Troppo spesso l’azienda zootecnica viene vista come un insieme di fattori di produzione disaggregati, analizzati singolarmente e non nel loro insieme. Infatti, le diverse parti che la compongono, dal campo alla stalla, dal parco macchine alla sala di mungitura, dall’acquisto delle sementi al benessere animale, e anche il personale, sono tutti fattori di produzione che in modo complementare e integrato concorrono nel definire il risultato finale, cioè l’aumento dell’efficienza aziendale e la sua competitività sul mercato.
L’International organisation of biological control (Iobc, 2013) descrive il concetto di sistema zootecnico integrato come un sistema nel quale la produzione di alimenti, foraggi ed energie rinnovabili si ottiene per mezzo del miglior utilizzo possibile delle risorse aziendali, quali suolo, acqua, aria ed “ecosistema”.
Ciò con il fine di ridurre al minimo la produzione di inquinanti e l’utilizzo di input, salvaguardando la sostenibilità economica delle singole aziende e dell’intero comparto agro-zootecnico.
In quest’ottica, il sistema “Azienda Zootecnica” dovrebbe essere visto con un approccio “olistico”, cioè un sistema nel quale il risultato finale non è dato dalla semplice sommatoria delle parti che lo compongono, ma risulta diverso (migliore o peggiore a seconda dei casi) in funzione di come questi fattori interagiscono insieme nel determinare le fasi del processo produttivo che portano al prodotto finale.
Diversi sistemi sono stati sviluppati in Europa e nel mondo per chiarire questi concetti. Fra questi va citato la European initiative for sustainable development in agriculture (Eisa, 2014), che mira a dettare e definire le linee guida per lo sviluppo del sistema integrato zootecnico, sia da un punto di vista di singola azienda che di sistema agro-zootecnico.
Alcune riflessioni nell’ambito del nostro Istituto hanno portato, negli scorsi anni, a pensare ad un approccio alternativo al sistema “Azienda Zootecnica”, svincolato dalla sola analisi dei piani di razionamento e di gestione della stalla, ma che considerasse anche la parte agronomica e foraggera e che fosse in grado di aiutare l’allevatore ad analizzare nell’insieme le diverse possibili soluzioni colturali, nutrizionali e, in parte, organizzative al fine di massimizzare la redditività dell’azienda.
Il presupposto: la stalla non è un sistema disaggregato
Fondamentale in questo approccio è considerare la stalla come sistema unico, appunto integrato; e non disaggregato nelle sue diverse componenti (campi, strutture, parco macchine, stalla, etc.).
Cerchiamo di chiarire questo concetto: se analizziamo l’approccio tradizionale alla formulazione delle diete in una stalla da latte, vediamo che le singole razioni che vengono formulate per i diversi gruppi di animali (vacche in latte, asciutte e rimonta), di solito vengono studiate individualmente e, alcune volte, ottimizzate al minimo costo, sulla base della disponibilità di scorte aziendali, dei prezzi di mercato o della reperibilità sul mercato di alimenti “convenienti”. Fatto questo, i piani colturali vengono poi studiati ed adattati per supportare le esigenze alimentari degli animali.
Questo approccio però non garantisce il miglior utilizzo delle risorse alimentari e tanto meno la migliore combinazione dei piani foraggeri in quanto la scelta “a priori” degli alimenti da destinare alle varie categorie di animali non ne permette la migliore allocazione in funzione dei reali fabbisogni.
L’esempio classico è l’utilizzo di silomais, foraggio caratterizzato da un alto livello energetico ed alto contenuto in amido, per la razione delle manze. Per evitare di formulare diete con livello energetico troppo alto, si deve introdurre la paglia, sottoprodotto a basso livello energetico, per diluire il valore nutrizionale del silomais ed evitare che gli animali ingrassino troppo.
In base a questo esempio, le esigenze di silomais aumentano in termini di superficie coltivata, o, in caso di scorte pre-definite (disponibilità in trincea) è necessario ridurre il silomais nella razione delle vacche ad alta produzione.
Multi-formulazione
Basandoci su questo presupposto, abbiamo cambiato il nostro punto di vista e considerato le razioni che vengono formulate in stalla non come entità separate (“il carro delle alte, delle basse, delle asciutte e delle manze”) ma come un unico processo che formula contemporaneamente tutte le razioni utilizzando al meglio le risorse disponibili.
