I sottoprodotti agroindustriali nell’alimentazione animale

sottoprodotti agroindustriali
Legislazione, approvvigionamento, condizioni di conservazione in azienda, opportunità di impiego nella nutrizione dei bovini. Le proposte del progetto “Bioeconomia a km zero”, finanziato dal Psr della Regione Emilia Romagna. Si tratta dell’impiego dei residui della trasformazione del pomodoro da industria, degli scarti di ortaggi, cereali e frutta

La sinergia tra aziende che producono sottoprodotti e altre che li utilizzano come materie prime secondarie, cioè in sostituzione ad altre materie prime, prende il nome di simbiosi industriale ed è alla base dei principi dell’economia circolare (La Monica et al., 2014). In Europa, l’industria agroalimentare produce circa 250 milioni di tonnellate/anno di sottoprodotti e rifiuti (Awarenet, 2004), in Italia sono prodotti circa 13,5 milioni di tonnellate/anno di residui colturali e scarti agroalimentari che possono essere in parte riutilizzati dal settore mangimistico e valorizzati nelle filiere zootecniche.
Già nel 2006 il Centro ricerche produzioni animali (Crpa), allo scopo di indirizzare le politiche di recupero e valorizzazione dei rifiuti organici, aveva condotto una specifica indagine per localizzare e caratterizzare quali-quantitativamente la produzione di scarti e rifiuti di natura organica del comparto agroindustriale sul proprio territorio (Emilia-Romagna).
Da questa indagine, finanziata come progetto strategico ai sensi della L.R. 28/98, emergeva l’auspicio di chiarezza in merito alla classificazione di diversi scarti agroindustriali, affinché fossero considerati sottoprodotti anziché rifiuti, in virtù della loro elevata qualità e purezza merceologica e al loro effettivo recupero (Rossi e Piccinini, 2007).

Il quadro normativo

L’entrata in vigore della direttiva quadro rifiuti, Direttiva 2008/98/CE, ha poi obbligato il legislatore nazionale ad adeguare le norme vigenti alle più recenti norme comunitarie, soprattutto per quanto attiene ai concetti di “recupero”, “rifiuto” e “sottoprodotto”. L’Articolo 184-bis, del Dlgs 152 del 2006 e s.m., (sostituito dal Dlgs n.205 del 2010) definisce una serie di requisiti che devono essere contestualmente tutti soddisfatti per identificare un “sottoprodotto” (figura 1). La mancanza di anche un solo requisito comporta che il materiale sia trattato inevitabilmente secondo la disciplina sui rifiuti (Albertazzi, 2018).
Sono oneri del produttore e del detentore assicurare l’organizzazione e la continuità di un sistema di gestione, deposito e trasporto, che consenta l’identificazione e l’utilizzazione effettiva del sottoprodotto per tempi e per modalità. E’ molto utile anche la formalizzazione contrattuale della cessione del sottoprodotto stesso (anche a titolo gratuito); nel caso di sottoprodotti destinati all’alimentazione di animali da reddito, vigono inoltre gli obblighi di tracciabilità, Reg. (CE) N. 852/2004, verificabili dalle competenti autorità di vigilanza e controllo.


Recentemente la legge n° 202 del 30/08/20016, oltre a disporre per la distribuzione di prodotti alimentari per uso sociale e per la limitazione degli sprechi, definisce le “eccedenze alimentari” e ne autorizza l’uso in alimentazione animale vincolato al mantenimento dello stato igienico sanitario delle stesse, per contribuire alla limitazione degli impatti ambientali, alla riduzione dei rifiuti e per promuovere i reimpieghi al fine di estendere il ciclo di vita dei prodotti.
Le nuove normative in materia di ‘sottoprodotti’ considerano l’esigenza di utilizzare le risorse naturali per favorire la crescita economica e allo stesso tempo di aumentare l’efficienza di trasformazione per ridurre la produzione di rifiuti e l’impatto ambientale. Resta tuttavia non semplice adempiere in modo corretto ed esaustivo a tutte le normative che coinvolgono il semplice passaggio di un sottoprodotto dal produttore al detentore/utilizzatore (azienda agro-zootecnica).

