Raddoppiare la superficie coltivata e triplicare la mandria nel giro di due anni: follia o necessità? Forse, una e l’altra. Lo chiediamo a Giovanni Rivolta, che con la madre Donata Ferrari gestisce l’azienda Ferrari Ciboldi a Soresina (Cr). Una stalla passata, dal 2022 a oggi, da nemmeno 300 a oltre 700 capi in lattazione, con la prospettiva di raggiungere i mille nel giro di un paio d’anni. “Contemporaneamente i terreni, che prima superavano di poco i 200 ettari, sono arrivati a 330 ettari e contiamo di superare i 400 il prossimo anno”, spiega Rivolta. Se aggiungiamo un impianto di biogas in riconversione al biometano, diventa naturale chiedere come si fa reggere un simile cambio di passo. “Diciamo che bisogna ripensare completamente la propria organizzazione, razionalizzando ogni fase del lavoro. Il tempo e le persone sono diventate le variabili più importanti per noi. Per quanto riguarda il tempo, personalmente sono vicino al limite delle cose che posso seguire. Per fortuna ho dei validi collaboratori. Sia in campagna sia nelle stalle ci sono figure in gamba, molto autonome, senza le quali non riuscirei a star dietro a tutto”.
Due stalle, due biogas, molta terra
Le basi per l’evoluzione dell’azienda, spiega Rivolta, trovano fondamenta nel 2011. “Fu allora che realizzammo il primo impianto di biogas, da un megawatt, in tariffa onnicomprensiva. L’investimento ebbe un buon ritorno e ci permise di programmare tutte le azioni future”. A cavallo del Covid, dunque nel 2020-21, il secondo grande passo: realizzare una stalla nuova di zecca, su alcuni terreni aziendali a circa un chilometro dal corpo principale. “Oggi non saprei immaginare la Ferrari-Ciboldi senza di essa. Tutto ciò che abbiamo fatto, è stato consequenziale a questa prima scelta, peraltro venuta in contemporanea con la decisione di passare dal Grana Padano al latte alimentare”.
La nuova stalla ha permesso di raddoppiare la mandria, che fino al 2022 contava circa 270 capi, e di riorganizzare vitellaia e settore delle asciutte. Accanto ai nuovi capannoni è stato inoltre realizzato un secondo biogas da 250 kWh. Quest’ultimo continuerà a produrre energia elettrica, mentre il primo impianto, ormai prossimo alla scadenza della Tariffa onnicomprensiva, è in corso di trasformazione. “Con i fondi Pnrr lo stiamo convertendo in un impianto di biometano da 250 standard metri cubi. Dovremmo collegarlo alla rete in novembre”.
La superficie coltivata è cresciuta di pari passo con la stalla. Sui 330 ettari attualmente gestiti, i cinque addetti ai lavori agricoli coltivano mais, cereali vernini e medica. “Non dimentichiamo, a proposito di investimenti, i pivot: 100 ettari sono coperti da questo sistema di irrigazione, senza cui il personale non sarebbe assolutamente sufficiente. Del resto, non lo è nemmeno così: gli ettari sono quasi raddoppiati, ma il numero degli addetti è rimasto uguale. Siamo sottodimensionati, ma non per scelta. Se trovassimo qualcuno, lo assumerei di corsa. Ma, come dicevo, attualmente la carenza di manodopera è uno dei principali problemi per un’azienda agricola e zootecnica”.
Un aiuto dalla meccanica
“Visto il ridotto numero di addetti, non possiamo permetterci nessuna perdita di tempo e per questo motivo abbiamo ragionato molto su come razionalizzare la distribuzione dell’unifeed. Le trincee, infatti, sono nella struttura storica, a un chilometro dalla nuova stalla. Si pone dunque il problema di trasportare la razione da una stalla all’altra senza tenere un uomo impegnato cinque o sei ore al giorno: un lusso che non ci possiamo permettere”.
