Recenti studi e comparazioni tra laboratori, statunitensi ma anche italiani come quelli dell’Università di Bologna, mostrano che il setaccio Penn State, modificato sostituendo il setaccio da 1,18 mm con un setaccio da 4,0 millimetri, può dare valori molto simili ai valori determinati in laboratorio con il Ro-Tap (fatto su campioni essiccati). Studi riportati dal centro di ricerca americano del Miner Institute confermerebbero questi dati.
Questo significa che possiamo ottenere un ottimo dato per la peNDF (fibra fisicamente efficace) semplicemente misurando la quantità (%) del campione sopra 4,0 mm del setaccio Penn State e moltiplicandola per l’analisi dell’NDF (la fibra) della razione o del foraggio misurati in laboratorio.
La necessità di aver incrementato la dimensione minima ritenuta efficace per la masticazione deriva dal fatto che il sistema Ro-Tap tratta campioni essiccati e li separa in modo tri-dimensionale applicando la forza di un motore elettrico, mentre il Penn State valuta campioni tal quali (umidi) e li separa in modo bi-dimensionale. I risultati, tuttavia, sono incredibilmente simili per molti alimenti.
Il setaccio da 4 mm è il più preciso nella stima della peNDF
I ricercatori della Penn State così come altri scienziati in Canada e Giappone hanno studiato la dimensione delle particelle delle diete e il loro impatto sul metabolismo ruminale, e hanno chiaramente dimostrato che la soglia critica delle particelle per lasciare il rumine delle bovine ad alta produzione è maggiore di 1.18 mm e vicina ai 4 mm.
Anche se non esiste una dimensione ideale di setaccio per misurare particelle per tutte le diete e tutti i foraggi, i dati provenienti da tre laboratori indipendenti dimostrano che il setaccio da 4 mm è il più preciso nello stimare la peNDF per le bovine da latte ad alta produzione. Sul vaglio da 4 mm si raccolgono le particelle costituite principalmente da piccoli pezzi di foraggio che spesso, ma non necessariamente, sono caratterizzate da un alto contenuto in fibra.
Quando ingerite queste particelle saranno probabilmente intrappolate nel cosiddetto “materasso” ruminale, ma potranno poi essere facilmente ridotte sia con una prima ruminazione o ad opera dell’azione microbica. Queste particelle tendono ad idratarsi rapidamente, spostandosi dalla parte dorsale del rumine dove contribuivano a costituire il ponte del foraggio. Le particelle comprese tra i 4 e gli 8 mm potranno comunque contribuire, anche se in maniera minore, all’effetto tampone sul rumine.
Per utilizzare al meglio il sistema bisogna però sapere che una quota variabile di altri alimenti potrebbe venir intrappolata su questo vaglio di 4 mm: ad esempio se è presente in razione un mangime in pellet o si impiega mais fioccato. Queste condizioni devono essere valutate attentamente dall’operatore per ridurre il valore della quota efficace sottraendo il peso di queste particelle non fibrose prima di calcolare il valore di peNDF.
Applicazione degli obiettivi di riferimento
Il contenuto in peNDF di un foraggio o dell’unifeed può venir calcolato sommando il peso delle particelle sui primi tre setacci (≥ 4 mm) e moltiplicandolo per il contenuto NDF del campione. Per limitare il rischio di sub-acidosi ruminale, il nutrizionista può così disporre della valutazione del livello di peNDF, insieme alla stima della quota dei carboidrati fermentescibili nella dieta (in particolare di amido) parametri che gli permettono di poter meglio controllare l’impatto della dieta sul pH ruminale.
Per quanto riguarda la distribuzione delle particelle sui vari setacci sono state elaborate delle linee guida per silomais e unifeed con insilati. Grazie a un recente lavoro congiunto tra l’Università di Bologna e la Penn State University sono state proposte delle linee guida anche per gli unifeed a secco senza insilati, tipici dell’area del Parmigiano Reggiano.
È possibile scaricare i foglio di calcolo per l’uso in Italia della nuova versione del setaccio Penn State al link:
http://extension.psu.edu/animals/dairy/nutrition/forages/forage-quality-physical/separator/particle-size-spreadsheet-tool/analisi-dimensione-particelle-parmigiano-reggiano
Difficile oggi rispettare
le condizioni che assicurano l’efficienza del rumine
Vediamo ora perchè questi aggiornamenti provenienti dal mondo della ricerca sono importanti per gli allevatori di bovine da latte.