Questo approccio, definito di “multi-formulazione”, porta all’ottimizzare l’impiego dei foraggi e degli alimenti concentrati (energia e proteina) nelle diverse fasi della crescita e della lattazione valorizzando al massimo l’utilizzo dei foraggi ed dei mangimi disponibili.
In questo caso però, la sola ottimizzazione delle razioni presenti in stalla, non influisce sul sistema, in quanto ottimizza esclusivamente le risorse già esistenti in azienda non permettendo all’allevatore di pensare ad altre alternative.
Per questo la nostra idea è stata quella di “multi-formulare” non solo le diete presenti in azienda, ma di includere, come fattori produttivi, anche i piani colturali e il valore delle materie prime del mercato, in funzione della massimizzazione del reddito aziendale.
Ovviamente in questa fase l’approccio prevede di considerare colture “alternative”, cioè l’opportunità di inserire colture diverse, includendole in opportuni piani colturali e rotazioni diverse da quelle già adottate dall’allevatore, in funzione della disponibilità di acqua, degli stoccaggi e di attrezzature disponibili in azienda.
Si tratta quindi di un salto di livello: i campi e l’organizzazione dei piani foraggeri dovrà essere funzionale al soddisfacimento dei fabbisogni di tutti gli animali presenti in stalla, e non il contrario come ad oggi viene fatto. Nello stesso tempo il piano colturale dovrà essere il più efficiente (produzione di biomassa e singoli nutrienti quali fibra, amido e proteine) ed economico possibile.
La base dell’analisi aziendale prevede quindi sia le potenzialità produttive delle diverse colture, comprese quelle “alternative”, che i costi di produzione che cambiano da azienda ad azienda in funzione della tipologia di coltivazione (tradizionale fino alla minima lavorazione o alla semina su sodo), dei sistemi di concimazione, del parco macchine disponibile e quindi dei loro costi di ammortamento e consumi di carburante.
Due fasi successive
Per questo motivo l’approccio che abbiamo pensato e applicato su diverse aziende non può prescindere dallo studio accurato dei diversi fattori di produzione, che avviene attraverso diverse fasi successive, da sviluppare in stretta collaborazione con l’allevatore, in quanto risulta indispensabile la sua conoscenza della specifica realtà aziendale e della fattibilità di soluzioni proposte in fase di ottimizzazione.
Per chiarezza, le fasi che ci porteranno verso il risultato finale sono due: Verifica del costo di produzione degli alimenti e Ottimizzazione dei piani colturali in funzione della mandria.
Prima Fase: Verifica del costo di produzione dei foraggi e alimenti aziendali:
- calcolo dei costi di produzione dei foraggi che si stanno producendo in azienda;
- calcolo dei costi di produzione di alternative foraggere che non si stanno producendo in azienda, ma che potrebbero entrare in nuovi piani colturali;
- descrizione dei costi delle materie prime e dei sottoprodotti disponibili dal mercato.
Seconda Fase: Ottimizzazione / rivalutazione dei piani colturali in funzione delle esigenze della mandria nel suo insieme:
- descrizione dell’azienda;
- sviluppo dei piani colturali in ottimizzazione;
- massimizzazione dell’Income over feed cost (Iofc), cioè la massimizzazione del ricavo derivante dalla vendita del latte al netto dei costi alimentari.
Armonizzare i piani colturali
Questa seconda fase prevede uno step di partenza che fotografa la struttura aziendale nella quale verranno successivamente ottimizzati i piani colturali. La descrizione prevede la raccolta di questi dati:
- definizione della mandria: numero di capi presenti in azienda (vacche in latte, asciutte e rimonta), presenza di eventuali gruppi (di alta e di bassa, primipare e pluripare, etc.);
- livello produttivo dei vari gruppi;
- composizione delle diete che sono formulate in stalla;
- sau aziendale e colture attuali;
- sau che può essere destinata alle doppie colture (es: loietto/mais, frumento/sorgo, etc.);
- capacità di stoccaggio dei foraggi aziendali;
- disponibilità di acqua per l’irrigazione;
- prezzo di commercializzazione del latte.
A questo punto, i costi dei foraggi prodotti in azienda e quelli dei foraggi “alternativi”, insieme con il loro potenziale produttivo, vengono inseriti nel modello insieme alle materie prime acquistabili o reperibili dal mercato.
Sviluppo dei piani colturali
Il punto di partenza è la fotografia dello stato attuale della mandria e delle colture.
