La produzione del latte è un sistema rigido

produzione latte
La richiesta delle industrie di contrarre i conferimenti è di difficile attuazione pratica negli allevamenti. Infatti la produzione del latte bovino è un sistema poco flessibile nel breve periodo, la sua programmazione va fatta nell’arco di almeno tre anni

Curiosamente sin dall’inizio del lockdown, per far fronte ai problemi di mercato generati dall’emergenza coronavirus l’industria di lavorazione e di trasformazione del latte ha avanzato richieste di immediate riduzioni, in alcuni casi anche del 25%, del latte prodotto in stalla.
Senza entrare in merito alle logiche economiche di queste richieste, che comunque sottolineano ancora una volta la fragilità del sistema lattiero caseario nazionale, lascia alquanto perplessi la scarsa “empatia” del settore privato della lavorazione e della trasformazione nei confronti delle aziende produttrici del latte.

Meno concentrati e più foraggi?

In tal senso infatti in primis veniva consigliato agli allevatori di ridurre la quantità di alimenti somministrati agli animali, favorendo nel contempo un maggiore ricorso ai foraggi a scapito dei concentrati.
Ciò evidenza chiaramente una scarsa conoscenza del “funzionamento” della vacca da latte, che viene paragonata a una sorta di impianto di riscaldamento per il quale è sufficiente agire sul termostato (alimentazione) per controllare la temperatura (latte).
L’attuazione di questa strategia avrebbe avuto ricadute deleterie soprattutto nelle vacche ad alta specializzazione produttiva, in quanto queste sono state geneticamente “programmate” a utilizzare proprie riserve energetiche per far fronte a deficit fra input (alimentazione) e output (latte).
Pertanto una eventuale riduzione dei consumi, soprattutto in termini energetici, avrebbe stimolato la rimozione delle riserve adipose della vacca con aumenti dell’incidenza di dismetabolie (chetosi, steatosi epatica, ecc.), con conseguenti limitate riduzioni del latte nel breve periodo ma soprattutto grave compromissione della futura carriera degli animali.

Altre strategie gestionali oltre a quella alimentare

L’accentuazione della riforma forzata. Per rimanere in tema sulle possibili strategie gestionali da adottare per ridurre la produzione di latte aziendale nel breve periodo, va ricordata l’accentuazione della riforma forzata eliminando le vacche non gravide, poco produttive, con lunghi giorni di lattazione, con problemi locomotori, con elevate presenze di cellule somatiche nel latte, con mammelle poco funzionali, ecc..

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Anche questa azione avrebbe comunque un effetto limitato sulla riduzione della quantità di latte prodotto, poiché verrebbero scartate le bovine meno produttive e nelle aziende maggiormente specializzate, viene già attuata una elevata riforma degli animali grazie alla grande disponibilità di manze per la rimonta ottenuta in seguito all’uso del seme sessato.
Una sola mungitura. Un’ulteriore strategia potrebbe essere il passaggio ad una sola mungitura giornaliera da effettuarsi nelle vacche meno produttive. Comunque pure questo intervento sarebbe scarsamente risolutivo per una consistente contrazione della produzione di latte e comporterebbe complicazioni organizzative aziendali per l’esigenza di creare il gruppo “una mungitura” e aumenti dell’incidenza di mastiti soprattutto nelle prime fasi di passaggio.
Un gruppo parcheggio. Un’aggiuntiva possibilità sarebbe la creazione del cosiddetto gruppo “parcheggio”, costituito da bovine messe in asciutta anticipatamente rispetto a tempi canonici e alimentate con razioni a limitati contenuti energetici e proteici.
Con la costituzione del gruppo parcheggio, parimenti al passaggio a una sola mungitura giornaliera, si avrebbe un aumento dell’incidenza, sulla produzione lorda vendibile, dei costi fissi e di quelli di mantenimento degli animali. Inoltre il prolungamento della fase improduttiva delle vacche gravide può aumentare il rischio di problemi al parto a causa di un maggiore stato di ingrassamento delle bovine.