La prima soluzione studiata, prosegue Rivolta, è stata di utilizzare il vecchio carro semovente per la miscelazione e un trainato per il trasporto della razione. “Scaricare l’unifeed sul piazzale e ricaricarlo sul carro trainato da 45 metri cubi con un telescopico si è però rivelato un sistema eccessivamente lento. Dopo qualche mese, abbiamo pensato di cambiare radicalmente sistema, abbandonando il carro semovente, che del resto aveva 13mila ore di lavoro, e preparare la razione direttamente nel carro di trasporto. Abbiamo cercato un po’ sul mercato, finché abbiamo trovato il Kodiak 48/3 di Sgariboldi: un trainato a tre coclee, con tre assi, da 48 metri cubi. Ci siamo orientati sul trainato per tre ragioni: sul mercato non c’è un semovente di dimensioni paragonabili, quelli che ci si avvicinano costano troppo e infine un trainato ci è sembrato migliore per fare tre viaggi da un chilometro più un altro di ritorno, in gran parte su strade pubbliche Trovo che il semovente sia comodo quando lavora in azienda, ma su strada ha qualche problema, per esempio a causa della fresa”.

Il Kodiak, dato in prova da Sgariboldi, si è dimostrato invece efficiente fin dal primo momento. “Abbiamo provato a fare una miscelata da oltre 210 quintali e in pochi minuti abbiamo ottenuto un unifeed uniforme e omogeneo: avevamo trovato la soluzione ideale”.
Oggi, spiega Rivolta, l’azienda utilizza due carri trainati: quello da 45 metri cubi per manze e asciutte, alloggiate presso la struttura storica, e lo Sgariboldi per la razione delle vacche in mungitura. “Al carro abbiamo abbinato un trattore nuovo di zecca, comprato per fare soltanto quello: ha le ruote stradali ed è privo del sollevatore posteriore, perché nasce e morirà attaccato al carro”.

Il mezzo, un 185 cavalli John Deere, è indovinato. “Ha tutta la potenza necessaria sia per il trasporto, sia per far lavorare le coclee. Lo aiutano alcune caratteristiche del Kodiak, come il cambio powershift, a mio parere imprescindibile. Ha tre rapporti, a innesto idraulico, che si innestano dalla cabina. Si usa il primo per l’avvio, in modo da evitare colpi alla trasmissione. Non voglio pensare cosa vorrebbe dire azionare tre coclee, in un carro con dentro oltre 200 quintali di materiale, senza questo sistema. Man mano che la miscelazione procede si può passare alla seconda velocità e nel frattempo l’operatore si mette in strada, riducendo i tempi morti. Quando arriva a metà dello scarico, passa al terzo rapporto: la velocità di scaricamento aumenta e vuota completamente il carro senza difficoltà”.
Tre caratteristiche uniche
“Usiamo il Kodiak da ormai tre mesi, con piena soddisfazione, e ci siamo resi conto che, per alcuni aspetti, è unico”, dice Rivolta. Il primo è il già citato cambio powershift. Si tratta, come spiega il nome, di una trasmissione a tre rapporti con innesto idraulico sotto carico, che possono essere inseriti senza interrompere il flusso di potenza. Si evitano così perdite di tempo e spreco di carburante e diventa possibile ridurre la potenza del trattore a parità di prestazioni.
“Un’altra caratteristica unica del Kodiak è lo sterzo assistito, utile soprattutto in retromarcia. In pratica, i retro non è necessario bloccare il carrello, in quanto il sistema elettronico rileva la sterzata del trattore e vi adegua quella degli assali. Bloccare il carrello con un carro che a pieno carico supera le 30 tonnellate sarebbe un problema”. Lo sterzo, prosegue Rivolta, aiuta anche durante i trasferimenti. “Il trasporto è agevole, nonostante le dimensioni importanti. Su strada si muove benissimo”.
Infine, l’allevatore cremonese mette l’accento sulle dimensioni oversize. “Il volume è decisamente importante e per noi è una cosa fondamentale. Per fare due chilometri con 100 quintali o 300 al traino ci vuole lo stesso tempo, ma chiaramente con 300 quintali per volta riduco il numero di viaggi”.
