La tutela del benessere degli animali allevati è oramai uno degli argomenti più dibattuti e oggetto di numerosi interventi normativi soprattutto nei settori a forte intensivizzazione quali avicolo, suinicolo e della produzione della carne bovina.
Più complessa sembra essere invece la definizione degli standard di benessere nella bovina da latte in quanto è già insita nella gestione dell’allevamento la ricerca di contenere gli stress degli animali. Infatti l’allevatore ha tutto l’interesse di mettere le bovine in condizione di manifestare i comportamenti naturali per la limitare l’insorgenza di dismetabolie e soprattutto per una regolare espressione del ciclo riproduttivo.
Nonostante questi presupposti, l’allevamento da latte si trova molto spesso al centro di critiche, in quanto da un lato viene ipotizzato un sottile piacere da parte del conduttore nello stressare gli animali e dall’altro a volte si nota mancanza di prontezza nel recepire soluzioni innovative nella realizzazione o adattamento di strutture e di impianti.
Uno degli ostacoli che oggigiorno incontra l’allevatore è l’incertezza delle disposizioni da attuare, poiché oltre a quelle legislative vi sono quelle richieste da consorzi, da associazioni dei consumatori, dalla grande distribuzione, eccetera le quali sembrano brillare più per modeste differenziazioni che per reali ricadute pratiche sul benessere animale.
A riguardo è sufficiente ricordare come alcuni disciplinari prevedano di aumentare da 70 a 75 cm per capo lo spazio in mangiatoia, oppure di aumentare di pochi cm le dimensioni delle cuccette, con pesanti ripercussioni per le aziende dotate di rastrelliere o zone di riposo già da tempo realizzate. È evidente, quindi, la difficoltà di accogliere le istanze dei vari disciplinari in quanto comportano una certa rigidità del sistema produttivo, senza però sicure garanzie di vendite future e di concreti riconoscimenti sul prezzo del latte.
Queste complicanze appaiono pertanto come un distintivo di appartenenza, e in certo qual modo rappresentano licenze per vendere il latte, mentre sono poco influenti su una sostanziale tutela del benessere.
Dovrebbero quindi essere riviste, concordate e armonizzate con un sereno e oggettivo confronto tra richiedenti e mondo produttivo, con la mediazione del settore veterinario, che è il vero deputato alla tutela animale.
Complesso è anche il recepimento delle soluzioni innovative per le strutture e per le attrezzature, in quanto sovente le proposte fatte sono frutto soprattutto di logiche di efficientamento del lavoro degli operatori e dei processi tecnologici in genere.
Non è in dubbio l’essenzialità di tali incrementi di rendimento ma è necessario nel contempo anche considerare il miglioramento del benessere animale.
Sicuramente grandi progressi sono stati fatti nel controllo degli stress da caldo e in tal senso vi è stata oramai una totale adesione degli allevatori, convinti del bisogno di raffrescare in modo forzato le stalle, mentre rimangono criticità nella gestione delle aere di riposo, nei tipi di pavimentazione e soprattutto nel management del periparto.
In questi casi dovrebbe prevalere il concetto di progettare il futuro non in nome delle vacche ma per le vacche, nella consapevolezza che la reale comprensione delle loro esigenze di benessere si tradurrà non solo in una maggiore tutela ma anche e soprattutto in una maggiore efficienza produttiva.