Per coprire i fabbisogni energetici della bovina da latte è fondamentale garantire un’adeguata base foraggera nella razione; l’energia dei foraggi non è però sufficiente a soddisfare totalmente i fabbisogni energetici della bovina in lattazione. Inoltre, considerando anche i fabbisogni proteici dell’animale, i foraggi, per il loro basso tenore in proteina, sono ben lontani dal soddisfare le richieste degli animali.
L’utilizzo di foraggi con un elevato tenore proteico (leguminose, medica in particolare) è una strategia che consente di diminuire l’apporto di alimenti concentrati di natura proteica, ma è chiaro che l’integrazione con materie prime “concentrate” è indispensabile nel razionamento della bovina da latte. A questo riguardo, i risultati di un’indagine condotta da Zucali et al. (2015) mostrano come, mediamente in stalle da latte della pianura padana, la razione per bovine in lattazione sia costituita per il 56% da foraggi e per il 44% da alimenti concentrati, generalmente somministrati sotto forma di mangimi complementari, con l’eccezione della farina di mais che nelle aziende considerate veniva sempre somministrata anche come materia prima.
Pochi sottoprodotti alternativi
I cartellini dei mangimi complementari di razioni per bovine in lattazione, di aziende visitate in vari progetti condotti dal nostro Dipartimento, evidenziano complessivamente la presenza delle seguenti principali materie prime: farina di soia, fiocchi di soia, farina di semi di girasole, lino estruso, semi integrali di cotone e farina e pannello di estrazione di colza tra le materie prime proteiche e farina di mais, farina d’orzo, crusca di grano tenero e melasso tra le materie prime energetiche.
La farina di estrazione di soia era presente in tutti i mangimi campionati. Al contrario si è evidenziata una bassa presenza di altri sottoprodotti alternativi che potrebbero essere una valida alternativa (totale o parziale) ad altre materie prime per la produzione di latte.
Si evidenzia però come alcuni disciplinari di produzione vietano espressamente l’utilizzo di alcune materie prime (es: farina di colza nel disciplinare di Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Provolone, etc,) limitandone così il potenziale d’uso in certe realtà zootecniche. In Italia, secondo i dati dell’osservatorio del latte (2011), fatta 100 la produzione totale del latte, il 17,6% cento circa viene utilizzato per l’alimentazione umana, il 36,4% per la produzione di formaggi dop (con dunque limiti alle materie prime utilizzabili), il 35,1% per la produzione di formaggi “generici” e la restante parte (6,7%) per autoconsumo e reimpieghi aziendali, confermando quindi l’interesse per fonti proteiche alternative da utilizzarsi nella razione della bovina da latte per molte aziende zootecniche non legate alla trasformazione casearia in formaggi dop.
Le buccette di soia
Per quanto riguarda le fonti energetiche le buccette di soia pelletate, sottoprodotto “alternativo” derivato dalle decorticazione dei semi di soia, sono caratterizzate da un elevato tenore in fibra altamente digeribile.
In figura 1, è riportata la quotazione (euro/tonnellata) per le buccette di soia alla borsa granaria di Milano (marzo 2014 e marzo 2015) rispetto alla farina di mais. Si evince che le buccette di soia hanno una quotazione leggermente superiore alla farina di mais ma, essendo caratterizzate da un tenore in fibra NDF altamente digeribile, sono un’ottima alternativa alla sostituzione parziale della farina di mais qualora si voglia aumentare la quota di NDF della razione, soprattutto quando la qualità dei foraggi non è elevata.
A questo riguardo, Ipharraguerre et al. (2002) hanno evidenziato come un’inclusione di buccette di soia nella dieta di bovine da latte, fino ad una percentuale di circa il 30% della sostanza secca totale della dieta, non penalizzi l’ingestione di sostanza secca e la produzione di latte aumentando però il tenore lipidico dello stesso. In particolare il tenore lipidico del latte è passato da 3,60 a 3,93% rispettivamente per diete senza buccette e per diete con il 30% di buccette.
I risultati di una sperimentazione, condotta presso il nostro Dipartimento (Pirondini et al., 2015), hanno inoltre evidenziato come la sostituzione parziale della farina di mais con buccette di soia abbia consentito di aumentare il tenore lipidico del latte in presenza di un’integrazione lipidica con acidi grassi insaturi, minimizzando così i possibili effetti negativi sulla digeribilità della fibra dovuto all’uso di grassi insaturi.
