Oggi più che mai anche nell’alimentazione degli animali zootecnici è fondamentale avere un approccio “di precisione”. Ne sono certi Lea Pallaroni, segretario generale di Assalzoo, e Matteo Crovetto, docente del Dipartimento di Scienze agrarie e ambientali dell’Università degli Studi di Milano e membro del comitato scientifico Assalzoo, che intervengono sul tema dell’integrazione alimentare nel settore dei bovini da latte e da carne. L’Assalzoo è l’associazione nazionale degli industriali mangimisti.
«Precision farming e precision feeding sono le parole d’ordine del giorno - spiega Pallaroni - e non si tratta solo di moda: una volta tanto c’è sostanza dietro parole che possono sembrare solo slogan. Con l’espressione “alimentazione di precisione” ci riferiamo a una tecnica che consiste nel somministrare agli animali allevati le esatte quantità di nutrienti. in funzione dei rispettivi fabbisogni derivanti dal loro stato fisiologico e produttivo. Quindi ciò che serve e nulla più. In questo modo si limitano gli sprechi, con vantaggi sia economici che ambientali».
Cosa addizionare con l’integrazione
Più specificamente, per i bovini da latte e da carne, è bene formulare razioni alimentari con i giusti contenuti di minerali (macro- e microminerali) e di vitamine disponibili per l’animale. «Attenzione quindi – prosegue Pallaroni - a non valutare i nutrienti totali, ma solo la quota effettivamente utilizzabile dall’animale.
Per i minerali la digeribilità è mediamente del 50%. Ciò significa che metà circa del calcio, del fosforo e così via che somministriamo agli animali con la dieta è perso con le feci e non è disponibile per l’animale. Da sottolineare però che i minerali inclusi nella dieta come sali (es. fosfato bicalcico CaHPO4) hanno una biodisponibilità maggiore dei corrispondenti minerali presenti negli alimenti (es. Ca nell’erba medica o P nella crusca)».
Per le vitamine poi, dice ancora il segretario generale, «è bene fare attenzione al fatto che i soli alimenti singoli, concentrati o foraggi, se non somministrati freschi (ben pochi in verità!), ma conservati per essiccazione o insilamento, non sono assolutamente in grado di apportare le quantità minime necessarie delle vitamine liposolubili (A, D, E), le quali quindi vanno somministrate sotto forma di integratori ad hoc».
Infine vi sono categorie di prodotti, come i lieviti e i probiotici, «che possono essere “integrati” nella dieta per stimolare l’attività ruminativa e ottimizzare le condizioni fermentative del rumine. Si tratta quindi di prodotti che, oltre ad avere un proprio valore nutritivo (i lieviti per es. sono ricchissimi di proteine), esercitano un effetto sinergico nella dieta, aumentando indirettamente il valore nutritivo degli altri componenti della razione».
Da un punto di vista normativo si sta assistendo a un consolidamento della normativa specifica di settore per quanto concerne l’ingredientistica con l’individuazione di due tipologie di prodotti. «Da un lato le materie prime – illustra Crovetto – riportate nel Catalogo delle materie prime (da ultimo il Reg. 2017/1017), dall’altro il registro degli additivi costantemente aggiornato con le nuove autorizzazioni rilasciate dalla Commissione europea ai sensi del reg. Ce 1831/2003. Una distinzione che, al momento, viene sempre più messa in discussione da alcune tipologie di prodotti, la cui classificazione non risulta così immediata, tant’è che sempre più spesso la classificazione dei prodotti è oggetto di analisi anche in seno allo specifico comitato Nutrizione animale della Commissione europea».
Il rapporto foraggi/concentrati
Il rapporto tra foraggi e concentrati dipende dalla quantità e soprattutto dalla qualità dei foraggi a disposizione. Non esistono rapporti ideali, ma piuttosto concentrazioni di nutrienti ottimali per ottenere dagli animali le massime performance produttive consentite dal loro potenziale genetico.
