Tra i tanti risvolti della complessa manovra fiscale del Governo Conte, uno di questi potrebbe riguardare l'annosa vicenda delle multe sulle quote latte. Secondo certi esperti, e da una prima lettura del decreto, il debito che alcuni allevatori hanno verso lo Stato italiano potrebbe essere assimilato ad altri di natura tributaria e, quindi, ricadere nei benefici della "pace fiscale" voluta dal governo Lega-M5S.
Si tratta di molto denaro, oltre 1 miliardo e 300 milioni di euro per le multe accumulate sugli splafonamenti di quota tra il 1995 e il 2009.
Non si andrebbe a un condono tout court ma, se davvero si aprissero a questi prelievi le possibilità offerte dal Decreto fiscale 2019, l'allevatore potrebbe scegliere di chiudere ogni pendenza pagando una cifra decisamente inferiore a quanto dovuto, e oscillante tra il 20% e il 50%.
Ne parliamo col condizionale
In modo un po' grezzo potremmo dunque dire che, tra gli allevatori interessati da queste multe pregresse, quelli più fortunati potrebbero togliersi il pensiero (di non poco conto) pagando solo il 20% della multa, mentre a quelli con una posizione meno favorevole la cifra si ridurrebbe comunque della metà. Una prospettiva allettante, che potrebbe davvero ridurre fortemente (forse non eliminare: per alcune aziende il debito è così elevato che anche ridotto non sarebbe facilmente saldabile) il problema italiano delle multe sulle quote latte dovute e non versate.
Perché continuiamo a usare il condizionale? Innanzitutto in quanto siamo di fronte a una disposizione contenuta in un decreto legge, e come tale deve essere approvato dal Parlamento, che può anche modificarlo; dunque, a oggi non si tratta di una norma definitiva.
In secondo luogo perché va prima compreso se l'eventuale "sconto" offerto dalla manovra fiscale sia, nel caso specifico delle multe sulle quote latte, da considerarsi o meno quale aiuto di stato non concordato con l'Ue.
Cinque commi dell’articolo 6
Per fare ciò, vediamo meglio questo articolo 6 del decreto fiscale 2019. Al comma 1 si ribadisce un principio: in caso di controversia con l'Agenzia delle entrate, il contribuente può "definirla" (cioè, chiuderla) pagando quanto stabilito dalle norme vigenti.
Il comma 2 introduce però una novità, che costituisce la "sanatoria". Nel caso cioè in cui un contribuente, su una controversia con l'Agenzia delle entrate, abbia già avuto una pronuncia di primo grado a suo favore, può definire la questione pagando il 50% di quanto dovuto. Una percentuale che scende al solo 20% se può vantare una pronuncia a suo favore di secondo grado.
Il comma 3 applica gli "sconti" a quanto dovuto in qualità di sanzione; in questo caso la sanatoria consente di definire la questione pagando il 40% o il 15% a seconda che, nella controversia, si sia già ottenuta una pronuncia favorevole rispettivamente di primo o di secondo grado. Con il comma 4 semplicemente si limita la possibilità di aderire alla sanatoria alle controversie notificate entro la data di entrata in vigore del decreto; insomma, si escludono le controversie future.
Ma poi si arriva al comma 5 e si trova un fattore critico per la questione delle multe sulle quote latte. Perché alla lettera "b" vengono escluse dalla definizione delle controversie (cioè dalla sanatoria) " le somme dovute a titolo di recupero di aiuti di Stato ai sensi dell’articolo 16 del regolamento (UE) 2015/1589 del Consiglio, del 13 luglio 2015".
Ecco il punto: ci sarà da capire, e sarà materia di discussione tra esperti, se dopo la sentenza del gennaio 2018 sul "Ricorso per inadempimento" sulle multe pregresse (si veda box) il mancato recupero delle multe – anche parziale, in virtù dello "sconto" dovuto al Decreto fiscale – sia da considerarsi o meno aiuto di Stato non concordato. Perché in questo caso, sarebbe lo stesso decreto fiscale del governo Conte (comma 5 articolo 6) a escludere le multe sulle quote latte dalla sanatoria.
LA NATURA DELLE QUOTE LATTE PERCHÉ LO SCONTO FORSE È AIUTO DI STATO
Bisogna ricordare che il denaro dovuto dall'Italia, considerata come stato membro, all'Unione europea per gli splafonamenti delle campagne lattiere tra la 1995/1996 e la 2008/2009 è in realtà già stato versato. L'Italia, negli anni passati, si è infatti sostituita agli allevatori saldando quanto dovuto utilizzando la fiscalità generale, cioè dalle tasse di tutti i cittadini. Dunque, da questo punto di vista e su questo fronte, il nostro Paese non è debitore con l'Ue.
Tuttavia, ciò non ha impedito che su questa questione partisse una procedura di infrazione contro l'Italia. La Commissione europea ha infatti preteso che il nostro governo recuperasse le somme corrispondenti presso i produttori "in concreto responsabili della sovrapproduzione" come si legge nei documenti della procedura di infrazione.
Questo perché la ratio del regime delle quote latte non era far pagare un tributo all'Europa, ma calmierare la produzione di latte proprio a favore degli stessi allevatori, in quanto il contenimento produttivo manteneva sostenuto il prezzo del latte alla stalla, con benefici per tutto il sistema zootecnico.
Di fatto, invece, alcuni allevatori italiani, tra il 1995 e il 2009, hanno superato la propria quota senza pagare il corrispettivo prelievo. Secondo Bruxelles, dunque, l'Italia deve procedere alla riscossione dai singoli allevatori di quanto dovuto in termini di multa per i superamenti di quota.
Negli anni scorsi i nostri governi si sono opposti a questa interpretazione e la questione è arrivata dinanzi alla Corte di giustizia dell'Unione europea, che però, lo scorso gennaio, con una sentenza ha dato torto all'Italia e ragione alla Commissione. Più precisamente, la sentenza del gennaio 2018 ha sancito l'obbligo, da parte dello Stato italiano, di mettere in atto gli strumenti necessari per incassare le somme dagli allevatori.
E se l'Italia non lo farà, allora quanto anticipato dall'Italia verrà considerato aiuto di Stato non concordato, il che farebbe partire un'altra procedura di infrazione; più grave e che porterebbe a sanzioni per il nostro Paese, cioè a carico di tutti i cittadini.