Dita incrociate e poca voglia di parlare fra gli allevatori lombardi. La dermatite nodulare bovina spaventa il mondo agricolo e rischia di innescare alcuni disagi economicamente rilevanti tanto sul versante della zootecnia da latte (compreso il possibile stop alle mostre) quanto sul fronte della zootecnia da carne, dove il blocco dei ristalli e della movimentazione degli animali da vita minaccia di assottigliare i già fragili bilanci delle stalle e di ridurre ulteriormente il tasso di autoapprovvigionamento di carne bovina.
D’altronde, il virus della Lsd (acronimo che sta per Lumpy skin desease) non è pericoloso per l’uomo, ma è classificato di tipologia A (come la tubercolosi bovina, per intenderci, patologia che prevedono l’abbattimento totale dei capi e il controllo alla movimentazione) e dunque mortale per i bovini. Necessita, per questo, di sistemi di vigilanza e controllo particolarmente puntuali.
Ma se c’è una cosa di cui gli allevatori parlano volentieri, è l’efficacia dei controlli e la preparazione dei veterinari della Direzione generale Welfare di Regione Lombardia, che sono riusciti a individuare la presenza del virus e a mettere in piedi un protocollo di intervento tempestivo. Anche i rapporti con il ministero della Salute e con il direttore generale della Sanità animale, Giovanni Filippini, sono tuttora improntati alla massima collaborazione per cercare di ridurre al minimo l’impatto delle misure di sorveglianza e restrizione che sono inevitabilmente necessarie.
La cronaca
Lo scorso 25 giugno, in un allevamento di Porto Mantovano, comune al confine con Mantova capoluogo, viene confermato dopo un controllo il virus della dermatite nodulare bovina. L’animale proviene da Orani, in provincia di Nuoro. Scatta l’allarme. L’allevamento viene sequestrato, i capi (bovini da carne) vengono abbattuti e vengono istituite le zone di protezione (20 km) e sorveglianza (50 km di raggio dal focolaio). In entrambe le zone è vietata la movimentazione di bovini per fiere, mostre e mercati.
I problemi che si pongono nell’immediato riguardano la movimentazione degli animali da vita, il trasporto del latte e la gestione di liquami e letame dagli allevamenti che si trovano all’interno della zona di restrizione.
Il tasso di morbidità varia tra il 5% e il 45% e il tasso di mortalità è inferiore al 10%, ma la patologia non si può sottovalutare. I rischi maggiori risiedono nelle movimentazioni animali dai paesi infetti alle aree indenni, ma anche nei vettori meccanici o ematofagi.
L’impatto sulla produzione
L’impatto sulla produzione, in particolare nei negli allevamenti da latte, può essere considerevole. Il calo della produzione di latte, il dimagrimento, il tempo di convalescenza prolungato, lo sviluppo di infertilità temporanea o permanente e il danneggiamento delle pelli possono essere tutti significativi.
Non mancano impatti diretti (i costi dell’abbattimento totale degli animali, controllo dei vettori, della vaccinazione, e della sorveglianza sono significativi) e indiretti (limiti o divieti al commercio / esportazioni verso Paesi Terzi, impatto sul commercio intracomunitario e su quello nazionale).
In base al regolamento Ue 2020/687, il periodo di monitoraggio è di 28 giorni, mentre la durata delle misure nella zona di protezione è di 28 più 17 giorni. La durata delle misure nella zona di sorveglianza è di 45 giorni.
Nel frattempo, il 29 giugno viene scoperto un altro caso in Savoia (Francia).
Operazioni permesse e vietate
La task force fra ministero della Salute, rappresentanze agricole, Regione Lombardia – accanto all’assessorato al Welfare, in prima fila interviene l’assessorato all’Agricoltura, con il responsabile alla partita Alessandro Beduschi particolarmente coinvolto nel gestire l’emergenza nel migliore dei modi e con la massima celerità - si mette all’opera. Si predispone un piano di controllo a tappeto, con l’obiettivo di passare a uno a uno gli allevamenti di bovini e bufalini, e si interviene con deroghe sostanziali per consentire il più possibile la normale gestione degli allevamenti.
Per garantire la continuità produttiva e salvaguardare il comparto agroalimentare, è consentito il trasferimento di animali vivi provenienti da zone libere verso impianti di macellazione situati all’interno delle zone di restrizione.
La movimentazione di animali da vita (verso altri allevamenti) è al momento consentita nelle zone di restrizione solo per motivi di benessere. E ciò fino a quando il quadro epidemiologico non risulterà chiaro. La movimentazione di animali verso macellazione è garantita previa visita cliniche effettuate dai veterinari delle Ats.
È vietata la vendita diretta di latte crudo al consumatore finale, così come è vietata la movimentazione di latte crudo, e dei prodotti derivati, proveniente da animali detenuti in allevamenti siti in zona di restrizione. In deroga è consentita la movimentazione di latte crudo, panna e siero.
