«Spendere per una corretta gestione della vitellaia significa effettuare un investimento che darà frutti a lungo termine». L’ha detto la veterinaria Nadia Borsato nella sua introduzione alla serata tecnica dedicata alla gestione del vitello e della vitellaia, organizzata recentemente a Codroipo (Udine), dall’Associazione allevatori del Friuli-Venezia Giulia. Secondo recenti ricerche, ha proseguito Borsato, tre sono i fattori che maggiormente influenzano la produzione di latte: l’età del primo parto del bovino (l’ideale è quella dei 25 mesi), la gestione della mangiatoia (cioè la composizione della razione alimentare) e il numero di cuccette disponibili in azienda.
Le patologie neonatali sono fonte di guai
Inoltre, le patologie neonatali hanno un risvolto reddituale significativo sui risultati economici dell’azienda. Secondo una ricerca statunitense del 1994, il 6,3% delle vitelle vanno incontro a patologia respiratoria. Il 23,5% delle stesse non entra in produzione. I vitelli che sviluppano una polmonite nei primi tre mesi vanno incontro a un rischio di morte 2,5 volte superiore dopo il 90° giorno di vita. Se i vitelli manifestano un episodio di diarrea, la possibilità che vengano venduti è 2,5 volte superiore. Le manze trattate per un episodio di diarrea vanno incontro a un rischio 2,9 volte superiore di partorire per la prima volta all’età di 30 mesi rispetto alle altre manze.
Buona gestione della colostratura
Il colostro rappresenta, per i vitelli, la “terapia ideale” per farli crescere sani: è in grado di sopprimere i patogeni mantenendo inalterata la flora microbica “buona”, ha un effetto di lunga durata, non ha tempi di sospensione e limiti burocratici di somministrazione, costa poco, previene le patologie e ha un ampio spettro d’azione. Ma, per mantenere le sue promesse, la somministrazione del colostro deve rispettare “quattro regole e due lettere”: qualità e quantità; temperatura e tempo.
Un colostro di buona qualità contiene almeno 50 g di anticorpi per litro. Una qualità che si può misurare con diversi sistemi di valutazione: visiva, utilizzando un colostrometro, con la rifrattometria o attraverso degli esami di laboratorio (ma, a volte, i risultati non sono disponibili rapidamente).
Relativamente alla quantità, l’obiettivo è quello di avere 10 g di anticorpi per litro di sangue nel vitello e/o 60 g di proteine totali per ogni litro di sangue. Perciò è necessario somministrare 4 litri di colostro nelle prime 6 ore di vita del vitello poiché la mucosa intestinale diventa impermeabile dopo 24 ore. L’assorbimento è massimo dopo 4 ore dalla nascita, scende a 65% dopo 6 ore, è inferiore al 50% dopo 12 ore ed è solo del 10% dopo 24 ore. Il passaggio degli anticorpi, quindi, può avvenire in maniera efficace solo nelle prime 6 ore, ma il colostro mantiene un compito importante per i primi giorni di vita del vitello e si consiglia, infatti, di distribuire 6 pasti con colostro nei primi 3 giorni di vita del vitello.
Il colostro deve essere somministrato alla temperatura di 38/39 °C. Se si adotta la tecnica del congelamento, è preferibile farlo utilizzando degli appositi e facilmente gestibili sacchetti di plastica e non delle bottiglie. Il successivo scongelamento non deve avvenire a temperature superiori ai 50 °C e, inoltre, senza utilizzare il forno a microonde o la fiamma diretta, bensì esclusivamente il bagnomaria. L’utilizzo della sonda esofagea per la somministrazione, secondo Borsato, è pratico ma non efficace. È preferibile utilizzare il ciuccio con alcune accortezze: mantenere sempre la massima pulizia delle tettarelle e dei secchi; non impilarli e distribuire il latte mantenendo la tettarella a un’altezza leggermente superiore a quella del muso.
Lo svezzamento
Se, in alternativa al latte aziendale, si utilizza il latte in polvere per lo svezzamento, i punti su cui focalizzare l’attenzione per una sua gestione corretta sono 6: gli strumenti, la temperatura, le modalità e la qualità del latte somministrato; la concentrazione e le modalità di preparazione (la polvere, a esempio, deve essere sempre ben sciolta nell’acqua).
Per chi somministra il latte pastorizzato, valgono le stesse regole del latte crudo, con due limiti: non deve entrare nella dieta del vitello nella prima settimana di vita e non deve contenere prodotto trattato con antibiotici o proveniente da vacche infette. L’utilizzo della pastorizzazione consente di “recuperare il latte di scarto”; recuperare parte del colostro (una leggera quantità di colostro, non superiore al 10%, può essere veicolata con il latte pastorizzato); sanificare il latte da buona parte della carica microbica; somministrare il latte alla giusta temperatura.
Molte aziende si sono orientate verso l’uso dei distributori automatici, macchine che hanno vantaggi e svantaggi. I vantaggi sono relativi alla praticità di utilizzo, alla riduzione della manodopera, alla somministrazione frazionata dei pasti, al costante monitoraggio dell’assunzione di alimento. Gli svantaggi, invece, sono legati alla gestione dei gruppi, al posizionamento sbagliato dell’allattatrice, ai costi d’acquisto e gestione, alla (cattiva) manutenzione e taratura, alla disponibilità di tempo necessaria per la valutazione dei dati forniti, alla difficoltà di alimentarsi da parte degli animali deboli o gerarchicamente sottoposti e all’insorgenza di patologie respiratorie.
L’abbandono della dieta lattea è una importante fonte di stress ormonale per gli animali, che non va sommata ad altre (decornazione, vaccinazioni, spostamenti). In questa fase diventa pure importante il controllo della distribuzione dell’acqua che deve essere disponibile a volontà e sempre pulita.
Secondo studi recenti, nella fase pre svezzamento la richiesta è di 20-27% sulla sostanza secca di proteina grezza e un contenuto energetico di 10-15 MJ/kg. Nella fase post svezzamento i valori scendono a proteina grezza 15-19% sulla sostanza secca e contenuto energetico di 12-13 MJ/kg. La distribuzione dei concentrati è utile poiché concorre a far crescere le papille ruminali degli animali, cosa che la dieta con fieno non fa e, perciò, questo alimento dovrebbe essere distribuito solo dopo i 40 giorni di vita. L’utilizzo dell’unifeed può essere interessante, ma la crescita ponderale dell’animale è inferiore a quella sostenuta dai concentrati.
Leggi l’articolo su Informatore Zootecnico n. 6/2017
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