La fotografia scattata dall’ultimo Censimento Istat riporta che le aziende agricole condotte da giovani imprenditori, pur essendo appena il 9,3% del totale, sono quelle più innovative, più informatizzate, più presenti nelle attività connesse e con un’attenzione più alta per la sfera sociale e le coltivazioni biologiche. Parallelamente, il titolo di studio dei giovani agricoltori di oggi è più elevato rispetto a una volta.
Affiancando però a questa fotografia un altro dato, elaborato da Confagricoltura sulla base degli elementi forniti da Istat, Rete rurale nazionale, Masaf e Ismea, emerge che in Italia la popolazione giovanile nelle aree rurali è diminuita del 44% in dieci anni, oltre il doppio della media europea, ferma al 21%. Un elemento che spinge a una riflessione profonda sul futuro delle aree rurali e sulla loro capacità di attrazione.
Come ha detto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella all’assemblea nazionale di Confagricoltura, “nelle aree rurali si giocano molte delle sfide dell’uguaglianza e della sostenibilità sociale nel nostro Paese”. Zone in cui è demandato quasi esclusivamente alle aziende agricole e agli allevamenti il compito di connotare l’economia locale.
In zootecnia
Esaminando l’evoluzione della zootecnia, emergono con chiarezza i grandi passi avanti compiuti dal comparto che è una culla importante delle eccellenze agroalimentari italiane: non sono solo migliorate le performance produttive, ma anche il benessere animale e la qualità stessa del lavoro.
Al di là delle peculiarità dei singoli comparti zootecnici, tuttavia, il settore è ancora incapace di proporsi con orgoglio. Gli allevatori oggi sono costretti più a difendersi che a valorizzarsi, complice un’informazione in molti casi incompleta o fuorviante che va ad aggiungersi al difficile momento storico.
È doveroso, intanto, evidenziare che l’innovazione del sistema zootecnico italiano ha portato già a grandi risultati, in linea con la transizione green a cui siamo chiamati e a cui sono così sensibili le giovani generazioni. Rispetto al 1990 sono state ridotte le emissioni di gas serra del 15% e di ammoniaca del 24%. Il water footprint della nostra produzione di carne bovina è del 25% inferiore rispetto alla media mondiale. Risultati ottenuti grazie alla modernizzazione delle aziende e all’ottimizzazione dell’uso delle risorse a diposizione.
Innovazione, tecnologia, circolarità sono le parole d’ordine che oggi contestualizzano gli allevamenti italiani e che possono dare una nuova spinta al comparto. Lo dimostrano anche le manifestazioni dedicate.
Nell’ultima edizione delle Fiere zootecniche internazionali di Cremona è emersa chiara l’evoluzione del settore, con l’impulso tecnologico favorito da misure ad hoc per raggiungere gli obiettivi europei mantenendo alte la qualità e le caratteristiche organolettiche di carni, salumi, latte e formaggi Made in Italy.
E questa evoluzione ha spesso il volto giovane. La figura dell’allevatore, infatti, è mutata nel tessuto economico e sociale, ma occorre farlo sapere. Oggi non è più una persona che si è formata esclusivamente con l’età e l’esperienza, ma è un giovane diplomato, spesso laureato, che investe le conoscenze acquisite nello studio e nel confronto con i coetanei di tutto il mondo nella creazione di un nuovo modello di imprenditoria.
Formazione
Fondamentale, pertanto, è la formazione, non solo quella degli atenei. Il ForAgri riporta che dal 2010 sono state finanziate attività specifiche per circa 85 milioni a favore dei lavoratori delle aziende iscritte e che l’8% della somma è stata utilizzata proprio dal comparto zootecnico con particolare attenzione allo sviluppo delle filiere produttive, alla tutela e salvaguardia ambientale, all’introduzione di tecniche e tecnologie innovative.
Il fermento è confermato anche dalla rete Confagricoltura: in queste settimane i giovani dell’Anga si sono attivati nell’organizzazione in Umbria, in collaborazione con l’Università della Tuscia e Frisitali, di un focus di approfondimento sulla stalla del futuro, la genetica nel comparto dei bovini da latte e l’agritech.
Lo sviluppo genetico delle razze acquista una forte rilevanza in questo panorama, con la necessità di prevedere miglioramenti per animali più longevi, resistenti e adattabili alle variazioni della temperatura, affinando le performance produttive e ottimizzando l’utilizzo delle materie prime per l’alimentazione.
Nel comparto avicolo non mancano in Confagricoltura esempi virtuosi di giovani che mettono in atto buone pratiche nell’ottica dell’economia circolare: in Veneto uno dei più antichi allevamenti avicoli italiani, specializzato nella produzione di uova, con una start up ha messo a punto un sistema di produzione di fertilizzanti totalmente da materiale organico, proveniente dagli allevamenti. Un ecosistema vivente in grado di autorigenerarsi, che non consuma risorse in quanto utilizza il 100% di energie provenienti dalle rinnovabili.
Profondo cambiamento
In queste settimane pre-elettorali sono in discussione la revisione dell’attuale Pac e, in prospettiva, le linee che dovranno definirne il prossimo ordinamento.
È indispensabile che, partendo da quanto abbiamo vissuto in questi anni, non si compiano più errori verso una deriva miope rispetto all’equilibrio tra agricoltura e ambiente. E che si tenga conto del profondo cambiamento del settore primario, della zootecnia in particolare, in cui innovazione e tecnologia sono ormai parte integrante del lavoro quotidiano in azienda e contribuiscono, forse in maniera più efficace di tante prescrizioni, alla sostenibilità dei processi e dei prodotti. Non a caso con un apporto determinante garantito delle giovani generazioni.
Il resto tocca a noi allevatori: uscire dalla zona d’ombra e raccontare i risultati ottenuti, dati alla mano, le storie di successo e di coraggio, e soprattutto le nostre produzioni che caratterizzano la qualità della vita nel nostro Paese e la sua immagine internazionale.