Rivolta rimarca anche il fatto che il Kodiak è nato per avere un volume di quasi 50 metri cubi. “Altri carri si avvicinano a questa capacità, ma lo fanno con upgrade di carri pensati per dimensioni inferiori. Il progetto di Sgariboldi nasce invece per questa cubatura. Le coclee, per esempio, sono dimensionate per una vasca da 48 metri cubi e infatti in pochi minuti miscelano perfettamente la razione”.
Accanto ai vantaggi specifici del carro vi sono quelli di un cantiere composto da miscelatore trainato e trattore. “In primo luogo, gli spostamenti su strada sono più semplici. Inoltre, il trattore è pensato anche per i trasporti, che effettua senza sforzo e con consumi contenuti. In media, 25 litri l’ora per caricamento, miscelazione e trasporto. Infine, con due carri trainati ci siamo messi al riparo da rischi di fermo macchina: se si rompe un trattore ne attacchiamo un altro, se si guasta il carro, per un giorno o due lavoriamo con uno soltanto”.
Connesso all’azienda
Chiudiamo l’analisi del Kodiak 48/3 con un accenno alla dotazione elettronica. “La trovo semplice da gestire e completa. In primo luogo, il carro è collegato al sistema aziendale: raccoglie dati su miscelazione, tempi di lavoro, quantità scaricate in ogni corsia e li trasmette al computer aziendale. Inoltre, invia segnalazioni quando un ingrediente della razione sta per terminare. Grazie a questi sistemi è facile, per esempio, controllare se il carrista ha lavorato bene, se ha sbagliato le dosi o scaricato in modo improprio. Inoltre, il carro si connette agli altri attrezzi dell’azienda, come i telescopici. Chi carica gli ingredienti vede, sul suo monitor, la pesa del carro e sa quando è il momento di fermarsi. Attraverso il terminale può anche intervenire sugli ingredienti e fare delle modifiche. Tutto molto semplice e funzionale”.

Tre mungiture non pregiudicano la qualità
Fino a pochi anni fa, l’azienda Ferrari-Ciboldi produceva latte destinato a diventare Grana Padano. Oggi, invece, lavora nella filiera del latte alimentare. Un cambiamento che comportato una profonda modifica nella routine di mungitura. “Dal novembre 2024 siamo passati da due a tre mungiture - conferma Giovanni Rivolta - registrando un incremento produttivo oltre le aspettative”. La resa media, che si attestava su valori attorno ai 40 kg/capo/giorno, è infatti schizzata fino a punte di 48,5 kg, un risultato impensabile con la classica routine. “La terza mungitura fa la differenza. Con due è quasi impossibile andare oltre i 42 kg, e già parliamo di punte di eccellenza. È questione di fisica: la mammella più di tanto latte non lo può contenere”.
L’incremento quantitativo ha pesato soltanto marginalmente sulla qualità del prodotto. “Proteine e grassi sono scesi, ma siamo comunque su buoni livelli: rispettivamente, 3.56 e 4.26 per cento”.

Una buona alimentazione, un’ottima genetica e molta attenzione al benessere degli animali sono insomma riuscite a mantenere alta la qualità al crescere della resa. Sicuramente un eccellente risultato per una mandria che ha più che raddoppiato la consistenza nel giro di pochissimi anni. Peraltro, grazie soltanto alla rimonta interna. “Naturalmente è stato un salto programmato. Ci siamo preparati a lungo, abbiamo fatto ampio uso del seme sessato per ottenere una bella mandria di manze e quando queste sono diventate gravide, abbiamo avuto i numeri per il passaggio di livello. Negli anni siamo stati molto attenti anche alla fertilità, con buoni risultati: abbiamo un PR (tasso di gravidanza) al 33% e il CR (tasso di concepimento, ndr) va oltre il 50%”.