«Quindi se, per esempio – illustra ancora Pallaroni – abbiamo un gruppo di bovine che produce 40 kg di latte/giorno, la concentrazione proteica ed energetica della razione dev’essere pari circa al 16,0% PG s.s. e 0,98 UFL/kg s.s., con una concentrazione di NFC (carboidrati non fibrosi ovvero amido, zuccheri, pectine, ecc.) di circa il 41% della sostanza secca (s.s.) (amido: 28% s.s.)». A questo proposito si veda la tabella.
«Tornando al rapporto foraggi/concentrati - prosegue Pallaroni - se la razione finale, unifeed o miscelata in corsia più mangime con gli autoalimentatori, prevede per esempio. il 32% di NDF sul secco, se parto da una base foraggera con foraggi a basso tenore di NDF (es. silomais al 45% NDF s.s., erba medica al 42% NDF s.s.), posso usarne una quota maggiore nella dieta di quella che posso usare se impiego foraggi più fibrosi (es. fieno maggengo di prato stabile al 60% NDF s.s., sorgo foraggero al 65% NDF s.s. o fieno di frumento al 65% NDF s.s.)».
Lo stesso discorso vale per le proteine e per il valore energetico: foraggi a maggior tenore proteico (es. la medica o la soia foraggera) o energetico (es. il silomais o un insilato/fienosilo di loiessa o di prato stabile) possono essere inseriti nella razione in proporzioni maggiori rispetto a foraggi qualitativamente inferiori.
I vantaggi per il benessere animale
L’integrazione alimentare porta vantaggi anche per il benessere animale, dal momento che lo “star bene” è il risultato di molteplici fattori ambientali, tra i quali l’alimentazione gioca un ruolo chiave. «Pensare che gli animali selvatici abbiano un maggior benessere di quelli allevati o in cattività solo perché sono liberi – precisa Crovetto – significa disconoscere l’importanza di potersi alimentare adeguatamente. Anche l’essere umano, come gli animali, sta meglio se adotta una dieta bilanciata e completa di tutti i nutrienti, senza carenze e senza eccessi. Per fare un semplice esempio: meglio una dieta per vacche da latte o vitelloni con fonti proteiche di qualità, es. farina di estrazione di soia o di girasole decorticato, che una dieta abbondante di proteine alimentari di bassa qualità e digeribilità, es. farina di estrazione di girasole integrale o colza, farina disidratata di medica o fieno di medica ad alto contenuto di NDF (50% s.s.) e basso tenore proteico (13-14% s.s.). La seconda dieta comporta un maggior lavoro metabolico da parte dell’animale e un maggior impatto ambientale per kg di latte o di carne».
Ogni categoria di animali corrispondenti a diversi stadi fisiologici e livelli produttivi ha fabbisogni alimentari e nutritivi specifici, come mostra ancora la tabella. «Un errore nel quale tuttora alcuni allevatori incorrono – riferisce Crovetto - è quello di considerare poco gli animali “improduttivi” (vitelli, manzette e manze, asciutte), ai quali vengono spesso riservati foraggi scadenti se non addirittura con un livello di salubrità insufficiente. Il giovane bestiame è invece il patrimonio futuro della stalla e la fase di asciutta è anch’essa fondamentale per avere poi un’animale sano, senza dismetabolie nelle prime settimane di lattazione e con un andamento produttivo e riproduttivo ottimali».
Premiscele, probiotici, lieviti, prebiotici
Le premiscele di additivi favoriscono l’apporto simultaneo e bilanciato (di nuovo in funzione dei fabbisogni o delle esigenze nei diversi stadi fisiologici) di sostanze ad azione nutraceutica.
Da sempre l’uomo usa sostanze naturali per aumentare le proprie difese immunitarie, prevenire malattie o addirittura curarsi. Oggi il fenomeno dell’antibiotico-resistenza fa rivalutare l’uso di alcune sostanze anche in alimentazione animale.