Tre principali vantaggi

L’innovazione tecnologica applicata al riutilizzo di sottoprodotti e residui agroalimentari nel settore mangimistico è un situazione vantaggiosa per numerosi aspetti, fra cui tre principali:
1. Recuperare il valore nutritivo del sottoprodotto come alimento zootecnico. Ciò ha favorito nei decenni scorsi la diffusione dei sottoprodotti nella industria mangimistica come le farine di estrazione e la crusca (Ellis and Bird, 1951). I sottoprodotti sono più economici delle granelle e consentono di ridurre il costo razione. La maggior parte dei sottoprodotti può essere valorizzata per l’alimentazione dei ruminanti ed è stato dimostrato che possono sostituire completamente i cereali e migliorare l’efficienza di conversione alimentare dei bovini (Erti et el., 2015). Esistono sottoprodotti ricchi in proteina (glutine di mais, farine di estrazione di olii vegetali, etc), ricchi in fibre digeribili (buccette di soia, polpe di bietola, pastazzo di agrumi, etc), ricchi in lipidi (germe di mais, olii ricchi in grassi idrogenati, etc) ricchi in zuccheri e amido (farinette e altri sottoprodotti dell’industria molitoria, alimenti scaduti dell’industria dolciaria e della panificazione) che possono essere utilizzati nella formulazione di mangimi complementari. L’industria ortofrutticola e vinicola per la produzione da consumo fresco, da succhi di frutta e da vino smaltiscono come residui dal 5 al 50% delle quantità lavorate oltre agli scarti in campo, mentre l’industria della barbabietola da zucchero smaltisce l’85% del prodotto lavorato (Kasapidou et al. 2015).
2. Migliorare le proprietà funzionali e nutraceutiche degli alimenti. Alcuni sottoprodotti vengono utilizzati e inclusi nelle razioni animali (o nelle diete per l’uomo) per la particolare concentrazione di composti bioattivi poiché, oltre ad apportare valore nutritivo, svolgono il ruolo di integratore funzionale con particolari effetti benefici sulla salute o sul metabolismo. In tal caso i sottoprodotti si utilizzano similmente ad additivi alimentari e conferiscono un miglioramento dello stato sanitario dell’animale e della qualità dei prodotti; possono inoltre favorire le qualità organolettiche della razione, apportare antiossidanti, o altre sostanze antitumorali, anticancerogeni, stimolanti del sistema immunitario e inibitori di parassiti del digerente, migliorare la qualità dei prodotti dal punto di vista microbiologico e della stabilità dei lipidi o della conservazione e durata (Santana-Méridas et al., 2012; Cunha et al., 2018;). Questo è uno dei principali motivi che ha recentemente stimolato la ricerca di nuovi sottoprodotti e lo studio dei composti bioattivi residuali (Nudda et al., 2019). Alcuni esempi: sanse, marcomele e vinacce ricchi in polifenoli, residui di girasole e soia ricchi in fitosteroli, residui di agrumi, carote e pomodori ricchi in pectine e carotenoidi etc. (Galankis, 2012).
3. Ridurre l’impatto ambientale. L’uso dei sottoprodotti riduce il fabbisogno di risorse naturali (superfici coltivabili per la produzione di foraggi e granelle, acqua per irrigare le colture, fertilizzanti, energia necessaria alle coltivazioni, trasporti, etc) e migliora le performance ambientali del settore zootecnico e agroalimentare in genere (Capper et al., 2013). L’uso di sottoprodotti agroalimentari consente di ridurre le emissioni di gas serra della produzione di latte e carne in quanto le emissioni per la produzione di un sottoprodotto sono inferiori alle emissioni per fieni e granelle. Nell’ultimo decennio la ricerca è particolarmente diretta a quantificare i benefici ambientali dell’uso di sottoprodotti (Bhatta et al., 2009).
Ulteriori benefici socioeconomici derivano da sottoprodotti agroalimentari fibrosi usati per l’alimentazione dei ruminanti, che sostituiscono parte di granelle (mais, soia, cereali e altre) utilizzabili per l’alimentazione umana. Questo riduce la competizione tra uso di alimenti per l’uomo e per gli animali (competizione food-feed) sui mercati delle farine e sull’uso della terra da coltivare per l’alimentazione umana o animale (Capper et al., 2013).

Il progetto

Anche per rispondere ad alcuni aspetti caratterizzanti questo settore, è in corso di svolgimento il progetto “Bioeconomia a km 0” ( http://bioeconomiakm0.crpa.it ) un Piano di innovazione finanziato dal Programma regionale di sviluppo rurale 2014-2020 della Regione Emilia-Romagna, in corso di realizzazione da parte di Crpa spa di Reggio Emilia (capofila), l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, l’Associazione Regionale Allevatori dell’Emilia-Romagna e la Società Agricola Ferrari Giuseppe & C. di San Giorgio Piacentino, per rispondere alle opportunità create dalle normative sopra descritte.


