Il settore della carne bovina è parte della soluzione per vincere la sfida globale dell’alimentazione grazie alla sua efficienza e sostenibilità. A dirlo un parterre di esperti internazionali intervenuti nel corso del simposio internazionale “Cow is Veg – Il ruolo dei ruminanti in una dieta sostenibile”, organizzato a Roma da Assocarni in collaborazione con Coldiretti.
Per l’occasione sono stati presentati dati inediti circa il reale impatto della carne rossa su ambiente e nutrizione, e sono state approfondite alcune tematiche centrali e correlate: dagli obiettivi di sviluppo sostenibile, alla food security, alla malnutrizione, passando per l’evoluzione dell’uomo.
Garantire un aumento del 30% della disponibilità di carne
La sfida globale del settore agroalimentare per i prossimi anni consisterà nel garantire cibo sicuro e prodotto in maniera sostenibile a una popolazione crescente: le previsioni parlano di 9,7 miliardi di persone entro il 2050. Come sottolineato nel corso del simposio, la soluzione per conciliare disponibilità alimentare e sostenibilità ambientale non è smettere di produrre e consumare carne. Ma, al contrario, come evidenziato da stime Fao, in uno scenario sostenibile sarà necessario garantire un aumento medio del 30% della disponibilità di alimenti di origine animale, soprattutto nei paesi in via di sviluppo (Fonte: Fao 2018. The future of food and agriculture).
E l’agricoltura, di cui la zootecnia è parte integrante, ha già risposto con i fatti sulla capacità di aumentare la produzione riducendo gli impatti: negli ultimi 30 anni il comparto agricolo ha sfamato quasi 2,5 miliardi di persone in più, riducendo le emissioni pro capite di circa il 20% (Fonte: Our world in data).
L’importanza di una corretta nutrizione
Come affermato da Frederic Leroy, professore della scienza dell’alimentazione presso Vrije Universiteit Brussel, la carne riveste un’importanza determinante dal punto di vista nutrizionale: «evitare o ridurre eccessivamente l’assunzione di carne può rendere le diete meno equilibrate soprattutto per i giovani e le fasce di popolazione più fragili, tra cui le donne in età riproduttiva, gli anziani e le persone affette da patologie».
La carne, ha puntualizzato Leroy, è una importante fonte di proteine di alta qualità e di diversi micronutrienti di cui si rilevano carenze a livello globale (anche presso gran parte delle popolazioni occidentali) quali ferro, zinco e vitamina B12.
La carne ha accompagnato l’evoluzione dell’uomo
«Spesso la carne viene ingiustamente inquadrata come una scelta alimentare non salutare, nonostante si tratti dell’alimento che ha accompagnato l’evoluzione della specie umana – ha incalzato Leroy –. La carne è costituita da proteine di qualità e micronutrienti altamente biodisponibili, l’assunzione di molti dei quali è peraltro limitata da una parte della popolazione».
Per questi motivi, ha ribadito il professore, la carne dovrebbe essere considerata alimento chiave per migliorare lo stato nutrizionale nell’ambito di una dieta sana, soprattutto per le popolazioni con esigenze nutrizionali elevate. «Prescindere dal ruolo nutrizionale degli alimenti nel formulare raccomandazioni per un consumo meno impattante per l’ambiente rappresenta un grave errore. È dunque fondamentale – ha concluso Leroy – tenere in considerazione e incorporare tali vantaggi nutrizionali anche nelle valutazioni di carattere ambientale, per consentire confronti e valutazioni equi».
La zootecnia contribuisce alla food security
Oltre a tutto ciò, il simposio “Cow is Veg”, organizzato da Assocarni e Coldiretti, ha sottolineato come la zootecnia contribuisca alla food security con proteine ad alto valore biologico.
In un contesto come quello che si sta delineando: aumento della popolazione; aumento del reddito medio e contestuale aumento della richiesta di alimenti di origine animale, la capacità dei ruminanti di convertire erba e vegetali ricchi in cellulosa in proteine, senza entrare in competizione con l’uomo, rappresenta un’opportunità unica per il settore zootecnico di contribuire alla food security con proteine ad alto valore biologico.
Ma non solo, i ruminanti si mostrano estremamente efficienti nella conversione delle proteine vegetali in proteine animali. Su questo è intervenuta Anne Mottet, Livestock development officer presso la Fao, affermando che «l’intero settore zootecnico mondiale consuma circa un terzo dei cereali che produciamo.
