I vitelli da carne importati in Italia dalla Francia o comunque dall’estero, altrimenti detti broutard, subiscono stress che possono pregiudicare le performance di crescita, almeno nella prima fase di ambientamento alle nuove condizioni di vita.
Si tratta di un fenomeno non del tutto eliminabile, ma che può certamente essere contenuto a patto di adottare alcune misure alimentari e di gestione dei capi. Ciò non soltanto al loro arrivo, in quanto sarebbe preferibile che la prevenzione degli stress, causa di problemi di salute, alimentazione e digestione, iniziasse già una o due settimane prima della partenza, grazie ad accordi tra allevatori italiani e francesi. Inoltre, una volta inseriti nei nostri allevamenti, i broutard dovrebbero essere alimentati in modo più equilibrato di quanto non avvenga ora o quantomeno si dovrebbero usare strumenti – vedi probiotici e tamponi – in grado di ridurre i rischi di acidosi.
Sono, in sintesi, le conclusioni di un interessante seminario svoltosi in modalità digitale e dedicato al management alimentare dei vitelloni. A organizzarlo Solvay, che produce da anni Bicar Z, bicarbonato di sodio usato come tampone sia nella zootecnia da latte, sia in quella da carne.
Lavorare sulla prevenzione
Due i relatori. Il primo è Giulio Cozzi, docente di Tecniche di allevamento dei bovini presso l’Università di Padova. Si è concentrato su due aspetti cruciali: l’ambientazione al nuovo stile di vita dopo l’accasamento nella stalla italiana e l’alimentazione da ingrasso.
«Importiamo circa 900mila capi vivi all’anno, 850mila dei quali provengono dalla Francia. Al loro arrivo, dopo l’opportuna quarantena, sono sottoposti a una fase di condizionamento, quindi a un periodo di ingrasso che va dai sei ai sette mesi e infine inviati alla macellazione».
E si è notato, ha continuato Cozzi, che il momento più critico coincide con il primo mese dopo il trasporto in azienda. «Gli animali non muoiono durante il trasferimento, che ha ormai raggiunto buoni standard organizzativi. Il momento più critico arriva dopo, con il rimescolamento dei gruppi, la necessità di adattarsi alla nuova situazione ambientale, l’interazione con operatori sconosciuti e infine il cambio di alimentazione».
Per queste ragioni, il docente consiglia di separare le partite in entrata dagli animali già in allevamento, usare di preferenza box con lettiera e ampio spazio disponibile, assicurare un costante accesso all’acqua e integrare l’alimentazione, soprattutto nella stagione calda, con soluzioni reidratanti. «La transizione alimentare andrebbe inoltre gestita all’insegna della gradualità. Non si deve avere fretta di passare a una razione ad alta concentrazione energetica, per non rischiare di mandare “fuori giri” il rumine».
Alimentazione e benessere
«Esiste un rapporto diretto tra apparato gastrointestinale e benessere degli animali. A una dieta bilanciata corrispondono mucose ed epiteli sani, un assorbimento efficiente dei nutrienti e un efficace effetto barriera contro i patogeni. In sostanza, uno stato di salute immunitaria che dovrebbe contenere i problemi di salute».
Per valutare quanto siano bilanciate le diete degli allevamenti da carne il team dell’università di Padova ha analizzato le razioni di oltre 450 centri di ingrasso sparsi in tutta la Pianura Padana. «Il test risale al 2005, epoca in cui il 90% delle razioni prevedeva il silomais. Un’altra indagine, più limitata ma più recente, realizzata in Veneto, segnala che la quota di allevamenti che non usano silomais è raddoppiata e che all’interno della razione è calata la percentuale di polpe. A ogni modo le diete sono abbastanza simili e, in generale, a rischio: contengono molti concentrati amilacei e poca fibra. Ne derivano ridotti tempi di ruminazione e minor salivazione, condizioni ideali per la manifestazione dei segni dell’acidosi».
Gli effetti di una razione così spinta sull’apparato gastrointestinale sono stati valutati analizzando 153 partite di bovini da carne in tre macelli, situati in Veneto e Piemonte. «Abbiamo scelto un campione di animali perfettamente sani, analizzando la mucosa ruminale in cerca di tre possibili problemi: ipercheratosi, segni di acidosi con infiammazioni causate da eccessive fermentazioni lattiche e inoltre presenza di lesioni a stella e cicatrici, indicatrici di pregressi fenomeni ulcerativi».