Sono in corso le seguenti attività sotto la supervisione scientifica di Unicatt:
1. determinazione dei sottoprodotti potenzialmente utilizzabili e del loro valore (nutritivo, energetico, biologico, sanitario ed economico);
2. organizzazione logistica di approvvigionamento a livello di azienda agricola, cioè senza l’intermediazione dell’industria mangimistica e/o di uno stoccatore;
3. messa a punto di tecniche di conservazione ed uso dei sottoprodotti;
4. valutazione degli impatti e del risparmio di CO2 dei processi proposti.
Il Piano Bioeconomia a km 0, pertanto, si pone l’obiettivo di valorizzare gli scarti agricoli e agroindustriali vegetali (sottoprodotti) prodotti ogni anno in Emilia-Romagna rappresentati dal 2 al 36% del peso della materia prima di origine (Rossi e Piccinini, 2007).
Si tratta principalmente dei residui della trasformazione del pomodoro da industria, degli scarti di ortaggi, cereali e frutta (figura 2). Le loro caratteristiche compositive li rendono particolarmente interessanti per il reimpiego in alimentazione animale e biomassa da digestione anaerobica per energia .

Per l’alto costo del mais

La spinta selezione genetica degli animali da reddito, e in particolare delle bovine da latte, limita la scelta degli alimenti da utilizzare per il raggiungimento dei fabbisogni energetici e proteici.
È necessario raggiungere elevati livelli di carboidrati fermentescibili nel rumine, mantenendo al contempo una fibra fisicamente efficace nel mantenere la ruminazione e i titoli di grasso (valori superiori al 23% della SS della razione secondo Nrc, 2001). Il mais è il principale alimento energetico, ma oltre un certo costo deve essere messo a confronto con possibili alternative (Fustini et al, 2012; Gallo et al., 2018).
Molti sottoprodotti, anche fibrosi come le polpe di barbabietola e i distillers di mais, sono caratterizzati da basso valore di amido, elevata digeribilità della fibra e contenuto variabile di fibra solubile e zuccheri (Gallo et al., 2017). Una parte dell’amido del mais può essere sostituita anche con fonti di fibra solubile come le trebbie umide di birra.
Alcuni tra i più comuni sottoprodotto disponibili nel comprensorio emiliano hanno buone caratteristiche chimiche, che ne aumentano la potenzialità di impiego (tabella 1). Vediamo alcuni casi.

Polpe di bietola

Le “polpe di bietola” sono il residuo della lavorazione della barbabietola da zucchero. Si presentano come un prodotto ad elevata appetibilità e possono essere usate per l’alimentazione dei bovini in forma essiccata o umida e sotto forma di pellet o sfarinato.
Possono essere incluse nelle diete fino al 50% dei concentrati, circa 3.5-6.5 kg/d di SS per capo.


La maggioranza dei carboidrati non fibrosi (NFC) nelle polpe è sotto forma di pectine, che fermentano nel rumine principalmente ad acetato. La fibra della polpe di bietola è di ottima qualità, molto fermentescibile e può essere usata in diete carenti in fibra fermentescibile. L’inclusione di polpe di bietola ad inizio lattazione permette di avere razioni ad alto NDF e moderato NFC ma con elevata densità energetica e basso rischio di acidosi.
Possono essere usate anche come sostitutivo di alcuni foraggi ma in misura limitata, in quanto possiedono un fattore di stimolazione della ruminazione di 0.43 (espresso come frazione della NDF), pari a circa la metà di quello dei comuni foraggi, per i quai si considera un valore di 1.0. Un’indicazione sul livello massimo di sostituzione dei foraggi usando polpe può essere nell’intorno del 15-25%.

Trebbie di birra umide

Le “trebbie di birra umide” sono il residuo della lavorazione del malto d’orzo o in miscela con altri cereali per la produzione di birra; possono contenere omogeneamente tracce di luppolo fino a un massimo del 3%. Presentano contenuto nutrizionale simile a quelle essiccate, eccetto che le trebbie umide hanno solo il 20-30% di SS.
Possono essere incluse nelle diete per vacche in latte tra i 5 e i 18 kg/d di tal quale per capo. Precauzioni devono essere prese in modo tale da non ottenere razioni con contenuto in SS inferiore al 45%. Aggiungere trebbie umide in razioni già ricche in foraggi a basso livello di SS può aiutare ad aumentare l’ingestione di SS. Le trebbie fresche devono essere utilizzate nell’arco di 7-10 gg in modo da preservarne freschezza e non creare disturbo agli animali.
Possono essere stoccate per mesi se insilate in ambiente anaerobico (silobags o piazzali/trincee su fondo assorbente quale polpe di bietola essiccate). Presentano una bassa concentrazione di zuccheri, prestare attenzione a questa caratteristica, unita al bassa sostanza secca del prodotto in caso di insilamento. Tutti i commenti fatti sulle trebbie di birra umide valgono anche per le trebbie di birra essiccate.