Sono previste deroghe: il latte crudo può essere movimentato su tutto il territorio nazionale purché destinato ad un impianto di trasformazione che esegue un trattamento di pastorizzazione (72 °C per 15 secondi) oppure un trattamento equivalente. È considerato trattamento equivalente il processo di produzione del Parmigiano Reggiano e del Grana Padano.
Il siero di latte può essere considerato sicuro solo se sottoposto ai trattamenti termici previsti nel rispetto dei parametri di tempo e temperatura; non può essere destinato all’alimentazione di animali zootecnici in assenza di tale trattamento; può essere destinato ad impianti di biogas solo se viene sottoposto a trattamento termico sufficiente all’inattivazione del virus prima dell’immissione nell’impianto oppure se, nel corso del processo, si raggiungono temperature sufficienti all’inattivazione del virus per un tempo sufficiente, come da manuale operativo.
Il latte crudo ad uso alimentare, che non è direttamente indirizzato a impianti di trasformazione, deve essere destinato a centri di raccolta e/o di standardizzazione associati a un centro di trattamento termico, dove il latte deve essere sottoposto ai trattamenti di pastorizzazione.
Decisioni rapide
In prima fila sul territorio, il presidente di Coldiretti Mantova, Fabio Mantovani, nei giorni più tumultuosi dell’emergenza Lsd, dichiara: “In questi giorni stiamo assistendo alla concretezza del Sistema Paese nel prendere decisioni su un tema mai comparso prima, come appunto quello della dermatite bovina. Dobbiamo ringraziare le istituzioni per la rapidità delle decisioni e per la disponibilità ad ascoltare la voce di Coldiretti e del mondo agricolo, collaborando per creare le condizioni alle stalle di poter lavorare, pur osservando le necessarie precauzioni”.
Sia sulla questione più strettamente legata alla produzione lattiero casearia che sulla gestione dei reflui zootecnici “ci siamo confrontati con istituzioni competenti e scrupolose, aspetti fondamentali anche per evitare che lo scenario complessivo sfuggisse di mano dal punto di vista mediatico, creando allarmismi pretestuosi e pericolosi per le filiere zootecniche. Resta da affrontare il nodo degli spostamenti degli animali vivi, una questione che è altrettanto urgente per una provincia come la nostra”.
C’è dunque fiducia nel sistema veterinario lombardo, anche se resta il nodo della partenza del contagio, la Sardegna, dove molto probabilmente dovrà essere messa in campo una vaccinazione di massa per scongiurare l’esplosione della malattia.
Il Veneto sta monitorando il fenomeno
Allerta anche nel Veneto, dove Alberto De Togni, presidente di Confagricoltura Verona, dice: “Siamo molto preoccupati per questa nuova epizoozia che ci sta colpendo. Ci siamo già mossi, interessando i servizi veterinari, per cercare di avere una normativa che all’interno delle zone soggette a restrizioni, quali la Bassa Veronese, che permetta un’attività di emergenza, come lo spostamento dei bovini e la raccolta dei capi che dovessero morire, anche per altre motivazioni. Stiamo monitorando il fenomeno, insieme alla Regione Veneto, che in questo momento sta dando una mano agli allevamenti del Veronese e delle altre zone venete colpite dal provvedimento ministeriale”.
Il timore è che gli allevatori si vedano costretti a destinare tutto il latte alla pastorizzazione, con gravi difficoltà logistiche e commerciali. “Il comparto lattiero-caseario sta vivendo giorni di grande tensione – spiega Giancarlo Zanon, rappresentante del settore lattiero caseario di Confagricoltura Veneto –. Le restrizioni alla movimentazione del latte crudo e la necessità di destinare la produzione solo ad impianti in grado di garantire pastorizzazione o lunga stagionatura stanno riducendo la capacità produttiva delle nostre aziende”.
La questione mostre zootecniche
Preoccupazioni legate alla dermatite anche da Anafibj, dove il responsabile delle mostre zootecniche, Corrado Zilocchi (a sua volta allevatore con 1.200 bovine in due siti produttivi a pochi chilometri l’uno dall’altro, ma collocati nelle province di Mantova e Reggio Emilia), mette al centro il tema delle mostre zootecniche.
“Già lo scorso anno, per motivi precauzionali legati alla Blue Tongue, particolarmente pericolosa per gli ovini, con senso di responsabilità annullammo la mostra nazionale alla Fazi di Montichiari e, successivamente, venne annullata la Mostra internazionale di Ginevra - ricorda Zilocchi -. I danni sono molteplici e vanno oltre la questione economica, in quanto non c’è solo la gara, ma anche l’indotto e il mondo che gira intorno a livello nazionale e internazionale”.
Forti timori sono legati anche alla genetica che gli allevamenti da latte “costruiscono” nel corso degli anni o addirittura dei decenni. “Se dovessero imporre un abbattimento non si parla solamente di mancata produzione di latte, che resta comunque una perdita significativa sul piano economico, ma di perdita di patrimonio genetico e di impostazione dell’allevamento. Dietro a ogni stalla ci sono sforzi, impegni e visioni che si costruiscono giorno dopo giorno negli anni”, conclude Zilocchi.