Stalle da latte, come calcolare in modo corretto l’efficienza

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Una scarsa produzione di latte non dipende sempre e solo da questioni alimentari. Spesso a incidere in maniera forte sono fattori gestionali

Migliorare l'efficienza delle stalle da latte è un imperativo per gli allevatori che devono confrontarsi con mercati sempre più competitivi e volatili. Se n'è parlato a Fieragricola durante il workshop dal titolo Alimentazione delle bovine da latte: per un uso consapevole dei mangimi organizzato dall'Informatore Zootecnico.

Il professor Igino Andrighetto del Dipartimento di Medicina animale, produzioni e salute dell'Università degli studi di Padova ha messo in guardia dall'utilizzo esclusivo di parametri come Fe (efficienza alimentare) e Iofc (ricavo al netto dei costi alimentari) per valutare l'efficienza degli allevamenti bovini da latte e ha spiegato che in Italia questi due valori sono utilizzati in maniera non corretta per valutare l'efficienza delle stalle da latte.

Stalle da latte, i modelli per valutare l'efficienza

Per calcolare questi indicatori ci sono modelli che considerano solo le vacche in lattazione e altri che tengono conto anche dei capi in asciutta. Questo secondo è più raffinato e affidabile secondo il docente veneto.

Per migliorare lo Iofc bisogna avere una giusta percentuale di vacche in asciutta e quindi una corretta rimonta. «A mio avviso è un dato molto basico − ha affermato Andrighetto − perché tralascia tutta la parte dei costi alimentari della rimonta, quindi vale il 50-60% dei costi totali. È sicuramente un valore importante − ha ribadito il docente − ogni azienda deve partire da qui per ottimizzare ed efficientare il proprio processo produttivo, ma non basta. Lo Iofc fornisce indicazioni molto parziali sulle criticità che limitano l'efficienza di un allevamento».

Per calcolare i costi in maniera corretta è importante valutare il rapporto tra vacche in produzione e capi in asciutta. Se per vari motivi un'azienda ha solo il 40% di vacche in lattazione rispetto alla sua rimonta i parametri sono diversi rispetto a una stalla dove sono in produzione il 60% delle vacche.

Iofc, un valore che può trarre in inganno

«Il valore del Iofc può essere fuorviante per gli allevatori − ha sottolineato Andrighetto − perché li spinge a risparmiare ricercando alimenti meno costosi per unità di energia fornita. Ma questo può avere effetti negativi sulla produzione: somministrare soia non è lo stesso che inserire nell'unifeed il girasole. Oppure il mais al posto delle polpe». Secondo Andrighetto le criticità non sono solo dovute alla dieta, ma anche a fattori extra alimentari.

«Le vacche non sanno leggere e i computer non sanno mangiare − ha sintetizzato il professore dell'ateneo padovano − quindi bisogna capire quali sono i motivi che portano a una scarsa produzione di latte cercando indicatori diversi da quelli utilizzati finora».

Ad esempio bisogna considerare la velocità di transito della razione. Poi c'è il dilemma delle quattro razioni: quella formulata, quella somministrata, quella assunta dagli animali nelle 24 ore e quella digerita. «Questi fattori hanno un'incidenza superiore al 50% nel determinare la quantità di latte prodotto − ha detto Andrighetto − vanno oltre l'aspetto genetico e alimentare. Ecco che la gestione diventa un aspetto fondamentale per l'efficienza delle stalle da latte».

Un allevatore deve monitorare e saper gestire i giorni medi di lattazione, il livello dei picchi di lattazione, il benessere animale, ecc.

Mangiare di più non significa produrre di più

Un gruppo di ricerca coordinato da Andrighetto da tre anni analizza le performance di 65 aziende della pianura lombardo-veneta per raccogliere dati con l'analisi delle feci. In base ai dati è possibile determinare quanto e come digeriscono le vacche. Una delle conclusioni più importanti a cui la ricerca è giunta è che non c'è correlazione tra quantità di razione ingerita e quantità di latte prodotto: non è vero che se una vacca mangia di più produce più latte.

«Invece c'è molta più correlazione tra sostanza secca ingerita digerita e la produzione di latte − ha fatto notare il docente − la fibra deve essere quella giusta per favorire la ruminazione e la digestione di tutto l'unifeed. Ad esempio, se somministro una fibra molto giovane e fine corre via troppo veloce».

I riscontri sperimentali hanno consentito di delineare un protocollo oggettivo per la misura dell’efficienza produttiva delle aziende di vacche da latte. Detta misura è molto più esaustiva di quanto attualmente applicato e basato sulla semplice conversione in latte della sostanza secca consumata. La misura della produzione potenziale e di quella potenziale ottimizzata permette infatti all'azienda di individuare il tipo di criticità che condiziona la produzione reale di latte.

«Ciò consente all’allevatore di fare la cosa giusta, nel posto giusto e al momento giusto come da prerogative della precision farming» ha concluso Andrighetto.

Consulta la relazione di Igino Andrighetto

Consulta la relazione di Angelo Stroppa

Consulta la relazione di Andrea Breveglieri

Stalle da latte, come calcolare in modo corretto l’efficienza - Ultima modifica: 2020-01-29T21:40:57+01:00 da Simone Martarello

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