del latte italiano non è un tabù e si può diversificare l’offerta anche nell’area del Grana Padano, purché si abbia una visione chiara e, nel caso di un impianto di polverizzazione di latte o di siero, vi siano sbocchi di mercato pianificati”.
Davide Lorenzi
Davide Lorenzi, allevatore di Marmirolo (Mn) e consigliere della Latteria Sociale Mantova, nutre qualche perplessità. “In Italia un polverizzatore dovrebbe partire con volumi molto bassi, per una prima fase sperimentale – afferma -. Però, il rischio è scontrarsi con altri mercati, che hanno quantitativi e potenzialità già rodate. E come funzionerebbe? Ogni cooperativa coinvolta destinerebbe una quota di latte predefinita? Come si andrebbe a gestire la continuità di fornitura? E chi avrebbe la gestione? Piuttosto, studierei una formula per aggredire il mercato dei formaggi bianchi e dei similari, che fanno concorrenza alle Dop. E in alternativa, per rimanere nel segmento delle polveri, ritengo che un polverizzatore per il siero possa essere più remunerativo”.
Precisa Fabio Perini
Il presidente di FedAgripesca Lombardia Fabio Perini chiarisce: “Parlando di polverizzatore si semplifica molto, perché in realtà quello che si è deciso di avviare a livello di cooperative è uno studio sulle possibilità di valorizzazione del latte al di fuori della Dop. Il risultato non è detto che sia il polverizzatore, anche se è forse la soluzione più fattibile”.
L’idea è “tentare di cogliere l’opportunità di valorizzazione legata alla richiesta di proteine e derivati del latte, così da ottenere dei prodotti che siano comunque in grado di valorizzare la materia prima attraverso impianti innovativi”.
L’origine del progetto, in cui oggi “siamo nella fase di ricerca e di studio di fattibilità, nulla di più”, precisa Perini, è legato alla produzione di latte della Lombardia. “In alcuni momenti dell’anno abbiamo del latte in esubero e un impianto di polverizzazione avrebbe la finalità di accompagnare la programmazione produttiva delle Dop, valorizzando così al massimo il prodotto latte”.
In ogni caso, tiene di nuovo a precisare, “il concetto di polverizzatore è una semplificazione concettuale impropria, perché le opzioni in fase di studio non sono limitate alla polvere di latte o di siero”.
Rolfi: Regione Lombardia disponibile a cofinanziare l’opera
La Lombardia, con una produzione aumentata del 5,68% fra gennaio e novembre 2020, produce da sola il 44% del latte nazionale. Logico che l’interesse per un impianto o più impianti di polverizzazione sia elevato da parte della Regione, anche a livello istituzionale.
L’assessore all’Agricoltura della Lombardia, Fabio Rolfi, spezza una lancia a sostegno del progetto. “Sono assolutamente favorevole all’ipotesi del polverizzatore - dice - anche se sappiamo che non è l’unica cura al problema della valorizzazione del latte. Ma dobbiamo essere consapevoli che la produzione sta aumentando e che nel giro di pochi anni supereremo il tasso di autosufficienza. Un polverizzatore consente di destinare parte del latte a mercati in grado di assicurare una valorizzazione, come il canale baby, il settore dolciario, quello farmaceutico. E in futuro potremo anche guardare all’export”.
Sul piatto, si lascia sfuggire l’assessore Rolfi, “ci sono due o tre progetti, uno legato al siero e uno dedicato alla destinazione delle polveri per uso umano”. Indubbiamente, per Rolfi, “si dovrà ipotizzare un funzionamento costante dell’impianto, per garantire stabilità”.
Il sostegno economico non sembra essere in discussione. “Il polverizzatore è una delle priorità indicate da Regione Lombardia nell’ambito del Recovery Fund e da parte nostra siamo pronti a intervenire con un cofinanziamento”, assicura Rolfi.
