Sostenibilità, competitività ed efficienza: sono le tre parole chiave che guidano la zootecnia italiana più evoluta, affiancate oggi dalla rivoluzione digitale e dall’intelligenza artificiale. Strumenti in grado di accelerare la qualità delle produzioni, migliorare le rese e la resilienza agli effetti del cambiamento climatico, garantendo al tempo stesso una maggiore tracciabilità lungo tutta la filiera.
Sono questi i temi che hanno animato, dal 24 al 26 ottobre scorso, la 97ª edizione della Fiera Agricola Zootecnica Italiana (Fazi) di Montichiari (Bs), punto di riferimento per un comparto che continua a dimostrare una straordinaria vitalità.
Secondo i dati di Clal.it, società di consulenza del settore, il sistema lattiero-caseario italiano è oggi tra i più competitivi al mondo. Da ottobre 2024 il prezzo medio dei prodotti esportati – latte sfuso e confezionato, polveri, condensato, yogurt e formaggi – ha superato i 100 euro per 100 chilogrammi di equivalente latte, toccando in luglio quota 104 euro.
Merito soprattutto dei formaggi Dop, che rappresentano il 54% del totale esportato e trainano la crescita internazionale. L’Italia, con questi numeri, stacca nettamente i principali competitor: Paesi Bassi (61,10 euro/100 kg), Francia (59,64 euro/100 kg), Germania (54,30 euro/100 kg) e Stati Uniti (40,48 euro/100 kg).
Nei primi sette mesi del 2025, il nostro Paese ha esportato 920mila tonnellate di prodotti lattiero-caseari, per un valore di quasi 5,6 miliardi di euro, in crescita del 7,4% in volume e del 14,9% in valore. Solo i formaggi hanno toccato quota 404mila tonnellate, pari a 3,6 miliardi di euro (+16,1%), con destinazioni che spaziano dall’Europa al Nord America fino al Sud-Est Asiatico.
Prandini: «Basta campagne ideologiche contro gli allevamenti»
Durante la manifestazione, Coldiretti ha presentato i dati aggiornati sulla “Stalla Italia”, alla presenza del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, del presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana e del presidente nazionale di Coldiretti, Ettore Prandini.
Negli ultimi cinque anni, il valore della produzione zootecnica è cresciuto del 41%, ma l’obiettivo ora è quello di rilanciare la presenza delle stalle su tutto il territorio, dal Nord al Mezzogiorno.
«Un autentico rilancio della zootecnia – ha sottolineato Prandini – non può prescindere da uno stop alle campagne ideologiche che demonizzano la carne. È un alimento centrale nella Dieta Mediterranea, prodotto da allevamenti sostenibili. Queste campagne rischiano di vanificare gli sforzi delle nostre imprese, che oggi rendono il settore italiano tra i più virtuosi al mondo.»
Tra le novità più rilevanti per la filiera, il decreto ColtivaItalia mette sul piatto 300 milioni di euro destinati alla zootecnia per aumentare il livello di autosufficienza nazionale.
Nonostante la crescita economica, la produzione di bovini da carne è tra l’altro calata e il tasso di autoapprovvigionamento è sceso dal 53% al 40%. Per questo Coldiretti punta a rilanciare la linea vacca-vitello, soprattutto al Sud, nelle aree interne e più fragili. Un modello che può contribuire a ripopolare i territori e offrire nuove opportunità alle giovani generazioni.
«L’agricoltura italiana oggi – ha detto Lollobrigida – segna un record come stanziamenti di un Governo nella storia repubblicana: ben 15 miliardi e un ulteriore finanziamento che nella revisione del Pnrr assegna all’agricoltura altre centinaia di milioni per garantire la produzione di energia pulita senza togliere terreno agricolo ma utilizzando fattorie, stabilimenti, impianti di trasformazione. Inoltre, come prosegue Lollobrigida nella Legge di bilancio vengono garantite quelle che erano delle misure considerate provvisorie, come il taglio dell’Irpef per gli imprenditori agricoli».
Carbon farming, un progetto di sostenibilità che crea anche reddito
Uno dei temi più innovativi affrontati a Montichiari è stato il carbon farming, pratica che lega sostenibilità ambientale e redditività aziendale attraverso la cessione dei crediti di carbonio.
Il progetto europeo Life Carbon Farming, coordinato dall’Institut de l’Élevage francese e attivo fino al 2027, coinvolge anche il Crea, il Centro ricerche produzioni animali (Crpa) di Reggio Emilia, Associazione produttori carni bovine del Triveneto( Unicarve), Asprocarne (Organizzazione di produttori di bovini da carne) e l’Associazione Italiana Allevatori (Aia).
«L’obiettivo – ha spiegato Luciano Migliorati, del Crea Zootecnia e acquacoltura di Lodi – è sviluppare un meccanismo di finanziamento del carbonio basato sui risultati ottenuti. In cinque anni, 700 allevamenti da latte e da carne dovranno ridurre l’impronta di carbonio almeno del 15%.»
Il progetto punta anche a creare un mercato europeo dei crediti di carbonio, capace di generare nuove entrate per gli allevatori e contribuire alla decarbonizzazione di altri settori.
«Stiamo definendo – ha aggiunto Migliorati – una metodologia comune per certificare le riduzioni di emissioni, con sistemi di monitoraggio e verifica standardizzati. Il mercato zootecnico del carbonio potrà essere pienamente operativo tra un paio d’anni.»
Lumpy skin disease, allarme dalla Francia per la zootecnia da carne
La dermatite nodulare bovina (Lumpy skin disease) sta mettendo in difficoltà la zootecnia europea. Dalla Savoia ai Pirenei, il virus ha spinto la Francia a bloccare tutte le esportazioni di bovini vivi fino al 4 novembre, come annunciato dal ministro dell’agricoltura Annie Genevard.
Una misura drastica che preoccupa l’Italia, primo acquirente dei broutard, i vitelli da carne destinati all’ingrasso: Parigi copre infatti il 70% delle nostre importazioni. Nel 2024 la Francia ha esportato 940mila vitelli, per un valore di 356 milioni di euro, diretti soprattutto verso Italia (61%) e Spagna (11%).
«Il blocco alle esportazioni ci crea non poca preoccupazione – ha dichiarato dalla Fazi Massimiliano Ruggenenti, presidente del Consorzio lombardo produttori carne bovina –. Questa sospensione creerà un buco negli approvvigionamenti e la prossima primavera potremmo trovarci con un calo di bovini da macello. Il sistema italiano, che già oggi produce meno del 50% della carne bovina necessaria, rischia di indebolirsi ulteriormente».









