Negli ultimi anni il sistema produttivo italiano dell’allevamento della vacca da latte si è prevalentemente finalizzato a incrementare le performance degli animali e ad aumentare la consistenza del numero di capi, allo scopo di elevare il più possibile la quantità di latte complessivamente prodotta per azienda. Questi obiettivi sono stati perseguiti al fine di contenere soprattutto i costi fissi poiché rappresentano, parimenti alla dipendenza dal mercato per l’acquisto degli alimenti, la voce passiva di bilancio più rilevante e non permettono alle aziende di essere adeguatamente competitive con il mercato europeo.
È evidente che tale finalità è stata tarata in funzione delle realtà territoriali (pianura, montagna), della presenza di limiti produttivi (quote) e della possibilità di valorizzare le produzioni e/o di integrare il reddito aziendale con altre attività.
Rallentamento dal 2004
Si è assistito pertanto in Italia a un intenso processo di spinta produttiva degli animali, che ha comportato, negli ultimi 40 anni, il quasi raddoppio della produzione media di latte per capo, per quanto riguarda sia le bovine di razza Frisona sia quelle di razza Bruna (tabella 1). A fronte di questi sensibili miglioramenti produttivi ha fatto riscontro però, dal 1970 ad oggi, un peggioramento dei parametri riproduttivi con un sensibile allungamento del periodo parto-concepimento, l’innalzamento del tasso di sostituzione e la riduzione del numero medio di lattazioni per vacca.
Tuttavia da un’analisi più dettagliata dei dati, e facendo riferimento solo agli ultimi anni (tabella 2), si può constatare come a partire dal 2004 vi sia stato in media, nella Frisona, un sensibile rallentamento dell’incremento produttivo: è passato da una media di 1,2 q/vacca/anno a una media di 0,6 q/vacca/anno, rispettivamente nel periodo 1970-2003 e nel 2004-2010. A questo più contenuto aumento produttivo hanno fatto seguito blandi peggioramenti del tasso di sostituzione e del numero medio di lattazioni per vacca e un leggero miglioramento del periodo parto-concepimento.
Nel caso invece, delle bovine di razza Bruna il ritmo di crescita delle medie produttive si è mantenuto pressoché costante nei periodi considerati, con un valore pari mediamente a circa 0,8 q/vacca/anno, come pure sono proseguiti i trend negativi dei parametri riproduttivi con un leggero rallentamento dell’allungamento del periodo parto-concepimento solo negli ultimi 3 anni.
Legami stretti
In definitiva pertanto queste osservazioni, seppur sommarie, confermano i noti stretti legami fra livelli produttivi e riproduzione e sottolineano che, allo stato attuale, una sostanziale e duratura validità economica delle aziende può avvenire solo se, a fronte di una continua seppur contenuta crescita delle performance produttive, corrispondono sensibili miglioramenti dei parametri legati alla fertilità e conseguentemente delle percentuali di eliminazioni delle vacche.
Va sottolineato che questi obiettivi sono stati, comunque, gli elementi conduttori di gran parte delle strategie adottate negli ultimi anni nei settori del miglioramento genetico, dell’alimentazione, della realizzazione delle strutture e della gestione in genere.
Le azioni intraprese
Volendo fare una rapida e sintetica panoramica delle azioni più significative recentemente intraprese a livello operativo, si può ricordare che, per quanto concerne il miglioramento genetico, una “presa d’atto” di fatto delle difficoltà di conciliare produzione e riproduzione è derivata dal ricorso di parte degli allevatori all’incrocio fra bovine Frisone con tori appartenenti a razze meno specializzate per il latte, al fine di contenere i livelli produttivi e di attenuare di conseguenza, gli effetti negativi dei fattori condizionanti la fertilità.
Non si può dimenticare inoltre, come un importante contributo a ridurre i riflessi negativi di elevati tassi di sostituzione, sia stato dato dal sessaggio del seme e degli embrioni. Tale tecnica, dopo una fase di messa a punto operativo, oggigiorno non presenta particolari problemi per l’ingravidamento delle bovine e garantisce un effettivo aumento della percentuale di femmine tra i vitelli nati.
Importante appare anche l’inserimento tra gli indici di selezione della longevità e della fertilità, come nel caso della razza Frisona, anche se, con ogni probabilità, i risultati in tal senso saranno tangibili nel medio e lungo periodo.
