Latte, se ora frena la domanda cinese

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Scenario ribassista sui mercati internazionali. I dati del Clal

Il trend del mercato lattiero caseario ha imboccato la strada del ribasso, con i prezzi che vengono decisi da riunioni telematiche e non fisiche.

Giù il latte spot in Italia

Il prezzo del latte spot (in cisterna e con contratto di conferimento non superiore ai tre mesi, ndr) in Italia ha segnato una contrazione, prolungando una striscia negativa che va avanti sulla materia prima nazionale dalla fine di settembre, quando il picco mensile raggiunse i 45,65 €/100 chilogrammi (dati Clal.it).
Lunedì 2 marzo alla Borsa merci di Milano i prezzi del latte spot nazionale hanno ceduto un ulteriore 0,7% su base settimanale, scendendo sui 0,37-0,38 €/kg, su valori che nel mercato italiano non si registravano da luglio 2018.

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L’ulteriore calo ha avvicinato i valori del latte spot italiano a quelli del latte tedesco, attestato a Milano sui 0,36-0,38 €/kg. Latte di provenienza tedesca che, rispetto alla flessione del 10,7% per il prodotto italiano, registra un leggero aumento rispetto allo scorso anno (+1,4%).
Anche nel mercato della crema di latte si è osservato un nuovo segno “meno”, con i prezzi all’ingrosso sia della crema italiana che estera scesi su 1,60 €/kg, l’1,2% in meno rispetto alla penultima settimana del mese.
Nessuna variazione, invece, nei listini del burro, con i prezzi del prodotto pastorizzato fermi su 1,75 €/kg. I prezzi delle materie grasse restano comunque in forte ritardo rispetto ad un anno fa, con un -20% per la crema italiana e un -27,1% per il burro pastorizzato.

Il latte in Europa

Il sentiment timidamente ribassista è confermato proprio dal prezzo fissato dalla cooperativa olandese Friesland Campina, che scende a marzo a 36,50 euro per 100 kg di latte, con una flessione di 0,25 euro rispetto al prezzo di febbraio. Le previsioni 2020 per il gruppo olandese sono di una marginalità ridimensionata, per diversi eventi negativi, di cui il Coronavirus è solo uno dei tanti.
La media Ue aggiornata alla fine del mese registra una lieve diminuzione (-0,1%) a 35,36 €/100 kg, così come i listini degli Stati Uniti, che flettono del 2%, ma rimangono su una quotazione elevata del 41,06 euro alla tonnellata.
In buona vista la ripresa del latte in Oceania: +6,7% e valori a 33,80%, complice una minore disponibilità di quantitativi dovuta purtroppo alla siccità in Nuova Zelanda e agli incendi in Australia.

I formaggi

Si riduce la forbice tra Grana Padano e Parmigiano Reggiano, complici quotazioni invariate per il primo, che si attesta a 8,85 €/kg nella categoria “Riserva 20 mesi”. Prosegue, invece, il trend ribassista per il Parmigiano Reggiano.
Le quotazioni del Parmigiano Reggiano stagionato “24 mesi”, nella seduta di borsa di lunedì 2 marzo (l’ultima disponibile) sono scivolate indietro dell’1,37%, ridimensionandosi a 10,80 euro al chilogrammo. Prezzi comunque ancora redditizi per gli allevatori, anche se il confronto con lo stesso periodo del 2019 è impietoso: -19,1 per cento (fonte: Clal.it).
Sostanziale stabilità per i mercati dei formaggi semiduri dop. Mercati fermi, infatti, per Quartirolo lombardo, Provolone Valpadana stagionato tre mesi, Piave mezzano, Monte Veronese, Asiago pressato e Asiago d’allevo (borsa merci Milano).
Piccoli passi avanti per l’Asiago pressato quotato a Thiene a 4,65 €/kg (+1,09%) e per il Montasio nelle stagionature 4-6 mesi e 60 giorni, cresciuta rispettivamente dell’1,38% e dell’1,64 per cento.
Ferme anche le quotazioni dei formaggi freschi Dop come il Gorgonzola piccante a 6,75 €/kg, il Piave fresco a 7,78 euro al chilogrammo (quotazione mensile di dicembre 2019) e il taleggio fresco a 4,75 euro al chilogrammo.

