C’è innanzitutto un’affermazione di principio da smentire ed è che l’acqua va risparmiata, punto e basta: al netto di considerazioni economiche, l’acqua va risparmiata dove è poca, ma va invece utilizzata al meglio dove c’è.
Ne deriva un'altra considerazione: il cosiddetto “modello israeliano”, se diffusamente applicato all’agricoltura italiana, sarebbe disastroso per l’ecosistema del nostro Paese, dove l’acqua che percola dai campi contribuisce, ad esempio, a rimpinguare le falde. Sono profondamente diverse, infatti, le condizioni di partenza: in Israele sono riusciti nel “miracolo” di trasformare zone desertiche in terreni fertili, esaltando il valore di ciascuna goccia; noi dobbiamo preservare un ambiente costruito nei secoli, grazie alla disponibilità idrica, di cui tuttora godiamo, seppur con modalità differenti, dettate dalla crisi climatica. In Italia va altresì efficientato l’uso delle risorse idriche, ottimizzandone la distribuzione e realizzando invasi per aumentare la capacità di trattenere le acque di pioggia, oggi ferma all’11%; ipotizzare, ad esempio, di rinunciare all’allagamento delle risaie comporterebbe evidenti conseguenti ambientali, alterando l’equilibrio idrogeologico, di cui godono i territori a valle e che fa del “mare a quadretti” un esempio, candidato a divenire patrimonio Unesco.
Deflusso Ecologico: a rischio le disponibilità irrigue
Da questa premessa deriva l’allarme, che abbiamo lanciato in merito alla pedissequa applicazione delle normativa comunitaria sul Deflusso Ecologico, forti della sperimentazione attuata dal Consorzio di bonifica Piave sui territori dell’Alto Trevigiano, cui si è aggiunto analogo studio, approntato da Enel Green Power per l’attività di sua competenza, cioè la produzione idroelettrica. Secondo una simulazione basata sui dati di 11 anni, i rilasci previsti dal Deflusso Ecologico, dovendo garantire più acqua nei fiumi, aumenterebbero notevolmente il rischio di bacini montani in forte sofferenza idrica creando, nel Veneto, un deficit costante nelle disponibilità irrigue, tale da produrre un calo di almeno il 46% nelle produzioni agricole, tra cui le eccellenze del radicchio e dell’uva per il celeberrimo prosecco, ma anche del mais, coltivato su circa 39.000 ettari; non solo: si avrebbe un calo di 930 gigawattora nella produzione di energia idroelettrica, pari a circa mille piccole centrali e crollerebbe il mercato turistico dei laghi, impossibilitati a mantenere un livello paesaggistico, adeguato alle aspettative degli ospiti. E’ indubbio che vanno ricercati nuovi equilibri fra esigenze produttive ed ambientali, a partire però dalle strette interconnessioni idriche in aree, la cui odierna fertilità deriva da scelte di gestione territoriale, operate dalla Repubblica Serenissima nel 1400!
Oggi, nell’area test trevigiana, servono indicazioni cogenti per trasformare le cave dismesse in invasi ed è necessario efficientare il sistema irriguo, trasformandolo da “canalette” a “pressione”, sul 50% dei 51.000 ettari attualmente serviti nel comprensorio. Per farlo occorre tempo, ma soprattutto 200 milioni di investimento, lo stesso valore della produzione agricola che, stanti le attuali norme sul Deflusso Ecologico, rischia di essere fortemente compromessa insieme a 30.000 posti di lavoro, senza considerare le conseguenze sull’indotto fino a 10 volte maggiori.
Analoghe criticità, seppur quantitativamente inferiori, potrebbero registrarsi nel bacino del fiume Brenta, così come in altre zone d’Italia, dove l’accentuarsi del regime torrentizio dei fiumi, indotto dalla crisi climatica, ha ridotto le disponibilità idriche. Sono realtà, cui bisogna rispondere con l’innovazione tecnologica ed un’assunzione di responsabilità collettiva.
Necessario ridiscutere l’applicazione della normativa
Mettiamo i dati delle nostre sperimentazioni a servizio della politica, perché apra una trattativa in Europa per sospendere un’applicazione del Deflusso Ecologico, che sarebbe disastrosa per il “made in Italy” agroalimentare. La gestione idrica deve essere valutata sulla realtà delle connessioni ambientali, ma anche economiche e sociali di ciascuno Stato e l’irrigazione collettiva italiana è un esempio virtuoso dalle molteplici implicazioni per le comunità. E’ necessario intervenire con determinazione a Bruxelles per ridiscutere l’applicazione di una normativa, che desta molta preoccupazione.
Il concetto di Deflusso Ecologico nasce nel 2012 e mira al condiviso obbiettivo di benessere per l’habitat acquatico, evolvendo i parametri giudicati troppo discrezionali del precedente Minimo Deflusso Vitale, “figlio” della Direttiva Quadro Acque del 2000. C’è da chiedersi, quale attenzione sia stata dedicata, in un arco di 20 anni, dai nostri rappresentanti nella Ue a tematiche penalizzanti le prospettive dell’economia agricola italiana; da qui la scelta di ANBI, che ha dato vita ad “Irrigants d’Europe”, unitamente alle omologhe organizzazioni di Spagna, Portogallo e Francia per tutelare gli interessi delle agricolture irrigue mediterranee. E’ infatti italica abitudine, condizionati dalle beghe di casa, intervenire nelle ormai fondamentali questioni comunitarie a partita cominciata, nel caso quasi finita; ma si sa che gli exploit in zona Cesarini difficilmente riescono.
Il Deflusso Ecologico
Il Deflusso Ecologico è dal 2015 parte integrante della Direttiva Quadro Acque (DQA). La necessità di definire un metodo di calcolo, che portasse ad affrontare meglio la questione del (eccessivo) prelievo (la seconda pressione identificata sullo stato ecologico dei corsi idrici naturali), nasce con il documento “Blueprint per l’Europa” del 2012.
La definizione di Deflusso Ecologico per la DQA prevede "un regime idrologico coerente con il raggiungimento degli obiettivi ambientali della direttiva quadro sulle acque,….., nei corpi idrici superficiali naturali”. Il Deflusso Ecologico deve quindi tendere agli obiettivi generali della DQA, riassunti nel non deterioramento dello stato esistente, nel raggiungimento di un buono stato ecologico nel corpo idrico, nel rispetto delle norme e degli obiettivi per le aree protette.
Il Deflusso Ecologico richiede un piano di misure per la sua applicazione, che in corsi idrici fortemente modificati è limitata e richiede studi sitospecifici. In ogni caso, compatibilmente con la singola situazione, si deve tendere a garantire “la quantità di acqua necessaria, affinché l'ecosistema acquatico continui a prosperare e a fornire i servizi su cui noi facciamo affidamento".