A metà luglio la giunta regionale lombarda ha deliberato la rivisitazione delle zone vulnerabili ai nitrati, con una nuova mappatura del territorio che tiene conto dei risultati di una ricerca scientifica e non più basata su una visione prettamente accusatoria del comparto primario.
Il provvedimento di Palazzo Lombardia è stato proposto dall’assessore regionale all’Agricoltura, Gianni Fava. Gli abbiamo chiesto dettagli su questa novità e la sua opinione.
Assessore Fava, che cosa contiene la delibera della giunta regionale e quali sono le nuove zone vulnerabili ai nitrati?
“La mappa è frutto di più studi articolati e di azioni di monitoraggio complesse, che hanno evidenziato una minore responsabilità della zootecnia in termini di inquinamento nitrico. La mappa preparata dal Pirellone prevede una drastica riduzione delle aree nelle quali attenersi ai divieti di spandimento”.
Numericamente parlando, quali sono i cambiamenti?
“In totale si passa da 717mila a 607mila ettari di zone vulnerabili e da 473mila a 353mila ettari di superficie agricola considerata vulnerabile, che è poi la riduzione che più interessa agli allevatori. In termini percentuali gli effetti complessivi della nuova proposta di perimetrazione evidenziano un calo della Sau vulnerabile del 25,5%, che significa quasi 121mila ettari liberati da limitazioni che il mondo agricolo ha sempre giudicato assurdi. Siamo riusciti a dimostrarlo ed è per me una grande soddisfazione, anche se l’iter non è completato”.
Nella battaglia per i nitrati anche Coldiretti ha giocato un ruolo determinante.
“Sì. Come ho detto poco fa il mondo agricolo ha sempre criticato l’impostazione della Direttiva nitrati. Però, bisogna avere il coraggio di dirlo, se è vero che la Direttiva traduce in norma un atteggiamento rigido e poco aperto di Bruxelles, è altrettanto vero che qualche colpa l’ha avuto anche la politica italiana tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, perché ha ritenuto sacrificabile il comparto zootecnico, forse perché gli agricoltori beneficiavano della Pac. A Coldiretti devo dare il merito di avermi denunciato la situazione fin dal mio insediamento come assessore lombardo all’Agricoltura e di aver supportato le mie azioni. Non è politicamente facile puntare i piedi contro i ritardi di Ispra, che è un’agenzia del ministero dell’Ambiente, e incaricare altri soggetti, nella fattispecie l’Università di Milano, per inquadrare il problema dei reflui sul piano scientifico e in tempi rapidi. Anche nel pressing sui ministeri dell’Ambiente e delle Politiche agricole devo riconoscere che Coldiretti non ha avuto esitazioni, affiancando il supporto degli allevatori all’azione politica che ho condotto anche con i miei uffici su Galletti e Martina e gli staff tecnici”.
La delibera si inserisce in un contesto che vede la Regione impegnata sul versante della tutela delle acque anche nei prossimi mesi. Quali sono le prossime tappe?
“Entro il 22 dicembre 2015 dovrà essere adottato, da parte dell’Autorità di Bacino del Fiume Po, il Piano di Gestione del distretto idrografico del Po, revisionato per il periodo 2016/2021. Il progetto di Piano è stato pubblicato il 22 dicembre 2014. Contestualmente, Regione Lombardia ha avviato il processo di revisione del Piano di Tutela delle Acque, che si concluderà con l’approvazione entro l’estate del 2016”.
Quali sono i primi risultati del monitoraggio delle acque?
“I risultati del monitoraggio dello stato ambientale dei corpi idrici (realizzato in conformità alla normativa comunitaria in materia di acque, che sono la Direttiva 2000/60CE e le cosiddette direttive “figlie”) nei sei anni di monitoraggio 2009/14 hanno mostrato che il 43% dei 493 corpi idrici monitorati, a cui la pianificazione vigente aveva posto l’obiettivo di conseguire entro il 2015 il buono stato ambientale, ha raggiunto tale obiettivo. Questo grazie a una molteplicità di fattori che spesso agiscono congiuntamente nei bacini drenanti; e nonostante la particolare rilevanza di altri fattori, come le carenze infrastrutturali del servizio idrico integrato, gli intensi usi delle acque a scopo irriguo ed energetico, l’inquinamento provocato dalle svariate fonti diffuse presenti sul territorio regionale”.
Quali investimenti avete fatto come Regione Lombardia?
“Per non tediarla con dei numeri le posso anticipare che in questi ultimi anni abbiamo spinto in materia di politiche di tutela delle risorse idriche, con particolare rilievo agli investimenti del servizio idrico integrato sulle infrastrutture di raccolta, trasporto e depurazione delle acque reflue e ai processi di partenariato sviluppato in alcuni bacini fluviali critici tramite i contratti di fiume, finalizzati a una maggiore sostenibilità della presenza antropica nei bacini stessi. Solo per le infrastrutture negli ultimi 3 anni sono stati messi in opera interventi relativi ai casi oggetto di infrazione per 218 milioni di euro”.
Ed è in questo ambito che si collocano le azioni mirate alla revisione delle zone vulnerabili ai nitrati?
“Sì. La revisione della designazione delle zone vulnerabili ai nitrati è correlata sia alla valutazione degli esiti del monitoraggio sia alla definizione di misure volte al contenimento e alla mitigazione delle pressioni che incidono sulla qualità delle acque. Poiché le scelte regionali hanno implicazioni a scala dell’intero bacino idrografico Po, è inoltre necessario garantire non solo il confronto e la condivisione delle scelte di pianificazione e relativa attuazione con l’Autorità di Bacino del Po e le altre regioni del distretto, ma anche un idoneo raccordo tecnico-metodologico”.
Che cosa succede ora?
“Ora i prossimi passaggi prevedono che la Direzione generale Ambiente, energia e sviluppo sostenibile invii il documento tecnico scientifico al ministero dell’Ambiente, in modo da avviare le necessarie interlocuzioni con l’Unione europea. Sempre la DG Ambiente procederà, col supporto della Direzione generale Agricoltura, di Ersaf e di Arpa, agli ulteriori approfondimenti specialistici necessari a caratterizzare i fenomeni alla base dell’inquinamento da nitrati, con particolare riferimento alle fonti, allo stato di eutrofizzazione e agli effetti degli scambi fiumi-falda”.
Dal momento che il problema dei nitrati investe l’area della Pianura Padana, è possibile muoversi in ottica di Macroregione agricola?
“Io credo che sia una strategia vincente, non soltanto per questioni di competenza geografica, dal momento che, come ha rilevato, il problema è circostanziato alla Pianura Padana, ma anche perché un dialogo diretto con la Commissione europea, senza il coinvolgimento di enti lontani come i ministeri dell’Ambiente e delle Politiche agricole, sarebbe più rapido sul piano temporale. La questione da non sottovalutare è che il futuro dell’agricoltura è strettamente dipendente dalla zootecnia e se si ostacola il comparto zootecnico o l’area geografica in cui per oltre l’80% viene praticato, allora vorrà dire far pagare un prezzo elevatissimo in termini di sovranità alimentare a tutti, non solo al Nord”.