Quanta urea nel latte, è importante saperlo

urea nel latte
È un parametro molto utile per nutrizionisti e allevatori: serve a monitorare la funzionalità ruminale e la corretta formulazione della dieta. Conoscerlo permette di migliorare l’efficienza di utilizzo della componente proteica della razione, riducendo i costi alimentari e le escrezioni azotate

La frazione proteica rappresenta una delle componenti più importanti del latte grazie al ruolo che riveste nell’alimentazione umana e nel processo di caseificazione e per l’opportunità che offre all’allevatore di aumentare i ricavi legati ai premi per il pagamento del latte in base alla qualità. Tra i fattori che influenzano il tenore in proteina del latte, la nutrizione proteica delle bovine riveste un ruolo di primaria importanza.

Per tali ragioni negli ultimi anni, considerando i crescenti fabbisogni nutrizionali dovuti ad un aumento della capacità produttiva degli animali, l’aspetto dell’integrazione proteica nelle diete ha acquisito un ruolo sempre più importante nella formulazione delle razioni.

Per contro, la componente proteica rappresenta una delle voci più costose della razione, che va ad incidere pesantemente sui costi finali di alimentazione delle vacche da latte. Oggi più che mai diventa quindi prioritaria l’adozione di piani nutrizionali capaci di ottimizzare il più possibile la componente proteica in razione e di garantire, nel contempo, elevate produzioni di latte ed elevate rese in proteina.

Oltre alla frazione proteica, che costituisce circa il 96% dell’azoto, nel latte si trovano anche una serie di componenti azotati non proteici. Questi ultimi sono prodotti fisiologicamente dalla bovina, e nonostante siano di scarso interesse economico e di basso valore biologico, rivestono un ruolo di fondamentale importanza nel percorso di valorizzazione della componente proteica della razione e del latte.

Tra le componenti non proteiche, l’urea è uno dei parametri di riferimento in quanto essa costituisce circa il 50% dell’azoto non proteico del latte.

L’origine dell’urea nel latte

L’urea è un composto chimico organico prodotto dal normale metabolismo azotato della bovina, ed è presente in molti fluidi corporei quali il latte, il sangue, le urine e la saliva. Nell’alimentazione della vacca da latte un’importante quota di proteina ingerita dall’animale viene degradata dai batteri presenti nel rumine, fino a peptidi ed amminoacidi che costituiscono i tasselli per la costruzione di proteina batterica ad alto valore biologico.

La proteina batterica riveste un ruolo chiave nella funzionalità ruminale, sulla produzione di latte e sul tenore in proteina nel latte. La degradazione delle proteine introdotte con la dieta, a livello ruminale, porta anche alla produzione di ammoniaca, che rappresenta un elemento di fondamentale importanza per lo sviluppo della microflora ruminale in quanto essa viene utilizzata nella sintesi di nuove proteine batteriche.

Quando vi è un eccesso di ammoniaca a livello ruminale e questa non viene utilizzata per la sintesi di proteina batterica, la parte in eccesso viene assorbita attraverso la parete del rumine nel flusso sanguigno dove, per evitare intossicazioni causate dall’alterazione del pH del sangue, viene convertita in urea dal fegato.

La maggior parte dell’urea prodotta dal fegato viene liberata nel sangue e in gran parte viene escreta con le urine e con il latte, mentre una piccola parte torna nel rumine attraverso un processo conosciuto come “ricircolo dell’urea”. Tale processo è tanto maggiore quanto più è bassa la concentrazione di ammoniaca a livello ruminale.

Seppur in quota minore, altri fattori che contribuiscono alla produzione di urea sono l’utilizzo di aminoacidi per la produzione di glucosio (situazione che si verifica quando l’animale è in carenza energetica) e la somministrazione di diete non bilanciate dal punto di vista del profilo amminoacidico.

Il ruolo della dieta

Il contenuto di urea nel latte è quindi influenzato dalla concentrazione di nutrienti forniti in una dieta e dal modo in cui questi nutrienti sono disponibili per la flora microbica ruminale.

Un utilizzo ottimale dell’ammoniaca da parte dei microrganismi ruminali per la sintesi di proteina microbica dipende fortemente da un corretto bilanciamento in termini di quantità ingerite e tassi di digestione tra la proteina degradabile e i carboidrati non strutturali a livello ruminale.

Per esempio, diete ad elevato contenuto di proteine degradabili a livello ruminale (RDP) che non contengono quantità adeguate di carboidrati non strutturali, porteranno a concentrazioni più elevate di urea nel latte.

La quantità e il tasso di digestione dei carboidrati nel rumine sono i principali regolatori della sintesi di proteina microbica e dell’utilizzazione di ammoniaca da parte dei batteri. Quindi i carboidrati devono essere disponibili per i batteri al momento giusto, ovvero in concomitanza della disponibilità della componente proteica.