La vacca da latte è un animale sorprendente per come è in grado di coniugare un’elevatissima capacità di ingestione alimentare rispetto alle sue dimensioni corporee, potendo mantenere un ambiente ruminale nei limiti fisiologici. Il rispetto di questi limiti è un prerequisito per garantire il rapporto simbiotico che esiste tra il ruminante e i microrganismi ruminali.
Il rumine deve assicurare ai microrganismi un ambiente povero di ossigeno, con un pH neutro o leggermente acido, una temperatura costante e un apporto adeguato di acqua e di sostanza organica digeribile. Inoltre il rumine deve provvedere all’assorbimento costante degli acidi grassi volatili, all’eliminazione degli scarti metabolici e dell’alimento indigeribile. Una condizione fondamentale per l’efficienza del sistema è che riesca a trattenere le particelle alimentari per un tempo superiore al tempo di rigenerazione microbica.
Il rispetto di questi limiti è reso sempre più difficoltoso dagli attuali sistemi di alimentazione e dalle condizioni di stalla non sempre ottimali. L’elevato fabbisogno energetico degli animali ad alta produzione costringe inoltre ad aumentare la densità energetica delle diete con l’impiego di un maggior livello di concentrati, che aumentano il rischio di causare acidosi ruminale.
Misura della SARA
L’acidosi ruminale è una condizione in cui pH ruminale scende al disotto del range fisiologico; ne distinguiamo due forme. La prima, più grave, definita acidosi ruminale acuta che si verifica ogni qualvolta il pH ruminale scende al di sotto di 5.0. La seconda condizione più lieve e frequente è l’acidosi ruminale subacuta (SARA) ed è generalmente definita come una condizione in cui pH ruminale oscilla nell’intervallo da 5.0 a 5.5 per un determinato lasso di tempo nel corso della giornata.
La diminuzione del pH che si verifica nel corso dell’acidosi acuta è correlata ad un aumento del lattato ruminale, mentre la forma subacuta è dovuta all’ accumulo degli acidi grassi volatili. Quest’ultima determina la comparsa di ulteriori effetti negativi come una riduzione dell’ingestione di sostanza secca, un calo sia della produzione lattea giornaliera che del tenore di grasso e una riduzione dell’efficienza alimentare. L’entità di queste perdite varia in base all’animale, al tipo di dieta e a numerosi altri fattori. Per questo la SARA può causare perdite economicamente impattanti sulle aziende da latte.
Ci sono tre principali cause di acidosi subacuta: l’eccessiva ingestione di carboidrati rapidamente fermentescibili, un inadeguato adattamento dell’ambiente ruminale a questo tipo di alimentazione e una diminuzione del pH all’interno del rumine per ingestione insufficiente di fibra con la dieta o inadeguato apporto di fibra efficace. I bovini da latte possono consumare quantità eccessive di carboidrati fermentescibili in due modalità: ingerendo razioni che contengono elevati livelli di concentrati o anche quando la dieta ha livelli medi di concentrati ma l’ingestione è particolarmente alta.
Requisiti minimi di fibra
Il Consiglio nazionale delle ricerche degli Stati Uniti (Nrc) ha stabilito delle linee guida per il razionamento delle bovine da latte in cui è individuato un livello minimo di NDF del 28% della sostanza secca della razione, con un livello di NDF da foraggio del 21% sempre sulla sostanza secca della razione. L’Nrc fornisce tali raccomandazioni sull’NDF perché considera questa misura la migliore per identificare la fibra.
L’NDF considera infatti la quota dei carboidrati strutturali, separandola da quelli non strutturali e comprendendo così la maggior parte dei composti che sono considerati fibra. Nelle linee guida viene inserita anche una soglia per l’NDF da foraggio perché NDF che proviene da fonti non-foraggio si stima abbia solo il 50% dell’efficacia nel promuovere l’attività masticatoria, mantenere il contenuto di grasso del latte e il pH ruminale.
Per questo per ogni punto percentuale in meno di NDF da foraggio, il contenuto totale di NDF dovrebbe essere aumentato di due punti percentuali.
Queste raccomandazioni sono rivolte a bovine nutrite con diete unifeed a base di erba medica o di insilato di mais come foraggi predominanti, aventi un’adeguata dimensione delle particelle e farina di mais come fonte di principale di amido.
pH e capacità tampone
I foraggi sono il principale apportatore di NDF nelle razioni e la loro fermentazione lenta abbinata alle caratteristiche fisiche, sono essenziali per mantenere la salute ruminale. Una riduzione nella digeribilità del foraggio aiuta a mantenere un ambiente ruminale ottimale, diluendo gli effetti di grandi quantità di acidi grassi volatili prodotti dalle fermentazioni dell’amido.