Listini oltre il Coronavirus

A contribuire alla definizione dei prezzi su scala internazionale, però, più che il Coronavirus incidono gli equilibri fra domanda e offerta. In un simile contesto, ecco che la frenata della domanda cinese ha ripercussioni ben più immediate e serie rispetto a un’influenza “rinforzata”, come è stato ridimensionato il Coronavirus.
A risentire della minore dinamicità dell’economia cinese, primo paese importatore di molti prodotti agroalimentari, sono stati in particolari i prezzi delle polveri di latte. L’ex Celeste Impero ha ridotto le importazioni e i mercati, di conseguenza, hanno messo la freccia verso il basso.
È un azzardo, tuttavia, capire se le cause siano figlie dell’esplosione del Coronavirus nella Repubblica Popolare oppure se le dinamiche di rallentamento dell’import rispondano ad altre logiche. Certo è che ciclicamente le importazioni di prodotti lattiero caseari cinesi subiscono delle accelerazioni e poi, inspiegabilmente, delle decelerazioni.
Il fatto che siano in atto in alcune aree della Cina delle misure restrittive degli orari di lavoro e degli esercizi commerciali a tutela della salute pubblica non agevola i consumi. Almeno per alcune tipologie di prodotto: si pensi al formaggio filante tipo mozzarella a guarnizione della pizza, acquistata peraltro non dall’Italia, ma da Australia e Nuova Zelanda.


Le polveri di latte di Oceania, Usa e Ue

In Oceania i prezzi delle polveri di latte intero (Wmp) e scremato (Smp) all’ultima asta Global Dairy Trade del 18 febbraio scorso hanno tirato il freno: -2,6% per entrambe le categorie di prodotto, conseguenza diretta della minore richiesta cinese. Giù anche il burro (-3,9%) e l’Amf (burro anidro, che segna un -5,5 per cento).
Secondo i dati riportati sul sito di Clal.it, il prezzo della polvere di latte scremato (Smp) è sceso a 2.585 $/t. La diminuzione dei prezzi è riconducibile anche a un aumento delle quantità offerte in asta, cresciute tra gennaio e febbraio del 39,4% rispetto allo stesso periodo del 2019. Logica, dunque, una frenata come conseguenza di una domanda che non tiene il ritmo dell’offerta.
La polvere di latte scremato perde smalto in tutto il mondo. Le ultime quotazioni rilevate indicano una recessione a 2.472 euro alla tonnellata negli Stati Uniti (-0,7%), a 2.560 €/t in Unione europea (-1,2%), a 2.755 €/t in Oceania (-1 per cento).
Andamento di prezzo disallineato per le polveri di latte intero (Wmp), che flettono in Oceania e in Ue, scendendo rispettivamente a 2.802 €/t (-4,4%) e a 3.025 €/t (-0,7 per cento). Di segno contrario il mercato Usa a 3.729 €/t (+1,9%), così come hanno segnato un trend positivo le quotazioni dell’ultima asta Global Dairy Trade a 2.727 €/t, con una rivalutazione dello 0,2 per cento.
Risulta evidente che, in fase di commercio globale, Usa e Ue presentano prezzi competitivi nelle vendite di polvere di latte scremato (Smp), mentre è l’Oceania a presentare i numeri più vantaggiosi in fase di acquisto di polvere di latte intero. Questo fa sì che eventuali flussi commerciali seguano rotte distinte in base alle condizioni dei listini e a eventuali accordi di libero scambio. Le pressioni daziarie e le barriere sanitarie, infatti, complicano e non poco gli scenari.

 


Quando arriverà la ripresa della Cina?

Confondere le tendenze di mercato con gli effetti del Coronavirus è un attimo. E potrebbe essere alquanto pericoloso, perché attribuire cause errate alle dinamiche del mercato potrebbe portare a soluzioni fuori fuoco.
Quello che appare certo è che la Cina ha rallentato i flussi delle importazioni, non soltanto nel settore lattiero caseario. Il mix potrebbe avere ripercussioni pesanti sull’intera economia mondiale. Una frenata della crescita del Pil cinese si traduce, infatti, in una diminuzioni delle esportazioni mondiali verso la Cina.
Non solo. L’impegno di Pechino ad acquistare nei prossimi due anni beni agroalimentari provenienti dagli Usa per 80 miliardi di dollari (oltre ad altri beni e servizi per 120 miliardi di dollari) in quella che è stata ribattezzata la “Fase 1” dell’accordo tra Cina e Stati Unirti dopo una guerra commerciale durata oltre 18 mesi, potrebbe non essere rispettato. Che cosa accadrebbe di conseguenza?
La voglia di ripartire e di lanciare segnali tranquillizzanti non soltanto alla popolazione interna, ma anche al mondo, legato a doppio filo dall’andamento economico della Cina, è testimoniata dalla presenza del presidente Xi Jinping in uno degli stabilimenti della Mengniu Dairy Co. Limited, forse la realtà più importante della Repubblica Popolare per dimensioni, i cui volumi di vendita sono diminuiti a febbraio del 20% proprio per il rallentamento della locomotiva asiatica.
I camion per il trasporto dei prodotti lattiero caseari vengono disinfettati automaticamente ogni quattro ore e i banner appesi al camion informano che la temperatura corporea è normale. Scene impensabili solo due mesi fa. Ma dalla ripresa della Cina dipende la prosperità di tutto il mondo.

Latte, se ora frena la domanda cinese - Ultima modifica: 2020-03-04T15:42:46+01:00 da Lucia Berti

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