«Microrganismi benefici (probiotici) e lieviti possono essere utilmente somministrati in fase di svezzamento e anche a inizio lattazione – continua Crovetto –, per aumentare le difese immunitarie dell’animale e aumentarne le performance produttive. Per i bovini, la micro-incapsulazione dei probiotici potrebbe dare una spinta all’uso e ai benefici di tali sostanze in grado in tal modo di agire direttamente a livello dell’intestino, sede delle principali patologie enteriche».
I probiotici sono indicati soprattutto nella fase di svezzamento e di post-svezzamento, mentre i lieviti contribuiscono ad ottimizzare microbiologicamente l’ambiente ruminale.
«Oltre ai lieviti e ai probiotici – prosegue Crovetto –, vi è anche la numerosa gamma di prebiotici, sostanze non nutritive per l’animale, ma che ostacolano con modalità diverse la proliferazione intestinale dei microrganismi patogeni e favoriscono invece la crescita e l’attività dei microrganismi benefici di rumine e intestino, favorendo quindi la salute dell’animale. I prebiotici possono essere aggiunti alla dieta direttamente nel caso di monogastrici, previa rumino-protezione se destinati invece ai ruminanti. Sostanze simili possono dare grossi vantaggi per i vitelli da latte e da carne in fase di svezzamento e di post-svezzamento».
L’assistenza fornita da Assalzoo
Le aziende mangimistiche, aggiunge Pallaroni, sono sempre molto attente alle novità che emergono in fatto di alimentazione animale, pronte a testare con i propri esperti nutrizionisti nuove formulazioni per garantire diete bilanciate ed efficienti. L’attenzione è sempre rivolta allo sviluppo di soluzioni e di prodotti innovativi per soddisfare le esigenze dell’allevatore, ma anche per fornire soluzioni alle principali sfide che sta affrontando il settore zootecnico: riduzione dell’uso del medicinale veterinario e sostenibilità.
Fondamentale il ruolo di ricerca e sviluppo delle aziende produttrici di additivi, cuore dell’innovazione e del know-how dell’intero settore dei mangimi. Additivi le cui funzionalità sono sempre più importanti anche nel mantenimento dello stato di salute dell’animale.
In un contesto di fermento, di ricerca di soluzioni sempre più efficienti e funzionali, il settore si trova troppo spesso, continua Lea Pallaroni, a mediare tra rispetto delle esigenze del settore, salute degli animali ed una norma che pone, troppo spesso, paletti che limitano lo sviluppo e l’innovazione. Pensiamo ad esempio alle sopracitate sostanze naturali con le quali da anni si curano gli uomini. Gli estratti vegetali a livello mangimistico sono stati classificati additivi e pertanto, prima di poter esser utilizzati, occorre effettuare studi per predisporre il dossier per l’Efsa, situazione che comporta spese e tempi lunghi.
«In tale contesto Assalzoo fornisce assistenza alle aziende associate – specifica il segretario generale dell’associazione - per classificare correttamente gli ingredienti (additivi vs. materie prime), i prodotti finiti (ancora troppe le segnalazioni da parte degli organi competenti di errori di classificazione tra premiscele e mangimi complementari), nonché il rispetto delle norme di etichettatura che rappresentano lo strumento di comunicazione verso l’allevatore».
Conclude quindi Lea Pallaroni: «Le aziende mangimistiche hanno tutti gli strumenti per garantire ai propri allevatori razioni bilanciate e complete, ma anche per porsi obiettivi più ambizioni di riduzione dell’uso del medicinale veterinario o di riduzione dell’impatto ambientale. Tuttavia troppo spesso l’innovazione a disposizione del mangimista è vincolata dalla legislazione vigente e ancor più dalle norme imposte dai disciplinari di produzione, con particolare riguardo ai Dop, che troppo spesso sacrificano l’innovazione nel nome della tradizione».