Uno dei principali problemi zootecnici di questo periodo è il seguente. Da qualche mese molte latterie, molti caseifici, qualche consorzio invitano gli allevatori conferenti a consegnare quantità di latte un po’ inferiori al solito. Questo per via del calo della domanda di prodotti lattiero caseari provocato dal covid.
Molte volte però a questo invito, a questa proposta, gli allevatori rispondono: “Sì, volentieri, ma non è cosa semplice, le vacche non hanno un rubinetto del latte”. Più rigorosamente, sulle pagine dei numeri scorsi di IZ abbiamo visto esperti come Luigi Bertocchi o Igino Andrighetto spiegare che indurre una mandria a produrre meno latte non si può fare di punto in bianco, nel breve periodo; questo per motivi tecnici biologici fisiologici, per evitare problemi di dismetabolie che comprometterebbero poi salute e produzione delle bovine nel medio periodo.
Abbiamo chiesto a Lorenzo Brugnera, presidente della Latteria di Soligo, grossa cooperativa situata a Soligo (Tv), se questa problematica si ritrova anche in Latteria Soligo e come è stata affrontata.
“La problematica delle produzioni superiori - ci ha risposto - è presente un po’ in tutte le realtà lattiero casearie italiane. Sappiamo che a livello italiano a maggio abbiamo un +2,5% e a livello Lombardia un +4%. Abbiamo un +4% di produzione anche noi all’interno della nostra cooperativa. E parlando da allevatore: è ovvio che le vacche non hanno il rubinetto; ma sicuramente le vacche hanno dei parametri misurabili. Sappiamo tutti che a seconda di quello che diamo loro da mangiare, di quello che facciamo in stalla, di quello che investiamo nell’allevamento, o vendendo qualche animale, possiamo contenere le produzioni totali”.
Per esempio come?
L’allevatore di bovine può contenere la produzione di latte o vendendo qualche animale o anche scegliendo una alimentazione degli animali più fibrosa e meno spinta. Ma l’allevatore non può nascondersi dietro il luogo comune delle vacche con o senza rubinetto, perché sappiamo che se lo decide può non aumentare le produzioni; il vero nodo è se vuole produrre per il mercato, per quello che il mercato può assorbire, estero compreso, oppure no.
C’è anche chi sostiene che l’allevatore è costretto a produrre di più per far stare in equilibrio il bilancio economico aziendale.
In effetti negli ultimi anni il latte gli viene pagato agli stessi valori del 1990-1995. Ma i costi sono aumentati, così l’allevatore non ce la fa più, per cui cerca di produrre di più, di esasperare le produzioni per poter stare in equilibrio con la propria azienda. Però facendo questo invece di avere un beneficio a volte può arrivare ad avere un danno, perché più si produce latte più cala il suo valore di mercato, come avviene in questo momento. Un valore che dovrebbe essere superiore ai 40 centesimi e invece abbiamo valori che sono dai 35 ai 36 centesimi, perché questo è il valore in questo momento.
Voi ne avete sicuramente parlato con gli allevatori soci della vostra cooperativa: questi si sono detti disposti a contenere le produzioni? Oppure è emersa la necessità di incentivi o di quote?
Noi non abbiamo quote, i nostri allevatori sono liberi di produrre. Allora, finchè questo ci viene sopportato da quello che è il nostro mercato, allora possiamo anche produrre. Ma siamo andati anche noi fortemente in difficoltà con il lockdown, specialmente con la chiusura dell’Horeca, perché noi stiamo facendo anche molto prodotto per l’Horeca.
E come avete reagito?
Quando l’Horeca ha chiuso siamo andati in difficoltà. Ma anche in questo caso, con le capacità che abbiamo, con i nostri sistemi aziendali, siamo riusciti a lavorare tutto il latte, facendone anche delle cagliate. Ma più in generale, in Italia, per far fronte a questo tipo di problemi a mio avviso mancano dei polverizzatori: quando c’è troppo prodotto si potrebbe mandarlo alla produzione di latte in polvere; ma in Italia non c’è abbastanza visione, programmazione, per creare polverizzatori. Le grandi perdite di valore cui a volte il latte va incontro giustificherebbero l’investimento in un polverizzatore, ma ripeto nel nostro paese manca la cultura giusta per calcolare e programmare investimenti come questo.
