Allevare bufale da latte coniugando qualità della materia prima, tutela dell’ambiente e produzione di energia da fonti rinnovabili. È questa la scommessa vinta dalla società agricola Lenza Lunga, localizzata a Cancello e Arnone (Caserta).
L’impresa agricola ha deciso di avviare la conversione al biologico delle sue unità aziendali, pari a 140 ettari di superficie agraria utile, «poiché – spiegano i fratelli Giuliano ed Ercole Cacciapuoti, soci in Lenza Lunga – negli ultimi anni la domanda di mozzarella bio è aumentata e sono ancora pochi gli allevamenti bufalini pronti a soddisfare questa richiesta».
La Lenza Lunga oggi vende 18 quintali (media su base annua) al giorno di latte di bufala certificato per la dop ad alcuni caseifici della zona. Il latte ha una buona resa in caseificazione, grazie a una razione alimentare in continuo aggiornamento e frutto di un lavoro di ricerca del dipartimento di Medicina veterinaria dell’Università degli Studi Federico II di Napoli.
Ma la Lenza Lunga non vive di solo latte: a fronte di 650 capi mediamente presenti in azienda nell’anno, è stato recentemente costruito e attivato un impianto energetico per il recupero degli effluenti bufalini. Un digestore anaerobico da 35 ton al giorno di liquame, letame e un cogeneratore da 100 kWp consentono di vendere 800mila kWh elettrici all’anno al Gse (Gestore servizi energetici). Le operazioni di progettazione integrata, assistenza nelle istanze burocratiche, compresa la pratica per allacciare la centrale elettrica al Gse, è stata curata dalla General Contract di Battipaglia (Sa), società di progettazione specializzata nella elaborazione di impianti a biogas su misura per aziende agro zootecniche. «L’impianto a biogas è stato per noi un investimento importante – spiega Giuliano Cacciapuoti, la mente finanziaria dell’impresa – ma l’efficienza del cogeneratore e la bontà delle soluzioni tecniche proposte consentono di pagarne il costo in circa 4 anni».
«L’allevamento organizzato in paddock si trova su un’area di circa 64 ettari – dice Ercole Cacciapuoti, che dirige le operazioni sul campo - ma con le unità aziendali vicine dove seminiamo foraggi si arriva a 140 ettari e la zona non è servita da acquedotto irriguo pubblico, pertanto abbiamo avuto la duplice esigenza di predisporre la rete idrica dell’impresa, legata ai nostri due pozzi, e abilitata anche alla fertirrigazione: e da questo punto di vista il biodigestore ci dà una mano, perché il liquame diventa digestato, che è più fluido e più facilmente assimilabile dalle piante».
«Durante il processo di digestione le molecole contenenti azoto organico vengono demolite per produrre biogas dalla componente carboniosa, liberando azoto sotto forma ammoniacale – spiega Francesco Cicalese della General Contract - questa forma è prontamente assimilabile dalle colture e viene trattenuta dal terreno per la carica positiva dell’ione ammonio (NH4+). Anche il fosforo organico viene trasformato in inorganico, immediatamente disponibile per le piante». Tutto questo significa minor impatto ambientale e compatibilità con la conduzione biologica dell’impresa.
I raschiatori dei paddock conducono letame e liquame alla prevasca. Da qui gli effluenti (35 ton al giorno) vengono pompati nel biodigestore anaerobico che ha un volume utile da 1.045 m3. Ma il segreto è la tecnologia a due stadi di fermentazione, che consente, mediante la separazione fisica dei processi biologici di trasformazione, l’ottenimento di elevate produzioni di biogas, pari a 1350 m3 al giorno, che diventano per il 50% metano. Grazie a un rendimento elettrico del 38,7% del motore da 100 kW di taglia, la produzione di energia elettrica giornaliera è di 2400 kWh, ottenuta consumando 56 metri cubi all’ora di biogas.
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