Corn gluten feed

Il glutine di mais o corn gluten feed (cgf) è il residuo della lavorazione della granella di mais che porta all’estrazione di gran parte dell’amido, del glutine e del germe della cariosside per la produzione di amido. Lo si può trovare in forma essiccata oppure umida e sotto forma di sfarinato o pellet.
Cgf umidi contengono generalmente un 45% di SS. Possono essere inseriti in diete per vacche in lattazione ad un livello massimo di 5.5 - 6.5 kg di SS per la versione essiccata e di 3.5-5.5 kg di SS per i corn gluten feed umidi.
Ove utilizzati i cgf umidi vengono inseriti in razione in ragione di 6.5-11 kg/d per vacca di cgf tal quale. Una volta consegnati in azienda andrebbero utilizzati in 7-10 giorni per mantenerne la freschezza.

sottoprodotti agroindustriali E’ opportuno controllare, tramite analisi, la concentrazione di zolfo, in quanto sono stati rilevati diversi campioni con alta concentrazione di zolfo (>0.7% sul secco). Tali concentrazioni in caso di alti livelli di inclusione nella dieta, creano problemi nel metabolismo della Tiamina (vitamina gruppo B).
É inoltre opportuno prestare attenzione a non superare livello di zolfo nella dieta pari a (0.2% sul secco) considerando sia l’apporto di zolfo da alimenti che da acqua di abbeverata per evitare potenziali effetti negativi sull’assorbimento di selenio, rame, innalzamento DCAD e relativo calo d’ingestione e produzione.

Distillers con solubili

I residui di distillazione o “distillers con solubili” sono co-prodotti delle distillerie ottenuti dalla distillazione delle granelle per la produzione di alcol etilico.
La granella di origine dovrebbe essere indicata all’inizio del nome del prodotto. Molte distillerie aggiungono alla granella la parte liquida, i cosiddetti solubili, in modo da non essiccare il prodotto finale e ottenere una miscela semisolida con sostanza secca variabile tra 8 e 26% e con proteina tra il 30 e 35% sulla SS.
Distillers con solubili sono stati valutati in alcune prove in vivo alla Cornell University (Chase, 1991) in diete per vacche fresche in lattazione a livelli di inclusione del 0,8 e 16% della SS della razione. Ingestione, produzione di latte e titoli sono risultati simili in tutte le razioni proposte ad indicare la elevata potenzialità dei distillers di sostituire altre componenti della razione. L’ingestione massima di distillers con solubili osservata era di 14 kg/d per vacca di prodotto tal quale (3.6 kg/d di SS).

Radichette di malto

Le “radichette di malto” sono ottenute dalla lavorazione dell’orzo e contengono radichette, germogli, parte delle glume e malto. E’ un prodotto che contiene almeno il 24% di proteine sulla SS.
I limiti di utilizzo di questo prodotto sono simili a quanto riportato per le trebbie di birra.
Possono essere usate per ridurre la concentrazione di carboidrati non fibrosi della razione e come parziale sostitutivo dei foraggi. Possiedono un fattore di stimolazione della ruminazione di 0.48 (espresso come frazione della NDF), rispetto all’1.0 dei comuni foraggi.
Il livello massimo di sostituzione dei foraggi usando questo prodotto è tra il 15 e 25% dei foraggi della dieta.

Scarti di lavorazione della patata

Gli scarti di lavorazione della patata includono patate di pezzatura non adatta alla lavorazione/commercio, patate fritte e scarti di lavorazione.
Le patate fresche, non congelate e non germogliate possono essere somministrate tal quali senza bisogno di nessun trattamento.
Questi scarti contengono un 20-25% di SS, un prodotto umido ad alta concentrazione amilacea il cui uso deve essere limitato a non più di 2.5-3 kg/d per vacca di SS.