Ma questa quota può essere ridotta. In particolare, i ruminanti hanno un più efficiente indice di conversione proteica: sono in grado di produrre un chilo di proteine assumendo solo seicento grammi di proteine vegetali».
«Anche per quanto riguarda l’utilizzo del suolo – ha precisato Mottet – il settore zootecnico globale utilizza circa 2,5 miliardi di ettari di suolo, il 77% dei quali sono praterie, per gran parte non coltivabili e quindi utilizzabili solo dagli animali al pascolo, che se riconvertite a colture creerebbero danni ai servizi ecosistemici». Questi dati evidenziano, ha sottolineato Mottet, che l’allarmismo del dibattito pubblico – spesso polarizzato – sulla produzione e il consumo di carne, influenza la lettura dei dati riguardanti la salute e gli impatti ambientali.
«Come abbiamo visto, emergono, invece, in parallelo dati più che confortanti che vedono gli allevamenti bovini come parte integrata della soluzione climatica».
La gestione del metano per ridurre l’impatto
Sull’importanza di considerare gli allevamenti parte della soluzione dei cambiamenti climatici è intervenuto anche Frank Mitloehner, Air quality specialist in cooperative extension presso il Dipartimento di scienze animali della Uc Davis. «I bovini – ha affermato – sono spesso etichettati erroneamente come un problema climatico, mentre in realtà rappresentano un’opportunità. Come? Gestendo al meglio le emissioni, soprattutto di metano».
In alcune regioni, ha proseguito Mitloehner, «l’allevamento può raggiungere la neutralità climatica con riduzioni fattibili di metano, il tutto fornendo al contempo alimenti altamente nutrienti. Uno studio più attento delle emissioni di gas serra fa emergere, infatti, come anidride carbonica e metano non abbiano la stessa permanenza in atmosfera e lo stesso impatto sul clima. In particolare, il metano emesso naturalmente dai bovini, viene scomposto in atmosfera e riconvertito in CO2 nel giro di dieci anni per poi essere riassorbito dalle piante con la fotosintesi, rientrando nel naturale ciclo biogenico del carbonio. Invece la CO2 prodotta dai combustibili fossili si accumula e permane in atmosfera potenzialmente per mille anni».
In sostanza, come evidenziato da Mitloehner, agendo quindi sul contenimento delle emissioni di metano dei bovini si opererebbe un effettivo sequestro di carbonio in atmosfera, rendendo di fatto la zootecnia un settore attivo nella lotta al cambiamento climatico, in opposizione a quanto si ritiene erroneamente oggi.
Evoluzione, l’importanza delle proteine animali
La valenza nutrizionale della carne rappresenta inoltre un importante retaggio evoluzionistico che caratterizza la nostra specie da oltre due milioni di anni.
Come spiegato Miki Ben-Dor, ricercatore in nutrizione e diete ancestrali presso il Dipartimento di archeologia dell’Università di Tel Aviv, «le evidenze sul metabolismo indicano che gli esseri umani, evolutisi nel Paleolitico come ipercarnivori, sono ancora adattati a una dieta in cui i lipidi e le proteine, piuttosto che i carboidrati, offrono un contributo importante all’approvvigionamento energetico».
Maurizio Martina: no ad approcci ideologici sì alle buone pratiche
Sull’importanza di guardare al sistema zootecnico sotto differenti aspetti – ambientale, economico e sociale – è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha sottolineato l’apporto di queste filiere «alla grande sfida della sostenibilità» e ha ribadito il valore di un approccio scientifico, ricordando che nel mondo 1 miliardo e 300 milioni di persone vivono grazie al lavoro in zootecnia.
E proprio nell’ottica di considerare le filiere zootecniche come parte di un nuovo equilibrio sostenibile, Martina ha detto: «Sono molte le questioni importanti su cui si può lavorare insieme: abbattendo le emissioni, sulla qualità dei mangimi, sull’utilizzo dei terreni e dei suoli, per la selezione delle razze, sulla gestione dei reflui, per la circolarità integrale dei sistemi zootecnici. Temi concreti che aiutano a spostare in avanti l’equilibrio per renderlo sempre più sostenibile e avanzato».
«In questo senso – ha concluso Martina – non abbiamo bisogno di approcci ideologici, ma di buone pratiche che ci facciano lavorare insieme».