Basandosi sulle stime dei costi di produzione sviluppati nella fase precedente e sui prezzi di mercato delle materie prime, è possibile avere una stima abbastanza accurata del costo delle diverse razioni e dell’Income over feed cost (Iofc) dell’azienda. Iofc = tutti i costi alimentari meno il ricavo proveniente dalla produzione lorda vendibile di latte.
Il primo step del modello prevede un’ottimizzazione di tutte le razioni contemporaneamente sulla base delle risorse attuali.
In genere questa prima fase rialloca alcuni foraggi o alimenti nelle varie razioni, ma raramente produce miglioramenti apprezzabili in termini sia economici che colturali.
Lo step successivo è quello di testare l’opportunità di utilizzare le colture “alternative” valutate con l’allevatore in termini di costi e potenziali produzioni e qualità nutrizionali.
Il modello, se ha l’opportunità di sviluppare soluzioni plausibili, riorganizzerà il piano colturale dell’azienda in modo tale da utilizzare le colture che trova più convenienti e che sono in grado di massimizzare l’Iofc aziendale, allocando i diversi ingredienti in modo ottimizzato nelle diverse razioni.
Di norma questa fase evidenzia quali sono i fattori produttivi che limitano la massimizzazione dell’Iofc.
Un classico esempio è la limitazione nell’utilizzo dei foraggi insilati per una limitata capacità di stoccaggi dovuta alla presenza di poche trincee oppure per l’impossibilità di fasciare grandi quantitativi di foraggi.
A questo punto, la presenza dell’allevatore è indispensabile per individuare quale e se i limiti individuati dal sistema possono essere eliminati o quali soluzioni alternative possono essere prese in analisi.
Solo a titolo di esempio riportiamo, nel box pubblicato qui sotto, e nelle due figure, gli effetti sull’Iofc per vacca anno in due simulazioni sviluppate in un’azienda di medie dimensioni (400 vacche in mungitura) ed una di piccole dimensioni (50 vacche in mungitura).
Conclusioni
Quello che è stato messo a punto all’interno dell’attività del nostro Istituto è uno strumento che aiuta l’allevatore a valutare alternative rispetto a quello che già sta facendo.
Il prendere in considerazione delle alternative, siano esse di tipo gestionale, manageriale o strutturali, è già di per se un fatto positivo e condizione necessaria per adattarsi alla volatilità del mercato.
DUE SIMULAZIONI: IN UN’AZIENDA MEDIA E IN UN’AZIENDA PICCOLA
In due simulazioni, sviluppate la prima in un’azienda di medie dimensioni (400 vacche in mungitura) e la seconda in un’azienda di piccole dimensioni (50 vacche in mungitura), riporteremo gli effetti sull’Iofc per vacca/anno.
IN UN’AZIENDA CON 400 VACCHE IN MUNGITURA (vedi anche figura 1).
Nella prima azienda, data anche la buona disponibilità di terreni da destinare alle produzioni aziendali e la possibilità di aumentare la Sau coltivabile affittando terreni in prossimità dell’azienda, la soluzione migliore è stata quella di aumentare le dimensioni della stalla, in modo da mungere il 10% di animali in più.
Questa soluzione ha richiesto un aumento nelle capacità di stoccaggio dei prodotti insilati e un adattamento delle strutture. È stato stimato che l’investimento richiesto per adattare la stalla all’aumento del numero di capi in produzione (adattamento stalla, nuovo impianto di mungitura, costruzione nuove trincee) verrà ripagato in 4-5 anni.
L’allevatore ha avviato il processo di modificazione lo scorso anno, riadattando i piani colturali in funzione della soluzione suggerita dal modello.
IN UN’AZIENDA CON 50 VACCHE IN MUNGITURA (vedi anche figura 2).
Nella seconda azienda, invece, il fattore di produzione “terreno” rappresentava una forte limitazione alla massimizzazione dell’Iofc. La difficoltà di reperire altro terreno (proprietà o affitto), ha reso necessario eliminare la rimonta, che viene comprata sul mercato (circa 8-10 manze gravide all’anno), ed aumentare il numero di capi in produzione (+15% di vacche in lattazione). L’allevatore adotta ormai da 4 anni questa soluzione con ottimi risultati, come da lui stesso riferitoci.
Gli autori sono dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza - Istituto di Scienze degli alimenti e della nutrizione - Facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali.
L’edicola di Informatore Zootecnico