Scarti di lavorazione del mais dolce

Gli scarti della lavorazione del mais dolce consistono in tutoli, brattee, spighe di scarto, cariossidi. Il valore nutrizionale di questo prodotto è simile ad un insilato di mais di scarsa qualità. Il contenuto di sostanza secca di questo sottoprodotto è in media nell’intorno del 20-25%, con una elevata variabilità in termini nutrizionali il che suggerisce di adottare frequenti analisi del prodotto.
Questo sottoprodotto può essere conservato in silobags oppure in trincee.
Ne è suggerito l’utilizzo in diete per bovine a bassa produzione, vacche asciutte e manze. Il basso valore nutrizionale ne limita l’uso in diete per bovine ad alta produzione. Può essere usato come parziale sostitutivo di fieni o insilati e si consiglia di limitarne l’uso a non più di 11-16 kg/d tal quale per capo.
Scarti di lavorazione delle verdure
Gli scarti della lavorazione delle verdure consistono principalmente in carote, spinaci, bietole, insalate.
Il contenuto proteico è molto variabile, ma solitamente va dal 15 al 30% di proteina grezza sul secco, con un contenuto in ADF dal 10 al 20%.
Usualmente sono prodotti freschi e usati tal quale ma talvolta vengono insilati con altri foraggi. Stoccaggio temporaneo del prodotto fresco è limitato a qualche giorno. Si consiglia di analizzare il prodotto ogni volta si avverte un cambio nella tipologia di materiale. Devono essere considerati come foraggi umidi (5-15% della sostanza secca), ad alto contenuto in ceneri e dal contenuto energetico variabile da 1.36 a 1.5 Mcal NEl/kg. Sono generalmente ricchi di vitamine, antiossidanti e composti bioattivi.

Marcomele

Con il termine “marcomele” si indicano sottoprodotti di due tipi. Il primo è il residuo della fermentazione alcolica di frutti di pezzatura inadatta alla commercializzazione tal quale. Il secondo è un prodotto simile, derivante dalla spremitura delle mele per la produzione di succhi di frutta.
Questi prodotti sono altamente variabili nelle loro composizione nutrizionale e variano in base al tipo di frutta impiegata, dalla tipologia di lavorazione (produzione di alcol/sidro/succhi di frutta) e dal livello di inclusione di varie parti del frutto (bucce, semi, polpe, gambi.). Solitamente il marcomele viene consegnato alle aziende agricole con sostanza secca compresa tra 22% e 30%, la fibra è ricca in lignina.
Il marcomele da distilleria ha comunque un contenuto in carboidrati solubili e fermentescibili più basso del marcomele da spremitura. Sono prodotti altamente acidi, poco appetibili, si consiglia di addizionare carbonato di calcio (2% della massa totale) in modo da limitarne l’acidità se usati freschi.
L’uso come prodotto fresco deve essere tempestivo. Un possibile accorgimento può essere quello di ricoprire il cappello delle trincee all’atto dell’insilamento in modo da favorire la acidificazione della massa e impedire la formazione di muffe nei primi strati di insilato, oppure l’insilamento tal quale del prodotto in trincee/silobag dedicati. Si consiglia l’uso a non oltre 12 kg/d tal quale per capo su vacche in lattazione, e di prestare attenzione ai rischi da aflatossine, residui di antiparassitari, presenza di tannini e alcool.


Divulgazione a cura di Centro Ricerche Produzioni Animali – Crpa spa.
Autorità di Gestione: Direzione Agricoltura, caccia e pesca della Regione Emilia-Romagna. Iniziativa realizzata nell’ambito del Programma regionale di sviluppo rurale 2014-2020.
Tipo di operazione 16.1.01 - Gruppi operativi del partenariato europeo per l’innovazione: “produttività e sostenibilità dell’agricoltura” – Focus Area 5C – Progetto Bioeconomia a km0.

I sottoprodotti agroindustriali nell’alimentazione animale - Ultima modifica: 2019-10-11T10:00:49+02:00 da Lucia Berti

3 Commenti

  1. Buongiorno
    vorrei fare una tesi sull’agricoltura circolare e vorrei un vostro aiuto. In particolare sul ciclo dei sottoprodotti, non solo per mangimi ma per tutto, e un riferimento al lavoro di simbiosi industriale con altre aziende.
    Grazie

    Laura

    • Venga a Fieragricola Verona (29 gennaio – 1° febbraio 2020). In quella occasione noi dell’Edagricole parleremo a fondo, anche nei convegni, di economia circolare in zootecnia

  2. Tutto bellissimo specie in questo periodo di grande crisi peccato che non si sappia dove recuperarli questi prodotti… Io mi trovo in provincia di Parma e ho un piccolo allevamento di cavalli molti dei prodotti da voi menzionati sarebbero utilizzabili e idonei vorrei se fosse possibile una lista di aziende che producono questi sotto prodotti
    Cordiali saluti Pieracci Patrizia

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