Efficaci si stanno rilevando le azioni intraprese per migliorare la mungibilità delle bovine e della qualità e delle attitudini casearie del latte. In tal senso e dai dati riportati in tabella 3 si evince che la qualità del latte delle vacche di razza Bruna ha avuto un sensibile aumento dei tenori di grasso e di proteine nel 2010 rispetto a quanto riscontrato nel 1970 e nel 1990, nonostante il notevole innalzamento dei livelli produttivi.
A riguardo della razza Frisona, invece vi è stato un sensibile peggioramento della qualità del latte negli anni ’90, forse a causa di scelte finalizzate a privilegiare la quantità piuttosto che gli aspetti qualitativi, con un’ inversione di tendenza negli anni successivi, sino a raggiungere nel 2010 valori ragguardevoli di 3,65% e 3,30% rispettivamente per i tenori di grasso e di proteine.
L’alimentazione
Nel settore dell’alimentazione, in questi ultimi anni, si è oramai appurata la scarsa affidabilità delle modalità di razionamento basate sul calcolo della copertura dei fabbisogni delle bovine in energia netta (UFl) proteine, elementi minerali, vitamine, ecc, mediante gli apporti dei singoli alimenti, sostituite con criteri finalizzati ad ottimizzare le attività ruminali in funzione della fase fisiologica e del livello produttivo delle bovine. In definitiva si è passati, quindi, alla formulazione di diete idonee a favorire le attività microbiche ruminali e a integrare eventuali loro carenze rispetto ai bisogni degli animali, con principi nutritivi bypassanti il rumine.
Una corretta utilizzazione di parametri chimici degli alimenti per la preparazione delle razioni è stata agevolata dai notevoli progressi che si sono registrati nella conoscenza delle loro caratteristiche, grazie anche alla diffusione di tecniche analitiche rapide e poco costose come quelle del Nir.
Particolare riguardo è stato posto alla fibra: non solo per la ricaduta sulla digeribilità in genere, ma anche e soprattutto per i suoi effetti sulla funzionalità ruminale. Infatti, partendo da studi americani sulla fibra effettiva, si è diffuso il controllo della lunghezza di trinciatura dei foraggi mediante appositi setacci con l’obiettivo di favorire un’ottimale peristalsi ruminale.
Consolidatesi oramai le tecniche di conservazione degli alimenti, particolare riguardo, anche in relazione alla tutela della salute del consumatore, è stata posta alla presenza di micotossine negli insilati e nelle granelle, costatando che nella Pianura Padana si possono creare frequentemente condizioni ambientali, colturali, ecc., idonee per lo sviluppo soprattutto di aflatossine. Tutto ciò sta imponendo oculate valutazioni nell’approvvigionamento e conservazione degli alimenti e dell’aggiunta di sostanze nella dieta in grado di ridurre l’assorbimento in queste tossine dal tubo digerente.
Le necessità di salvaguardare le caratteristiche fisiche delle diete e una loro omogenea ingestione da parte delle vacche, hanno dato un forte impulso alle tecnologie di costruzione dei carri miscelatori con predisposizione di sistemi operativi sempre più precisi e attenti sia nelle operazioni di carico che di miscelazione vera e propria degli alimenti.
Le costruzioni
Attenzione è stata posta anche alle tipologie di costruzioni delle stalle con l’obiettivo di migliorare il benessere degli animali: non solo per rispettare i sempre più stringenti obblighi imposti dalla legislazione in merito, ma anche per favorire una migliore manifestazione delle potenzialità produttive e riproduttive degli animali. Oramai nella realizzazione delle stalle sempre maggiori importanze si danno alle altezze, alle unità di superficie a disposizione per capo, alla presenza di sistemi di ventilazione e/o di bagnatura degli animali, al fine di evitare eccessive densità e favorire adeguati ricambi d’aria soprattutto d’estate.
Interessante in quest’ambito appare la presa di coscienza che, nonostante la messa a disposizione di razione di libitum, sia necessario garantire per ciascun capo adeguati spazi di fronte mangiatoia per permettere un accesso al cibo il più possibile libero e tranquillo da parte di tutti gli animali. A tal proposito recenti ricerche hanno evidenziato come la diminuzione del fronte mangiatoia riduca progressivamente la percentuale di animali che vanno a mangiare nella prima ora dopo la distribuzione della dieta, stimando un valore in tal senso appena superiore al 40% con lo spazio tradizionalmente consigliato e pari a 70 cm/capo (tabella 4).
Anche la gerarchia nei gruppi condiziona in modo inequivocabile il comportamento alimentare degli animali. Alcuni studi hanno sottolineato infatti, che la contemporanea presenza nello stesso gruppo di pluripare e di primipare induce, in quest’ultime un comportamento “stressato” nel corso della giornata, con ripetuti accessi alla mangiatoia, con pasti di breve durata e caratterizzati da un’elevata velocità di ingestione (tabella 5).