O non sono attuabili o hanno effetti incerti

Appare evidente pertanto che le possibili strategie adottabili per ridurre nel breve periodo la produzione di latte vaccino o non sono attuabili o hanno incerti effetti in termini quantitativi. Sicuramente la loro attuazione comporta aggravi economici a carico dell’azienda e i superiori disagi organizzativi.
In conclusione si può affermare che la produzione di latte bovino è un sistema rigido, poco propenso ad essere flessibile nel breve periodo e la cui programmazione va fatta in un arco di tempo di almeno tre anni per non avere forti penalizzazioni economiche e in grado di compromettere la sopravvivenza stessa delle aziende.
Una possibile soluzione è rappresentata da un rafforzamento complessivo del sistema produttivo, con una maggiore condivisione e partecipazione di tutti gli attori della filiera, compresi gli enti pubblici preposti, in modo tale da fronteggiare le situazioni emergenziali come quelle provocate dal coronavirus, con maggiore trasparenza del mercato e soprattutto con la creazione di ammortizzatori produttivi in grado di assorbire e gestire le oscillazioni di richieste del mercato.


L’emergenza da Covid 19 non ha contratto i consumi nazionali di prodotti di origine animale

L’emergenza conseguente alla diffusione del coronavirus ha comportato rovinose ricadute sui sistemi economico-sociali mondiali. Al momento attuale i settori maggiormente colpiti, a causa della riduzione e in certi casi dell’azzeramento della domanda, sono stati quelli che si basano sullo spostamento delle persone quali l’attività manufatturiera e i servizi legati al turismo e alla ristorazione, mentre in controtendenza si sono rilevati i consumi relativi agli alimenti di origine animale.
In base a dati Ismea, infatti, nel primo trimestre del 2020 rispetto all’analogo periodo del 2019, si è registrato un aumento dei consumi del 6,3% delle carni fresche in generale e del 14% delle uova.
Per quanto concerne il comparto lattiero-caseario vi sono stati incrementi dei consumi dei formaggi duri dell’8,2%, dei formaggi freschi del 7,9%, dei formaggi industriali del 9,5% e dei formaggi semiduri dell’1,7%.
A riguardo del latte alimentare si registrate maggiori richieste di prodotto a lunga conservazione del 12,4% mentre per il latte fresco vi è stata solo un leggero aumento dell’1,9%.
Inoltre la necessità di contenere al massimo gli atti di acquisto sono stati previlegiati nell’acquisto, i prodotti conservabili e quelli preconfezionati.
A livello di sistemi distributivi si è registrata la quasi totale chiusura dei canali HoReCa (Hotellerie, Restaurant, Cafè/Catering) e l’accentuazione della crisi dei punti vendita di grandissime superfici (ipermercati) mentre si sono rafforzate le vendite negli esercizi di prossimità.
In tal senso significativi sono stati gli aumenti delle vendite nei discount (+13%) e nei supermercati (+10%).
Da quanto riportato l’emergenza da Covid 19 non ha sicuramente contratto i consumi nazionali di prodotti di origine animale e ciò è tra l’altro confermato dal Sole 24ore per i formaggi anche per il secondo trimestre del 2020.
Le disposizioni imposte per contenere la diffusione del contagio hanno modificato, oltre alla tipologia dei prodotti acquistati, i punti vendita di riferimento dei consumatori, comportando un loro ulteriore spostamento verso la Gdo e in particolare nei siti di quartiere di medie/piccole dimensioni.
Queste variazioni hanno probabilmente innescato differenti dinamiche di contrattazione nella vendita degli alimenti dal produttore al distributore, con negative ricadute sul prezzo del latte soprattutto se destinato a prodotti non qualitativamente qualificati.
Alla riduzione del prezzo del latte potrebbero inoltre aver influito difficoltà di esportazione dei prodotti caseari e un eccesso di produzione soprattutto per i formaggi stagionati.

La produzione del latte è un sistema rigido - Ultima modifica: 2020-09-01T12:03:15+02:00 da Lucia Berti

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