Multe quote latte: l'Italia dovrà recuperare gli interessi sullo slittamento del versamento previsto dal piano di rateizzazione 2004-2017. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia dell'Unione europea, dando ragione alla Commissione Ue, torto all'Italia e ribaltando un pronunciamento di due anni fa da parte del Tribunale europeo.
Come sempre, parlando di quote latte, le vicende sono complicate. Questa vicenda in particolare, parte nel 2010, alla scadenza della settima annualità di un piano di rateizzazione delle multe pregresse sulle quote latte concordato anni prima dall'Italia con l'Unione europea. Il piano riguardava i prelievi supplementari previsti dai regolamenti Ue, dovuti per gli sforamenti delle quote latte da parte di molti produttori italiani tra gli anni 1995 e 2002. Si trattava di cifre molto elevate che, per vari motivi, gli allevatori non avevano versato per tempo, anche in forza di provvedimenti giurisdizionali a vari livelli a loro favore; pronunciamenti nella massima parte poi decaduti. Nel frattempo, il denaro dovuto all'Unione europea era stato versato dal governo italiano, attingendo i fondi dalla fiscalità generale. Ovviamente alla Commissione europea una simile situazione non poteva andare bene: i regolamenti sulle quote latte parlavano chiaro e le multe dovevano versarle i produttori (come accaduto in tutti gli altri paesi europei); mentre il pagamento da parte di un paese membro sarebbe risultato come indebito aiuto di stato, intollerabile per gli allevatori italiani, e per quelli europei, in regola con le quote latte.
Dall'altro lato c'era il peso di far pagare multe ormai pesantissime ad aziende che difficilmente le avrebbero rette dal punto di vista economico. Come fare allora per risolvere questa intricata questione? Il governo italiano pensò di alleggerire l'impatto delle multe, comunque da pagare, rateizzando quanto dovuto dagli allevatori. Iniziò così, nel 2003, un difficile negoziato tra i nostri ministeri competenti e la Commissione Ue. L'accordo venne raggiunto su una rateizzazione in quattordici anni senza interessi a partire dal 2004. Proprio l'assenza di interessi finanziari costituiva un esplicito aiuto di stato da parte del nostro governo agli allevatori beneficiari della dilazione di pagamento; ma pacifico dal punto di vista dell'Unione europea in quanto concordato e negoziato. Tutto fila liscio per sei anni, e le rate vengono pagate dagli allevatori che nel frattempo avevano aderito al sistema di dilazione entro il 31 dicembre di ogni anno. Ma nel 2010 il meccanismo si inceppa. Mosso da una fase di crisi del settore lattiero nazionale, il governo decise di aiutare i bilanci delle aziende zootecniche spostando il termine della settima rata dal dicembre 2010 al giugno 2011, fermo restando le altre successive annualità. Spostare nel tempo un versamento di denaro, senza applicare interessi, significa però offrire un vantaggio finanziario ai beneficiari. Qualche tempo dopo l'Unione europea interpretò questa decisione come un ulteriore aiuto di stato, e questa volta non negoziato. Dunque contrario al diritto comunitario e, come già detto, dannoso per gli altri allevatori.
Parte dunque nel 2013 la cosiddetta procedura d'infrazione, con tutta una serie di passaggi, fatti di documenti e di atti d'accusa da parte della Commissione Ue e di ricorso da parte del nostro governo. Sino che la questione, irrisolta, arriva al sistema di giustizia europeo. Che dapprima, nel 2015, con una sentenza del Tribunale dell'Ue – che rappresenta il primo grado di giudizio – aveva dato ragione all'Italia, ritenendo lo spostamento della sesta rata di sei mesi una mera rimodulazione fatta all'interno dell'architettura dell'accordo del 2003. Ma la Commissione europea non è stata di quel parere ed è ricorsa alla Corte di Giustizia, il secondo grado di giudizio, che con un pronunciamento di questi giorni ha ribaltato la precedente sentenza: lo slittamento dei termini è da considerarsi come una nuova, ulteriore rateizzazione, e dunque vanno recuperati dagli allevatori gli interessi del caso.
Per la cronaca, da una verifica che abbiamo fatto, al di là dell'incaglio capitato nel 2010, i pagamenti successivi delle annualità di questa forma di rateizzazione sono sempre stati regolari. E gli allevatori si apprestano a pagare, entro l'ormai prossimo 31 dicembre 2017, l'ultima rata.
Non solo, fin dall'inizio la vicenda è apparsa come una questione politica e di principio, perché da calcoli eseguiti, lo slittamento della rateizzazione avvenuto nel 2010 ha coinvolto solo 1.291 allevatori, dei quali oltre il 90% ha di fatto avuto un beneficio finanziario (il contestato aiuto di Stato) inferiore ai 100 euro; per circa metà di costoro è al di sotto dei 12 euro, sino a cifre di centesimi di euro per altri ancora.