Lei prima ha detto: finché siamo più o meno riusciti a resistere col mercato abbiamo lasciato gli allevatori liberi di produrre. Però se adesso continua la crisi come li convincerete gli allevatori a contenere l’offerta?
Mah, ci sono delle aziende che hanno deciso che oltre la quota di mercato il latte verrà pagato a un prezzo molto basso, in modo da disincentivare la produzione.
Questo in generale. Ma per quanto riguarda in particolare Latteria Soligo?
Per quanto riguarda Latteria Soligo: finchè riusciamo, con le nostre capacità, a restare nel mercato, specialmente per quanto riguarda in questo momento la grande distribuzione, e finchè possiamo lavorare il nostro latte, noi lasciamo i nostri produttori di produrre. In questo momento per Latterie di Soligo non si intravvede un problema di dover mettere delle quote o dei premi, finchè i produttori, con intelligenza, rimangono all’interno della media anche considerando più annate: qualche annata -2%, qualche altra annata come forse quest’anno, un 1-2% in più... Poi Latteria Soligo risolve anche facendo prodotti più a lunga conservazione, come alcuni formaggi. Per altri lattiero caseari più freschi invece sappiamo che dobbiamo lavorare il prodotto con molta velocità e immetterlo sul mercato.
Quindi anche grazie anche alla capacità di Latteria Soligo di differenziare la produzione di prodotti finali finora il problema non c'è stato.
Sì, poi c’è un'altra situazione che si verifica nella Latteria Soligo ma non in altre aree d’Italia. Noi siamo in una zona anche vitivinicola, abbiamo dei produttori che per scelta, per età, per mancanza di ricambio generazionale, chiudono, lasciano spazio a qualcun altro. Lasciano degli spazi che vengono raccolti da altri allevatori. Questo naturalmente aiuta quelli che intendono crescere. Altri, dove ci sono dei giovani, tentano di recuperare le difficoltà aziendali producendo di più. Inoltre noi abbiamo avuto degli allevatori che hanno dovuto chiudere per il troppo indebitamento, purtroppo sta succedendo anche questo; alcune grosse aziende hanno dovuto chiudere per investimenti sbagliati, lasciando spazio ad altri.
Comunque in generale nel Nord Est gli allevatori di bovine da latte sembrano un po’ in affanno.
Gli allevatori di questo territorio, di fronte a un prezzo del latte come quello che in questo momento sta girando, con questi prezzi di vendita dei prodotti lattiero caseari, non resisteranno molto. Molti produttori dovranno trarne delle conclusioni. Perché dal 1990 al 1995 il latte era a 750-780 lire il litro, ma in quel momento l’urea valeva 24-27mila lire al quintale, oggi l’urea vale 30-33 euro al quintale e il latte è ancora a 700 lire. Lo si può dire per l’urea ma anche per la soia, per il mais, per la manodopera, per tutta la burocrazia che abbiamo intorno a noi.
Ma quant’è il prezzo medio del latte alla stalla oggi, da voi?
Allora, noi siamo cooperativa e alla fine abbiamo dato anche l’anno scorso un conguaglio e speriamo di riuscirci che anche quest’anno… Vedremo poi da settembre in avanti come le cose potranno andare, perché l’horeca ha sofferto e sta soffrendo molto anche in questo momento e io sono molto sensibile alla situazione dei nostri ristoratori e dei nostri pizzaioli in questo momento, quelli che operano alle spiagge e che stanno soffrendo tantissimo.
E in questa zona del Veneto?
Oggi il latte che è qui nei territori viaggia intorno ai 35-36 centesimi al litro, sono quelle 700 lire che stanno girando: un allevatore non può resistere molto con questi prezzi perché non ha i soldi per tenere vivo il proprio allevamento, per cambiare le macchine quando i carri unifeed i trattori si logorano. E questo è uno dei problemi gravi che abbiamo, perché una stalla non è eterna, una sala di mungitura non è eterna; dopo un certo numero di anni, che possono essere 20-25, a 30 anni non arriva, è tutta da rifare. Questo è uno dei maggiori problemi che abbiamo.