Un ulteriore contributo al miglioramento del benessere animale è stato dato dalla diffusione dei robot di mungitura, in quanto permettono un frequente svuotamento della mammella in condizioni prossime alla naturalità e evitando tutte le situazioni di stress presenti nel sistema tradizionale di mungitura con lo spostamento forzato degli animali dai box, periodi di attesa in spazi ridotti, ecc.
Il nodo fisiologia
Indubbiamente le strategie sinora adottate hanno portato a positivi effetti in termini di produzione e di qualità del latte, ma non sono risultate altrettanto efficaci e risolutive in relazione alle problematiche riproduttive conseguenti all’innalzamento dei livelli produttivi. Le motivazioni di questa ridotta efficacia sono da ricercare, con ogni probabilità, nella limitata conoscenza delle intense modificazioni del quadro fisiologico che si verificano in importanti fasi come il parto e soprattutto della possibilità di contenerne le ricadute negative, in particolare sull’assetto ormonale, mediante il miglioramento genetico, l’alimentazione, il benessere, ecc.
Questa ipotesi trova forse conferma nel fatto che non si sono ancora raggiunti livelli di consanguineità tali da incidere sulla fertilità in quanto i tassi di riproduzione delle manze sono ancora del tutto normali e non sembrano presentare particolari problematiche. È presumibile quindi che le attuali difficoltà riproduttive nelle vacche siano ricollegabili a stress conseguenti l’attività produttiva.
In tal senso non vi è dubbio infatti che le variazioni delle sintesi ormonali e delle loro complesse interazioni tipiche della fase di transizione della vacca (pre-parto, parto e post parto), essendo fortemente correlate con il livello produttivo degli animali, possono raggiungere livelli di criticità difficilmente superabili con gli approcci sinora praticati a livello operativo.
Le dismetabolie
A conferma di questa ipotesi, e tralasciando gli aspetti sanitari, è sufficiente ricordare il problema delle dismetabolie come l’ipocalcemia subclinica, e l’insieme dei fattori che ne condizionano l’intensità della manifestazione, la chetosi con la possibile insorgenza già prima del parto, l’acidità ruminale subclinica post parto.
La presenza di queste dismetabolie è sempre più rilevante negli allevamenti di vacche da latte e inevitabilmente si ripercuote negativamente non solo sulla produzione quali-quantitativa del latte ma anche e soprattutto sulla fertilità, rallentando l’involuzione uterina, favorendo l’insorgenza di patologie a carico dell’apparato riproduttivo (metriti) e ritardando e spesso compromettendo la ripresa dell’attività sessuale degli animali.
Il superamento di queste problematiche può avvenire solo se si definiscono i bisogni degli animali necessari per mantenere inalterato l’insieme degli equilibri fisiologici seppur in presenza di grandi bisogni di principi necessari per la sintesi del latte.
In modo differenziato
In definitiva non appare più sufficiente la sola massimizzazione delle fermentazioni ruminali e dei processi digestivi per sostenere le attività secretorie mammarie, ma è necessario che tutte le azioni concorrano ad evitare la competizione fra la sintesi del latte e la salvaguardia dei processi necessari per una regolare attività di organi e apparati, tra i quali sicuramente quelli mediati dagli ormoni rivestono un ruolo essenziale.
Ne consegue, quindi, che ad esempio le strategie alimentari, oltre a favorire un’ottimale attività secretoria della mammella, debbano modulare i processi di degradazione e digestione degli alimenti in modo differenziato a seconda dello stato fisiologico dell’animale e con l’obiettivo di mantenere inalterata la funzionalità complessiva dell’organismo indipendentemente dal livello produttivo delle vacche.
Il glucosio
A tale riguardo è sufficiente ricordare il ruolo del glucosio nella prima fase di lattazione, poiché deve essere disponibile in quantità tali da soddisfare da un lato la produzione del latte e dall’altro da garantire una normale ripresa del ciclo riproduttivo, in quanto sue carenze, favorendo tra l’altro l’innalzamento ematico di corpi chetonici e di NEFA (acidi grassi non esterificati), hanno negative ripercussioni dirette ed indirette sulla sintesi di ormoni sessuali (ormone luteinizzante, estrogeni, progesterone) e su funzionalità e vitalità di follicoli e di embrioni.
