«La carne di bufalo presenta ottime caratteristiche nutrizionali e le principali differenze rispetto alla carne bovina sono rappresentate da una maggiore quantità di ferro e da una minore quantità di grasso». È quanto riferito da Angelo Coletta, segretario generale del Consorzio per la valorizzazione della carne di bufalo.
«Nel caso della componente grassa un ruolo importante è dato dalla componente di grassi saturi nettamente più bassa della carne bovina, da una minore quantità di colesterolo e quindi anche da un minore apporto calorico. Sotto il profilo nutrizionale si potrebbe dire che assomiglia più alla carne equina che non a quella bovina. Riguardo all’accumulo del grasso, questa carne è paragonabile a quella suina, poiché la maggiore quantità di grasso tende a essere immagazzinata all’esterno del muscolo piuttosto che all’interno».
Management gestionale e qualità della carne
In ogni allevamento bufalino, se non si utilizza seme “sessato”, le nascite si distribuiscono in modo tale da avere il 50% di femmine e il 50% di maschi e la destinazione produttiva dei soggetti prevede che le femmine vengano allevate per diventare produttrici di latte, mentre i maschi per diventare riproduttori e/o animali da carne.
«Generalmente si possono distinguere due tipi di allevamenti - precisa Coletta -, quello specializzato per la produzione di carne, dove sono allevati un consistente numero di maschi, portati all’età di macellazione con un management “formulato” proprio per la produzione di carne, e quello da latte dove, in molti casi, l’allevatore cresce un buon numero dei maschi che nascono in azienda e dopo l’anno d’età opera una selezione, anche morfologica, distinguendo quelli da destinare alla riproduzione da quelli destinati al macello».
Naturalmente, nella maggior parte dei casi le migliori performance produttive per la produzione di carne si hanno negli allevamenti specializzati per questo tipo di produzione.
«Tuttavia – precisa Coletta - va detto che anche in molti allevamenti da latte, negli ultimi anni, si stanno praticando una serie di azioni sul management gestionale che portano a ottimi risultati in termini di qualità della carne prodotta».
Anche gli animali di fine carriera finiscono al macello e la loro destinazione d’uso è principalmente la stessa di quella delle bovine a fine carriera.
«Per quanto concerne la qualità della carne, aggiunge Coletta, quella degli animali a fine carriera non è assolutamente paragonabile con quella dei soggetti giovani che presenta proprietà (colore, sapore, equilibrio tra muscolo e grasso, ecc.) nettamente superiori».
Il consumo nel mondo
In Italia il maggior consumo di carne di bufalo di alta qualità si ha in Campania.
«Negli ultimi anni è cresciuta la quota di carne acquistata al consumo diretto, ma anche la quota destinata alla ristorazione è piuttosto importante. In alcuni ristoranti, purtroppo, capita di mangiare un’eccezionale carne di bufalo smerciata per quella di bisonte; tale situazione si verifica anche perché il bisonte americano è chiamato “baffalo”, generando così una confusione sulla nomenclatura che porta beneficio alla “tasca” di qualcuno un po’ distratto».
Nel mondo, il consumo di carne di bufalo è diffuso, oltre che nei Paesi asiatici, anche in Brasile, Argentina e Colombia, che producono e consumano buone quantità di questo prodotto.
«Se consideriamo che l’Argentina è stata, da molti, incoronata come il “Paese della carne” e che nei migliori ristoranti di Buenos Aires la carne di bufalo viene proposta come carne alternativa di alta qualità, si capisce che straordinario prodotto abbiamo nei nostri allevamenti e quali prospettive possiamo costruire» afferma Coletta.
Come incentivare il consumo
L’incremento del consumo di carne di bufalo può realizzarsi purché si riesca a coordinare i diversi attori della filiera e il consumatore finale.
«Non si può avere un grande prodotto se non si lavora sul buon management aziendale e se non si conosce il prodotto che si vuole realizzare - specifica Coletta -. Una grande responsabilità, quindi, l’hanno i produttori e i trasformatori».
D’importanza non secondaria è la realizzazione di una strategia di comunicazione che permetta al consumatore di conoscere le caratteristiche del prodotto, esaltando le peculiarità organolettiche e nutrizionali, in modo da ampliare la vendita.
«Una maggiore produzione di carne di bufalo va, comunque, adeguatamente programmata – sottolinea Coletta -. Immaginando che da domani il mercato richieda 200 quintali di prodotto in più a settimana, sarebbe necessario macellare 100 animali alla settimana. E senza una adeguata e precedente programmazione della produzione, sarebbe necessario importare prodotto da altri Paesi rinunciando alla valorizzazione della nostra carne di bufalo. Gli allevatori dovrebbero invece essere in grado di prevedere. È questa una sfida al contrario: l’incremento, la crescita, la diffusione del prodotto va fatta programmandola oggi per i prossimi anni, solo in questo modo avremo una crescita che fa bene alle nostre aziende e soprattutto, mirando a un prodotto di alta qualità, al consumatore finale».
L’articolo completo è pubblicato su Informatore Zootecnico n. 8/2016
L’edicola di Informatore Zootecnico