Negli ultimi anni le trinciacaricatrici hanno visto crescere le proprie potenze. «Circa 10 kW l’anno a partire dagli anni 60 a oggi», aveva fatto notare sul numero scorso di IZ Carlo Bisaglia, del Crea-It di Treviglio.
Di modo che, ormai, i modelli di punta superano abbondantemente, anche se non per tutti i costruttori, i mille cavalli. Necessari in larghissima parte per alimentare il vorace sistema di taglio e rottura della granella, che è poi il cuore della trincia. «Traslazione e altri servizi della macchina, al contrario, non richiedono una grande potenza», aveva aggiunto il ricercatore bergamasco.
Cresciute anche le immatricolazioni. Fenomeno determinato essenzialmente da due cause. La prima è lo sviluppo della domanda legata alle energie rinnovabili ed essenzialmente al biogas: con il boom degli impianti sono cresciute anche le superfici destinate a insilati e, con esse, la necessità di macchine per raccogliere quelle coltivazioni.
Parliamo genericamente di coltivazioni, anziché direttamente di mais, a ragion veduta. Infatti l’altro motivo per cui le trinciacaricatrici sono aumentate di numero è che il loro campo di impiego, fino a pochi decenni fa confinato alla raccolta del mais da insilare, si è col tempo notevolmente ampliato. Vuoi perché allevatori e proprietari di digestori cercano nuovi prodotti da insilare, vuoi per l’azione dei contoterzisti che, una volta acquistata la macchina, cercano di proporla per usi diversi dai tradizionali: è evidente che quando si investono tre o quattrocentomila euro in un attrezzo che lavora tendenzialmente da agosto a fine settembre, si cerca il modo di impiegarlo per un periodo dell’anno più lungo.
Operazione perfettamente riuscita: oggi le trinciacaricatrici lavorano da aprile a novembre, raccogliendo anche materiali fino a pochi anni fa impensabili. In particolare le trince si sono guadagnate spazi importanti nella raccolta di insilati erbacei di varia natura, spesso impiegati nei digestori per biogas, ma ormai comunemente usati anche nelle stalle da latte come alternativa economica al silomais. Infatti mentre quest’ultimo ha costi di produzione decisamente alti, essenze come grano, orzo, triticale o più ancora graminacee e leguminose di vario tipo richiedono investimenti colturali molto inferiori; e, pur avendo anche un potenziale nutritivo minore, entro certi limiti possono essere utilizzati nella razione accanto al tradizionale insilato di mais.
Metodi di impiego
L’ampliamento del ventaglio di applicazioni, se da una parte rende più profittevoli le trince, dall’altra comporta ovviamente anche una diversificazione nel modo in cui queste macchine sono utilizzate. Tuttavia, siccome il corpo-macchina quello è e quello resta, in sostanza a cambiare è la testata di raccolta.
Iniziamo dalle barre da mais: si dividono essenzialmente in versioni a dischi grandi oppure a dischi piccoli, ognuna delle quali presenta specifici pregi e difetti in materia di resa oraria, rischio di perdita del prodotto, ricircolo del medesimo prima di essere inglobato nella macchina e via dicendo. Le macchine più potenti, ormai, lavorano con testate a 10 o 12 file, grazie a una dotazione di cavalli che permette loro di aver ragione di una così grande quantità di prodotto.
Passiamo poi alle coltivazioni autunno-vernine. Grano, orzo e simili sono solitamente tagliati e raccolti in un unico passaggio, tramite una specifica testata. Che, tuttavia, non sempre produce gli effetti desiderati.
Una cosa è infatti raccogliere stocchi di mais, un’altra dei ben più flessibili steli di grano o di altri cereali invernali. Il rischio che le piante si pieghino, fatichino a entrare nel sistema trinciante e intasino la barra è sempre presente.
Raccolta in due tempi
Se dai cereali si passa a foraggere come loietti, medica e simili, si aggiunge un secondo problema, quello dell’umidità relativa. Tagliare, raccogliere e trinciare direttamente foraggi di primo taglio significa mettere in conto il percolamento della trincea, con tutto quel che ne consegue, anche per la trinciacaricatrice stessa, pensata per lavorare con mais al 35% circa di umidità.
In questi casi si procede allora con una raccolta in due tempi, che affianchi attrezzature utilizzate per la tradizionale fienagione alla trinciacaricatrice. È pratica comune, infatti, effettuare dapprima lo sfalcio, tramite una normale falciatrice (con o senza condizionatore) e dopo uno o due giorni di appassimento andanare il prodotto facendolo poi trinciare dal contoterzista. In questo modo si evitano i rischi di percolamento dovuti a un eccesso di acqua nell’insilato e si velocizzano le operazioni di trinciatura, risparmiando sui costi del contoterzista.
Risparmio ancor più evidente se sfalcio e andanatura sono realizzati dal proprietario. Per chi già possiede le macchine per fienagione è senza dubbio una soluzione ricca di vantaggi.•