La fibra (NDF) con una lunghezza adeguata è considerata capace di aumentare la masticazione dei bovini, che a sua volta stimola la secrezione salivare di bicarbonato di sodio (NaHCO3) che tampona il contenuto ruminale.
La saliva è una componente estremamente importante per tamponare il rumine, anche perché le bovine in lattazione sono in grado di produrne grandi volumi (> 100 litri) al giorno. Questi composti si associano con gli ioni H+ liberi nel rumine e permettono un controllo del pH.
HCO3- e HPO42- sono tamponi molto efficaci quando il pH è elevato, ma quando il pH scende troppo in basso (circa 5,5) gli acidi grassi volatili diventano il sistema tampone primario nel rumine.
Ci sono una serie di fattori che influenzano la produzione di saliva nella vacca da latte come la dimensione delle particelle, la sostanza secca e il contenuto di NDF da foraggio della dieta. Queste variabili influenzano direttamente la velocità di ingestione e il tempo totale di alimentazione. La velocità di assunzione dell’alimento generalmente diminuisce all’aumentare della dimensione delle particelle, della sostanza secca e del contenuto di NDF in razione, aumentando quindi la saliva secreta per unità di s.s. ingerita.
La misura della PEF, efficacia fisica di un alimento
Per il calcolo della peNDF è stato inizialmente sviluppato un sistema che assegnava valori da 0, per un alimento privo di capacità nel promuovere masticazione, a 1, per un alimento che avesse la massima efficacia nel promuovere masticazione. Un ipotetico fieno lungo di graminacee con il 100% di NDF è stato definito avere un’efficacia fisica di 1 ed è teoricamente in grado di sostenere circa 240 minuti di masticazione per kg di sostanza secca o NDF in animali non in lattazione (ingestione da 0,4 a 2 volte rispetto all’ingestione di mantenimento).
Con questo sistema sono stati classificati vari alimenti, diversi per tipologia e forma fisica, assegnando loro un valore PEF (efficacia fisica di un alimento) che potesse poi essere moltiplicato per il loro contenuto in NDF, per calcolare così il loro valore di peNDF. Questo metodo di assegnazione del valore di peNDF include non solo il contenuto in NDF e la dimensione delle particelle ma anche le differenze nella composizione dell’NDF, il peso specifico e la fragilità, tutte almeno nelle intenzioni dell’autore, parzialmente rappresentati da questa classificazione.
Per esigenze pratiche è stata poi sviluppata una valutazione di laboratorio per la peNDF in cui gli alimenti vengono misurati tramite un setacciatore industriale (sviluppato per l’industria mineraria) che opera con scuotimento verticale (Ro-Tap). La quota percentuale del campione con dimensioni superiori al vaglio di 1,18 mm (1,65 mm come diagonale del foro) viene presa a riferimento per determinare il PEF; quest’ultimo è poi moltiplicato per il contenuto in NDF del campione. Il metodo si basa su tre ipotesi: l’NDF viene distribuita uniformemente su tutte le particelle, l’attività di masticazione è uguale per tutte le particelle trattenute su un setaccio 1,18 mm, e la fragilità non è differente tra le varie fonti di NDF.
La misura della peNDF è ampiamente utilizzata nella nutrizione e nella ricerca. Molti nutrizionisti utilizzano in campo il separatore di particelle Penn State (Psp) con i campioni di alimento fresco compiendo una agitazione dello strumento su un piano.
Un altro problema con l’utilizzo dei dati sulla dimensione delle particelle è che l’Nrc non ha indicato un requisito per la peNDF a causa di una dichiarata mancanza di un metodo standard convalidato per misurare la fibra fisicamente efficace degli alimenti.
Un punto debole nell’uso del metodo peNDF è rappresentato dal fatto che le frazioni NDF di varie dimensioni non sono chimicamente identiche per tutti i foraggi. La composizione in NDF (il rapporto tra emicellulosa: cellulosa lignina) del foraggio varia tra i diversi tipi di foraggio ed è influenzata dalla specie, dalla durata e dal metodo di conservazione. Questa è probabilmente una delle ragioni per le molte contraddizioni presenti in letteratura sugli effetti della peNDF sull’ingestione, sulla produzione di latte, sul contenuto di grasso e sul comportamento alimentare
(*) Università di Bologna. (**) Penn State University, Usa.
Leggi l’articolo completo su Informatore Zootecnico n. 18/2015 L’edicola di Informatore Zootecnico