Appare quindi importante, nella formulazione delle diete, considerare l’impatto dei processi fermentativi e digestivi sulla disponibilità di glucosio, il quale a sua volta, in funzione della sua disponibilità ematica, condiziona la secrezione di insulina, l’ormone implicato nel favorire il “nutrimento delle cellule”.
Significativi a tal riguardo sono i dati riportati in tabella 6, all’analisi dei quali si evidenzia che la somministrazione di diete in grado di elevare la secrezione di insulina comporta un sensibile miglioramento dei parametri riproduttivi in bovine sia di alto che di basso merito genetico.
Va inoltre osservato come in diete a basso potere secretorio di insulina, le bovine con genetica più elevata abbiano comunque performance riproduttive migliori rispetto a quelle di basso merito genetico, quasi ad indicare che le prime siano caratterizzate da un’attività insulinica superiore rispetto alle seconde.
L’amido
A livello pratico appare quindi importante tener presente, nella formulazione delle diete, non solo il contenuto di energia netta degli alimenti ma anche se la quota di energia fornita deriva da amido, da grasso o da fibra.
In tal senso l’amido sembra essere il composto in grado di incidere maggiormente sulla disponibilità di glucosio ematico, anche se il suo livello di inclusione nelle diete va valutato in relazione all’insorgenza di acidosi ruminale.
Un possibile contributo ad innalzare comunque, la concentrazione di amido nelle diete, potrebbe derivare dalla disponibilità di forme di amido by pass, le quali non essendo degradate da batteri ruminali, possono essere digerite nell’intestino tenue come avviene comunemente nei monogastrici e con assorbimento diretto di glucosio.
La genetica
Importanti contributi per rendere più efficace l’azione dell’insulina potrebbero essere dati anche dal miglioramento genetico. A tal proposito appaiono interessanti gli studi volti a caratterizzare la sensibilità prima del parto delle bovine nei confronti dell’azione dell’insulina, allo scopo di individuare i soggetti maggiormente a rischio per l’insorgere delle tradizionali dismetabolie derivanti da carenza energetica e quindi caratterizzati da predisposizioni genetiche differenti rispetto al resto della mandria .
Analoghe riflessioni possono essere fatte anche per l’ipocalcemia sub-clinica, poiché andrebbero individuati i motivi per i quali parte delle bovine sono meno sensibili all’effetto di cationi come il sodio e il potassio ingeriti nel pre-parto. Le problematiche in questo contesto sembrano comunque particolarmente complesse in quanto l’apporto con le diete, soprattutto di potassio, appare difficilmente contenibile ai livelli consigliati senza dovere rinunciare ad alimenti aziendali e rispettare i limiti di concentrazioni energetiche e proteiche necessarie per una corretta gestione alimentare prima del parto.
Serve professionalità
In conclusione, particolari condizioni economico-sociali nelle quali si è sviluppata negli ultimi decenni la zootecnica italiana da latte ha favorito, grazie ad un intenso lavoro di miglioramento genetico e di tecniche di allevamento, il raggiungimento di elevati livelli produttivi anche se non accompagnata da una contemporanea salvaguardia dell’efficienza riproduttiva.
Appare necessario, al fine di garantire un adeguato e duraturo recupero delle redditività delle imprese, orientare diversamente gli approcci dei diversi settori operativi e finalizzarli non solo a massimizzare la sintesi quali-quantitativa di latte ma anche e soprattutto al mantenimento dell’equilibrio di tutti i processi fisiologici dell’animale pur in presenza di elevate richieste di principi per le attività secretorie della mammella.
È evidente che tra i processi fisiologici sono da sottolineare in particolare quelli connessi con le attività ormonali e le quali tra l’altro hanno un ruolo determinante nel regolare i cicli sessuali e quindi la fertilità degli animali. In definitiva pertanto il miglioramento genetico, l’alimentazione, il benessere inteso anche come salute degli animali, ecc., devono maggiormente interagire alla ricerca di obiettivi comuni e partendo dai principi fisiologici che stanno alla base dell’ottimale funzionamento della “macchina animale”.
Non va infine dimenticato che per la piena estrinsecazione di tutte le potenzialità delle strategie e delle azioni adottate è necessario il conseguimento di adeguati livelli di professionalità degli allevatori e di tutto gli operatori pratici coinvolti, nella consapevolezza della particolare complessità dei processi e soprattutto della consistente specializzazione richiesta per gestire animali con equilibri fisiologici precari.
L’autore è direttore dell’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie, di Legnaro (Pd), e docente presso il Dipartimento Scienze animali Facoltà di Medicina veterinaria dell’Università di Padova