Stefano Berni: guardiamo con interesse al progetto; il Grana Padano metterà a disposizione i dati
Sul tema Stefano Berni, direttore generale del Consorzio del Grana Padano, sdoppia le proprie valutazioni in base al ruolo. “Come direttore generale del Consorzio di tutela confermo che stiamo dando una mano affinché si studi un percorso di valorizzazione del latte anche attraverso modalità nuove e guardiamo con interesse qualsiasi iniziativa dei propri consorziati che possano dare ristoro al sistema in generale. Perché se le stalle che conferiscono il latte al circuito del Grana Padano producono più materia prima, è chiaro che siamo interessati a mantenere il mercato in equilibrio e, dunque, anche un impiego alternativo del latte contribuisce a non appesantire i volumi di Grana Padano e a non deprimere il comparto”.
Il ruolo del Consorzio del Grana Padano è quello di mettere a disposizione tutte le informazioni e i dati di afflusso del latte, così da studiare un progetto sulla base di numeri solidi e veritieri. “Il Consorzio ha i dati delle cooperative, dei privati e del sistema e li condivide – spiega Berni -. Ma, oltre a guardare con interesse l’iniziativa, come ente consortile non potremo mai partecipare a una società con finalità commerciali, perché è vietato dalla legge”.
Fin qui l’analisi come direttore generale del Consorzio del Grana Padano. Poi a parlare è Stefano Berni come “esperto zootecnico”, che evidentemente parla con meno vincoli istituzionali e che plaude ai sistemi di remunerazione del latte adottati da cooperative estere come la francese Sodial, l’olandese Friesland Campina e la neozelandese Fonterra. “Il meccanismo è semplice. A una quantità standard prefissata e storica del latte prodotta dai soci viene garantito un prezzo prefissato. Mentre alla parte eccedente tali volumi produttivi il valore è definito dal mercato e, di conseguenza, a volte sarà inferiore al prezzo del latte conferito in quantità definiamole standard, altre volte sarà pagato tanto quanto il latte della quota storica e altre volte sarà pagato molto meno. Come esperto di sistema condivido tale formula e ritengo che non sia utile un sistema all’italiana dove tutto il latte, indipendentemente da una quota di riferimento, viene pagato in modo identico”.
Per questo, continua Berni, “trovo molto intelligente l’accordo firmato recentemente da Italatte e da chi l’ha firmato, come Coldiretti e altri, perché è un accordo che diversifica il prezzo a seconda della quantità. Sia chiaro: la risposta reddituale corretta alla valorizzazione del latte non è incrementando la quantità, che può essere una soluzione, ma non lo è come unica strada per incrementare la redditività. Non è una risposta ai problemi di marginalità”.
Semmai, prosegue il Berni “come esperto di sistema e non come direttore del Consorzio del Grana Padano”, la chiave per migliorare la redditività nel latte è “puntare su agricoltura e zootecnia di precisione, ridurre i costi aziendali, aumentare il benessere animale e la sostenibilità ambientale. Un allevamento virtuoso ricerca altri parametri che non siano concentrati sulla quantità crescente, ma sulla sostenibilità ambientale ed economica”.
Zoogamma: pronti a collaborare se producessero siero
“Se il progetto si limitasse alla polverizzazione del latte non credo che sarebbe un’operazione economicamente interessante. Se, invece, costruissero una seconda torre del siero potenzialmente potrebbero farci concorrenza, ma noi ci siamo posti come eventuali partner e siamo disponibili a trovare una sinergia. D’altronde, abbiamo una certa esperienza sul territorio, con quattro torri funzionanti e il progetto di un quinto impianto. Potremmo dialogare con un vantaggio per tutti”.
Una dichiarazione di puro pragmatismo commerciale quella di Paulo De Waal, direttore generale di Zoogamma, principale realtà italiana per la polverizzazione del siero, con impianti a Casalbuttano (Cr), dove si essiccano 140.000 tonnellate di siero in polvere, a Canedole (Mn), dove si essiccano 25.000 t in siero equivalente, e a Cazzago S. Martino (Bs), dove si essiccano 45.000 t in siero equivalente e dove si veicola la produzione verso la destinazione food sotto il marchio di Serum Italia. Il resto della produzione è invece destinato all’alimentazione animale e per l’80% prende la strada dell’estero.
Complessivamente Zoogamma lavora circa il 35% del siero di latte italiano, proveniente dai caseifici. Dal 2005 è legata al gruppo olandese Van Drie.
“Non credo che il progetto - osserva De Waal - sia un’operazione semplicissima da realizzare, anche se gli attori coinvolti sono assolutamente qualificati”.