Pertanto, formulare razioni capaci di generare una perfetta sincronizzazione delle fermentazioni ruminali tra componente proteica ed energetica della dieta risulta essere il fattore chiave per ottimizzare il funzionamento del rumine, la sintesi di proteina microbica, l’utilizzo di ammoniaca a livello ruminale e per ridurre i quantitativi di urea escreta con le urine ed il latte.

Anche un aumento di assunzione di acqua può aumentare la produzione urinaria, che tenderà a diminuire le concentrazioni di urea nel sangue e nel latte. Al contrario, una scarsa assunzione di acqua può aumentare la concentrazione di urea nel sangue e nel latte. Inoltre, le concentrazioni di urea nel sangue fluttuano durante il giorno e riflettono direttamente i tempi di alimentazione: queste sono più alte dalle quattro alle sei ore dopo il pasto e più basse subito prima del pasto.

Urea nel latte, importante strumento diagnostico nutrizionale

L’urea è un composto che si diffonde liberamente attraverso le membrane cellulari. Questo fa sì che la sua concentrazione nel latte rifletta la concentrazione presente nel sangue, nelle urine e negli altri fluidi corporei.

In termini più tecnici, il livello di urea nel latte rappresenta l’equilibrio in ambiente ruminale tra le fonti azotate ed i carboidrati, la loro azione sinergica nell’attività microbica ruminale e nell’efficienza digestiva dell’animale.

È dunque un parametro che consente di valutare il corretto bilanciamento della razione in termini di proteina ed energia e di monitorare il livello di efficienza di utilizzazione della componente proteica delle vacche da latte.

Al fine di valutare correttamente il programma alimentare aziendale, i valori di urea nel latte non devono essere analizzati da soli, ma devono essere valutati insieme ad altri dati come la produzione di latte, l’ingestione di sostanza secca, la tipologia di alimenti utilizzati nella dieta ed il contenuto di grasso, proteine e lattosio nel latte.

Quindi, se usata correttamente, l’urea nel latte è uno strumento utile per nutrizionisti ed allevatori: da un lato serve a monitorare la funzionalità ruminale e la corretta formulazione della dieta; dall’altro permette di migliorare l’efficienza di utilizzo della componente proteica della razione, riducendo i costi di alimentazione e le escrezioni azotate.

Quest’ultimo aspetto è inoltre una delle tematiche più discusse e studiate nel settore zootecnico negli ultimi anni: molti studi internazionali hanno dimostrato come le emissioni di ammoniaca siano fortemente correlate con il contenuto di urea nel latte e come quest’ultimo può essere un parametro utilizzato per calcolare le emissioni di ammoniaca a livello aziendale (Borgus et al., 2010).

Le nuove linee guida

In letteratura sono riportati diversi intervalli ottimali di urea nel latte. Alcuni gruppi di ricerca raccomandano un intervallo compreso tra 24 e 28 milligrammi per decilitro (mg/dl), mentre altri tra 20 e 25 mg/dl.

Tuttavia, considerando da un lato le ultime conoscenze in materia di nutrizione e dall’altro la necessità di ottimizzare l’impiego di proteina e di ridurre gli sprechi, i valori di urea suggeriti come ottimali sono, oggi, molto più bassi di quanto suggerito in passato.

Queste nuove acquisizioni suggeriscono, a livello pratico, che si possa lavorare con valori di urea del latte di massa compresi tra 16 e 20 mg/dl. Questi valori sono tipicamente associati a piani nutrizionali aziendali formulati ad hoc, in grado di prevedere razioni aventi livelli di proteina differenti, calibrati in funzione delle potenzialità produttive e dello stadio di lattazione in cui si trovano gli animali.

La situazione del latte piemontese

Sono stati elaborati a livello statistico i dati analitici di urea e di proteina di campioni di latte di massa provenienti da dieci caseifici piemontesi per un totale di circa 179mila campioni prelevati da 522 allevamenti conferenti, distribuiti su 147 comuni in sette province nell’arco di tempo compreso tra il 2015 e il 2021.

Dall’analisi emerge come tra il 2015 è il 2018 i livelli medi annuali di urea nel latte per capo sono risultati essere molto simili tra loro, con valori compresi tra i 23 e i 25 mg/dl, mentre dal 2019 al 2021 è possibile osservare una tendenza decrescente dei valori di urea (Figura 1).

A differenza di molti altri parametri qualitativi del latte, è interessante notare come la stagionalità non influenzi il contenuto di urea (Figura 2), a dimostrazione di come questo parametro dipende esclusivamente dalla tipologia di alimentazione.

L’analisi ha anche valutato l’effetto del livello di differenti intervalli di urea sul contenuto di proteina nel latte (Figura 3): come atteso, il contenuto di proteina nel latte diminuisce in modo lineare al diminuire del livello di urea.

Tuttavia, tale relazione è veritiera solo quando si considerano valori di urea inferiori a 15 mg/dl, mentre il contenuto di proteina nel latte rimane pressoché invariato (con valori compresi tra il 3.34 e il 3.38 g/100g) in latti aventi valori di urea superiori a 16 mg/dl.