L’ipercheratosi, continua il relatore, è stata riscontrata nel 60% dei 2.160 rumini esaminati, mentre l’acidosi (e/o subacidosi) era presente nel 30% dei casi. Cicatrici e ulcere, infine, interessavano il 17,5% dei maschi e l’11,4% delle femmine controllate.
«Per quasi la metà degli animali siamo allora risaliti alla dieta somministrata nella fase di ingrasso, riscontrando una relazione tra problemi al rumine e alimentazione. In particolare la quantità di danni è direttamente proporzionale alla quota di amidi e inversamente proporzionale alle fibre assunte dagli animali, con particolare rilevanza per la fibra effettiva o peNdf. È poi emersa una relazione positiva tra l’ingestione di ceneri e un calo dei problemi. Per quanto riguarda i tamponi, più che la quantità è importante che siano di qualità: solo in tal caso infatti svolgono un ruolo preventivo dei danni alla mucosa».
In conclusione, Cozzi ha invitato gli allevatori a migliorare le strutture di alloggio e rivedere la razione alimentare, aumentando la fibra a scapito degli amidi. «Altri benefici derivano dall’azione promossa dalla componente minerale “di qualità” della razione alimentare, ovvero dai tamponi».
I problemi iniziano a monte
Si è portati a pensare che l’adattamento sia essenziale e in effetti è così. Ma sono altrettanto importanti le condizioni in cui gli animali arrivano alla quarantena, dato che sia il trasporto sia la fase immediatamente precedente a esso rappresentano grosse fonti di stress per i bovini.
È questo, assieme a un’analisi degli effetti dell’alimentazione sulle difese immunitarie, il succo dell’intervento esposto dal secondo relatore, il professor Erminio Trevisi, ordinario di Zootecnia Speciale presso il Dipartimento di Scienze Animali, Alimentazione e Nutrizione all’Università Cattolica di Piacenza.
«Siamo portati a pensare che quando gli animali arrivano in Italia siano tutti nelle stesse condizioni, ma non è così. I vitelloni che partono dalla Francia sono diversi per genetica, vita al pascolo, provenienza geografica. Ci sono poi contingenze a noi ignote, come il trasporto all’interno della Francia e centri di raccolta temporanei ove gli animali trovano condizioni di allevamento completamente differenti. Tutto ciò può determinare alti livelli di stress già prima della partenza. Causati, anche, da deficit nutrizionali al pascolo, con carenze di microelementi che possono influenzare le difese immunitarie. Non conosciamo, inoltre, le pratiche di prevenzione per virus e parassiti cui sono stati sottoposti Oltralpe, ma abbiamo tendenza a pensare che non si faccia questo tipo di attività».
Gli animali possono dunque trovarsi uno stato di stress già prima dell’arrivo e anzi ancor prima della partenza. Il trasporto, nonostante le norme stringenti che lo regolano, può peggiorare la situazione, con episodi di disidratazione e malnutrizione, colpi di calore (in estate) e sovraffollamento. Gli animali appena giunti in Italia sono successivamente posti in quarantena, dove vanno incontro a un nuovo ambiente, con un sistema di confinamento a loro sconosciuto, nuovi gruppi e nuove sfide sanitarie: per esempio per la diffusione di patogeni di animali provenienti da altre mandrie. «La quarantena è una pratica corretta, ma non dobbiamo dimenticare che già nel gruppo di trasporto vi sono stati scambi di patogeni», ha specificato Trevisi.
Questa situazione, ha continuato il relatore, causa un aumento del cortisolo, ma anche dei neutrofili (globuli bianchi, ndr) circolanti, che attivano svariati meccanismi di difesa. «Tali meccanismi sono modulati dal carico e dalla durata dello stress. In alcuni casi, un’eccessiva risposta del sistema immunitario può dar luogo a inconvenienti nel periodo di adattamento. In genere, nella situazione più semplice, l’animale subisce uno stress di breve durata e in tempi ragionevoli recupera l’omeostasi, se ben gestito. Uno stress acuto molto intenso può invece ridurre la risposta complessiva ai patogeni, inducendo pertanto una maggior suscettibilità alle malattie. Infine, uno stato prolungato di stress modifica in modo stabile, a volte per settimane, le funzioni difensive essenziali dell’animale. In queste condizioni, vaccinare i capi al loro arrivo in Italia, come avviene di prassi, non è sempre la cosa migliore da fare».
