Cinque esempi di razionamento a confronto

DOSSIER ALIMENTAZIONE BOVINI DA CARNE

L’allevamento del bovino da carne si fonda sulla costante ricerca della massimizzazione delle performance di crescita con lo scopo di ridurre il tempo di permanenza dei vitelloni in allevamento, aumentare il numero di animali allevati nell’anno, limitare l’incidenza dei costi fissi sul costo di produzione di ogni singolo capo e incrementare la redditività aziendale ma anche la qualità del prodotto finale attraverso la macellazione di soggetti giovani e in ottimale stato di ingrassamento.

L’allevamento del bovino da carne si fonda sulla costante ricerca della massimizzazione delle performance di crescita con lo scopo di ridurre il tempo di permanenza dei vitelloni in allevamento, aumentare il numero di animali allevati nell’anno, limitare l’incidenza dei costi fissi sul costo di produzione di ogni singolo capo e incrementare la redditività aziendale ma anche la qualità del prodotto finale attraverso la macellazione di soggetti giovani e in ottimale stato di ingrassamento. In tale ottica notevole importanza assumono tutte le variabili che possono risultare determinanti ai fini del raggiungimento degli obiettivi prefissati e, dopo l’aspetto sanitario, la prima è certamente la nutrizione.

È risaputo che oramai il razionamento in zootecnia non si limita più al mero “dar da mangiare agli animali” ma ha assunto sfaccettature e particolarità che rendono il nutrizionista un vero e proprio dietologo-alchimista. In tal senso infatti, il nutrizionista deve essere in grado di miscelare gli “ingredienti” a sua disposizione ponendo attenzione da un lato a fornire all’animale un apporto equilibrato in carboidrati strutturali e non, in proteine bypass, degradabili e solubili, in minerali e vitamine biodisponibili e dall’altro a ottimizzare le proprietà fisiche, chimiche e nutraceutiche dei diversi ingredienti al fine di elevare stato sanitario e perfomance degli animali. Il tutto nel rispetto di un costo alimentare sostenibile.

Tuttavia, anche la razione che sulla carta sembra perfetta può al lato pratico venir vanificata se non viene adeguatamente applicata. La mancanza di scrupolosità nella scelta delle materie prime, la poca attenzione nella fabbricazione della miscelata o il limitarsi a differenziare le diete, in relazione alle diverse fasi produttive, solo per quantità somministrata anziché per il diverso rapporto tra nutrienti, sono alcune tra le imprecisioni più frequenti. Tali situazioni portano nella maggior parte dei casi a carenze od eccessi, con aumento delle patologie metaboliche, compromissione delle capacità immuno-difensive e adattative, nonché diminuzione delle performance dell’animale.

L’IMPORTANZA DEI FORAGGI
Anche le materie prime maggiormente utilizzate e consolidate nella formulazione della dieta possono rappresentare una fonte di rischio per la salute dell’animale (Schema 1). Proprio per tale motivo, oltre all’importanza di effettuare controlli analitici periodici, non va dimenticato che a fronte della comparsa di problematiche l’approccio vincente è indubbiamente quello di non attendere una conferma analitica di laboratorio ma di intervenire prontamente, applicando quelle strategie nutrizionali pertinenti ai sintomi riscontrati.

Dalla variazione del rapporto foraggio/concentrato, alla quantità di un determinato alimento rispetto ad un altro, ai tempi di miscelazione, fino all’utilizzo mirato di adsorbenti, lieviti, epatoprotettori e ogni altro preo probiotico ritenuto efficace.
Il concetto in definitiva è quello di agire subito, senza aspettare, condizione fondamentale al fine di non compromettere eccessivamente le performance di allevamento dal momento che è sicuramente minore il costo di un approccio nutrizionale precauzionale rispetto ai danni progressivi che, nel tempo, anche se breve, una problematica può causare.

Alla base della prevenzione degli errori più macroscopici e cioè di quelli legati alla fabbricazione e utilizzo di diete sbilanciate, si posiziona indubbiamente la conoscenza della reale composizione degli alimenti e nello specifico degli insilati, dei foraggi e dei sottoprodotti utilizzati, dal momento che il fare semplicemente riferimento ai dati medi riportati nei programmi di razionamento spesso può riservare spiacevoli sorprese.

Anche la valutazione visiva degli alimenti risulta comunque fondamentale sia perché rappresenta il primo screening per verificare alterazioni ed eventuali contaminazioni, sia perché consente di valutare le caratteristiche fisiche dell’alimento, fondamentali per foraggi ed insilati ma altrettanto importanti per i concentrati, considerando pertanto struttura e grado di miscelazione, aspetti questi basilari per evitare la principale tra le patologie di origine alimentare del bovino da carne e cioè l’acidosi. È indiscutibile infatti che foraggi eccessivamente lunghi possono avere effetti negativi sia sulla miscelazione che sulla capacità dell’animale di selezionare gli alimenti durante l’assunzione.

D’altro canto a foraggi eccessivamente giovani, poco strutturati o troppo corti, corrisponde una maggiore fermentescibilità e una minor “capacità fisica” (< peNDF) di stimolare la ruminazione. Quest’ultima evidenza emerge chiaramente in uno studio che esaspera tale concetto in quanto condotto su bovini alimentati con foraggi separati dai concentrati e dal quale risalta il ruolo sostanziale esercitato dalle caratteristiche fisiche della paglia (Sgoifo Rossi et al., 2008). L’indagine riporta infatti evidenti differenze nelle caratteristiche del contenuto ruminale, da normale a schiumoso, in relazione alle due tipologie di paglia utilizzate, una con buona struttura ed elevata capacità di stimolare il rumine, l’altra invece poco strutturata (foto 2 e 3, grafico 1).

Emerge pertanto come la struttura sia dei foraggi che della dieta in generale, spesso non adeguatamente considerata nell’allevamento del bovino da carne, rappresenti invece un fattore determinante per una corretta funzionalità ruminale. Attenzione quindi non solo alle caratteristiche chimiche intrinseche dei diversi alimenti e della razione ma anche alle loro caratteristiche fisiche e strutturali che spesso dipendono da noi. Lunghezza della paglia, dei fieni, dell’insilato, tempi di miscelazione, modalità di utilizzo e caratteristiche della desilatrice, variazioni occulte di umidità (pioggia sull’insilato), sono infatti alcuni tra gli aspetti sui quali l’allevatore e i tecnici possono efficacemente intervenire.

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di C.A.SGOIFOROSSI (1) , T.HEBA (2), S.L.VANDONI (1)
1) Dipartimento di Scienze e tecnologie veterinarie per la Sicurezza alimentare, Università degli Studi di Milano
2) Tecnico Granda Team, Savigliano (Cn)

DOSSIER ALIMENTAZIONE BOVINI DA CARNE - Ultima modifica: 2010-02-04T12:15:11+01:00 da IZ Informatore Zootecnico

2 Commenti

    • «Per dare una risposta sensata alla domanda posta dalla lettrice bisognerebbe scendere nei particolari visto che i bovini non hanno degli accrescimenti “standard”.
      Dipende dalla razza, dal sesso e non ultimo dall’alimentazione.
      Per dare una misura potremmo dire che un vitello maschio di razza da carne può avere un accrescimento variabile da 1,2 a 1,4 kg giorno.
      Se femmina gli accrescimenti si riducono da 0,9 a 1,15 kg giorno».

      Andrea Scarabello

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