Il risultato indica come non ci sia relazione tra tenore in proteina ed urea nel latte, ovvero come sia possibile produrre latte con un elevato tenore in proteina anche con livelli di urea inferiori a 20 mg/dl.

Dai risultati dell’elaborazione è possibile dedurre che lavorare con livelli di urea nel latte compresi tra 16 e 20 mg/dl consente di migliorare l’efficienza proteica aziendale (riducendo gli sprechi) senza influenzare negativamente il contenuto di proteina nel latte. I dati hanno inoltre evidenziato che solamente il 26% dei campioni presentava un valore di urea compreso nell’intervallo suggerito come ottimale (16-20 mg/dl), mentre il 58% presentava valori più elevati (Figura 4).

A livello pratico, questo significa che per oltre la metà delle aziende piemontesi coinvolte nello studio si prospetta un’interessante opportunità per quanto concerne l’ottimizzazione delle razioni dal punto di vista dell’efficienza proteica.

Formulazioni di razioni efficienti a basso contenuto di urea nel latte

La formulazione di razioni con livelli di proteina inferiori alle formulazioni convenzionalmente adottate, in grado di far produrre un latte con livelli di urea compresi tra 16 e 20 mg/dl, può rappresentare un percorso virtuoso per ridurre gli sprechi ed aumentare l’efficienza azotata degli animali.

Per formulare razioni ad alta efficienza proteica e con basso tenore di proteina, senza influenzare negativamente le performances produttive dell’animale, occorre però adottare precise strategie di razionamento:

  • definire con precisione le caratteristiche nutrizionali di tutti gli alimenti utilizzati, con particolare attenzione alla tipologia di proteina e al profilo amminoacidico;
  • calcolare i reali fabbisogni nutrizionali delle diverse categorie di animali, in relazione alla reale capacità di ingestione, alla produzione e alla qualità del latte prodotto;
  • prevedere una perfetta sincronizzazione delle fermentazioni ruminali tra componente proteica ed energetica, basandosi su una corretta ottimizzazione delle fonti energetiche in funzione delle fonti azotate presenti in razione;
  • suddividere la mandria in gruppi omogenei per fabbisogni nutrizionali, determinati in base al livello produttivo, allo stadio di lattazione e all’età.

In Figura 5 sono riportate due razioni alimentari in grado di sostenere la stessa produzione e qualità del latte (40 kg di latte capo giorno al 3.35% di proteina), testate in un’azienda commerciale piemontese.

La dieta A rappresenta una razione formulata con criteri convenzionali in termini di livello di proteina ed ottimizzazione della componente proteica, mentre la dieta B rappresenta una razione formulata con i nuovi principi di ottimizzazione e valorizzazione della componente proteica (razione B).

A parità di produzione il risultato che si ottiene in termini di efficienza proteica e contenuto di urea nel latte è significativamente diverso: la razione B porta ad un aumento dell’efficienza proteica e ad un livello di urea nel latte ottimale rispetto alla razione A.

Inoltre, considerando la complicata situazione di mercato (dovuta ai costi sempre più elevati dei fattori produttivi) e considerando la crescente pressione sulla riduzione degli impatti ambientali, razioni bilanciate con livelli di proteina più bassi portano sia alla riduzione dei costi di alimentazione sia al contenimento delle emissioni di ammoniaca per capo al giorno, garantendo vantaggi economici ed ambientali importanti.

Ad oggi la letteratura scientifica, l’andamento dei dati analizzati negli ultimi anni e le esperienze pratiche aziendali confermano che è possibile mantenere le massime performance produttive con un contenuto di urea nel latte compreso tra i 16 e i 20 mg/dl, valori che risultano molti più bassi rispetto alle linee guida dichiarate in passato.

Queste nuove indicazioni potrebbero porsi come uno degli obiettivi futuri da raggiungere per nutrizionisti e allevatori in quanto, se messe in pratica, potrebbero avere ripercussioni positive sia sull’efficienza proteica sia sulla sostenibilità economica ed ambientale delle aziende da latte.


Luciano Comino1, Andrea Revello Chion1, Daniele Giaccone1, Luca Bertola1, Stefania Pasinato2, Ernesto Tabacco 2

1 Associazione Regionale Allevatori del Piemonte, Arap.
2 Forage Team - Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari - Università di Torino


Bibliografia

Burgos S. A., N. M. Embertson, Y. Zhao, F. M. Mitloehner, E. J. DePeters, and J. G. Fadel. (2010). Prediction of ammonia emission from dairy cattle manure based on milk urea nitrogen: Relation of milk urea nitrogen to ammonia emissions. Journal of Dairy Science. 93 :2377–2386.

Quanta urea nel latte, è importante saperlo - Ultima modifica: 2022-12-21T11:10:36+01:00 da K4

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