Dieta e digestione
«Il cambio di dieta induce turbe digestive. Ci concentriamo solitamente sul calo di pH ruminale e sull’accumulo di acido lattico, ma dovremmo considerare anche ciò che avviene durante il trasporto, per stimare quali possono essere le deviazioni del microbiota e prendere le opportune contromisure per riportarlo in equilibrio».
Un aspetto importante, ha sottolineato Trevisi, è lo stato dell’epitelio del tratto ruminale e gastrointestinale. «Quando è sano presenta dei collegamenti tra le pareti delle cellule che impediscono il passaggio di sostanze anomale. Per meccanismi ancora incompresi nella loro interezza è tuttavia possibile che queste giunture diventino così lasse da far aumentare la permeabilità dell’epitelio intestinale, favorendo il passaggio di varie molecole immunogene e anche microrganismi. Questa situazione può essere favorita per esempio da eccessivo esercizio fisico – come la permanenza in posizione eretta prolungata durante il trasporto – oppure da stress termico. Altri fattori che incrementano la permeabilità dell’epitelio sono malnutrizione, infiammazioni, attivazione del sistema immunitario, infezioni da virus e batteri, somministrazione di antibiotici e antinfiammatori».
Anche a livello dei pre-stomaci si può avere, ha continuato Trevisi, un aumento della permeabilità. In tutti i casi l’aumentata permeabilità degli epiteli si accompagna a un aumento dello stress ossidativo e dell’infiammazione, condizioni facilmente monitorabili a livello ematico.
«Una valutazione sullo stato ematochimico dei vitelloni giunti in Italia, realizzato in collaborazione con l’università di Padova, ha inoltre evidenziato un interessamento a livello epatico. È emerso come animali con i più alti e più bassi livelli di aptoglobina (indicatore tipico dello stato infiammatorio dei bovini) fossero quelli con gli accrescimenti maggiori. Apparentemente ciò rappresenta un’incongruenza. Tuttavia alti valori di aptoglobina indicano una forte risposta immunitaria, mentre valori molto bassi possono significare che l’animale ha subito uno stress trascurabile, che non ha portato all’attivazione del sistema immunitario».
Questi dati suggeriscono quindi che dopo il trasferimento è importante che avvenga un rapido adattamento degli animali, anche con una adeguata e rapida risposta immunitaria, purché la stessa non si prolunghi nel tempo.
Per far fronte a questa situazione, ha concluso Trevisi, si possono attuare alcune strategie che riguardano la transizione dalla Francia all’Italia. «Prima della partenza, per esempio, sarebbe auspicabile sia limitare i fattori di stress sia vaccinare gli animali. Durante il trasporto si dovrebbero poi attenuare i fattori di stress acuto e cercare di mantenere la funzionalità dei prestomaci con supporti che stabilizzino il pH del rumine. All’arrivo è importante evitare digiuni prolungati, modulare la risposta immuno-metabolica e contrastare i disordini fermentativi, anche con l’uso di probiotici e tamponi. Possono inoltre essere utili supplementi vitaminici e minerali, per esempio Ferro, Rame, Zinco e Selenio, oltre a tamponi ruminali, come anche immuno-stimolanti, immuno-modulatori e prebiotici, ma la scelta dovrà essere effettuata in relazione alle condizioni degli animali».
La mortalità nella prima fase di adattamento alle stalle italiane non è insomma un male inevitabile: collaborando con gli allevatori francesi e preoccupandoci dell’adattamento prima ancora che inizi il trasporto è possibile ridurla e migliorare considerevolmente il benessere animale, come ha efficacemente evidenziato il convegno. Allo stesso modo, l’uso dei corretti integratori può aiutare gli animali a recuperare in tempi rapidi una condizione sanitaria favorevole.
Con il BicarZ
Solvay, organizzatrice dell’incontro, produce da sempre il BicarZ, bicarbonato di sodio Solvay per l’alimentazione animale: una fonte di sodio senza cloruro nonché sostanza tampone, che contribuisce a migliorare il benessere e la produttività degli allevamenti. Alcuni studi scientifici hanno dimostrato che l’aggiunta di 1,25% di BicarZ alla razione dei bovini da carne consente di ottenere una migliore e più omogenea distribuzione della razione giornaliera, contribuisce ad aumentare il tempo di ruminazione, aiuta a diminuire il numero di ore in cui il pH è inferiore a 5,8 e aumenta i profitti per l’allevatore.
È possibile rivedere il convegno in versione integrale sul sito di BicarZ.