Fonti proteiche
Per quanto riguarda le fonti proteiche utilizzate in razione, la farina di estrazione di soia (in realtà anch’essa un sottoprodotto in quanto derivata dall’estrazione dell’olio) è ampiamente utilizzata nella razione della bovina di latte. In figura 2 sono riportate le quotazioni della principali fonti proteiche utilizzate nella razione della bovina da latte e la loro variazione nel corso dell’ultimo anno. Seppure i prezzi siano in discesa, è evidente come gli alimenti proteici sono quelli che incidono maggiormente sul costo della razione alimentare.
È abbastanza difficile, in un’azienda zootecnica “intensiva”, immaginare la sostituzione totale della farina di soia con altre fonti proteiche; nonostante ciò, quando possibile, è auspicabile massimizzare l’uso di foraggi di leguminose di elevata qualità (erba medica insilata in particolare). Uno studio americano (Brito e Broderick, 2006) ha incrementato la percentuale di insilato di medica in razione a discapito della farina di soia e dell’insilato di mais ottenendo una produzione di latte di 41,5 kg/d per una dieta con il 51% di insilato di medica, il 2,95% di farina di estrazione di soia e il 43,3 % di pastone di mais rispetto ad una produzione di 39,5 kg/d per una razione con il 10% di insilato di medica, il 16,1% di farina di estrazione di soia, il 40% di insilato di mais e il 30,5% di pastone. Questo esempio è stato riportato per indicare l’importanza di aumentare il più possibile, compatibilmente con la propria realtà aziendale, l’approvvigionamento in materie prime proteiche.
Va però evidenziato un’altra volta che l’autosufficienza per la proteina è difficilmente realizzabile nell’azienda zootecnica. Inoltre, va evidenziato anche come l’Unione Europea sia altamente dipendente dai mercati esteri per l’approvvigionamento delle proteine, aumentando così la carbon foot print per la produzione di un chilogrammo di latte. Secondo quanto riportato da Colombini et al. (2015) in un’analisi di scenario, la produzione/acquisto dei concentrati è la seconda voce, dopo la produzione di metano enterico, a cui è imputabile la maggiore emissione di gas ad effetto serra (29% circa del totale dei gas serra globalmente emessi per la produzione di 1 kg di latte).
Per confrontare più correttamente tra loro i prezzi delle fonti proteiche è importante rapportarli al costo unitario per punto proteico.
In figura 3, è rappresentato il costo per punto di proteina (euro/kg) delle maggiori fonti proteiche impiegate in zootecnia. Questo costo è stato stimato in funzione delle quotazioni attuali e stimando il contenuto proteico degli alimenti da valori tabulati dalla banca dati on-line di feedipedia (www.feedipedia.org).
Il pisello è la materia prima con il costo maggiore per punto proteico, attenzione però perché questo alimento apporta anche importanti quantitativi di amido e, conseguentemente risulta penalizzato in questa valutazione. Tra le altre fonti la farina di estrazione di soia ha un prezzo superiore rispetto a colza e girasole (87, 68 e 66 centesimi/kg di proteina rispettivamente per soia, colza e girasole); questa valutazione però non tiene conto del diverso profilo in aminoacidi che caratterizza la proteina.
Alla luce delle più moderne tecniche di razionamento è perciò importante una valutazione anche alla luce del tenore in lisina e metionina, i due aminoacidi maggiormente limitanti la produzione di latte.
In figura 4 e 5, sono riportati i costi unitari per kg di lisina e metionina, rispettivamente. La farina di estrazione di colza ha dei costi decisamente interessanti rispetto alle altre fonti proteiche; il girasole invece, la fonte proteica con il minor costo unitario per kg di proteina, è notevolmente svantaggiato per quanto riguarda il costo espresso per kg di lisina, dato lo scarso tenore in lisina che caratterizza questo alimento (3,5% della proteina, Feedipedia, 2015).
Anche il rapporto tra lisina e metionina è importante per valutare la qualità della proteina; questo rapporto è pari a 2,6 (farina di estrazione di colza), 1,5 (farina di estrazione di girasole) e 4,4 per la farina di estrazione di soia; un valore ottimale è nell’intorno di 3,1 e anche per questo parametro la colza dimostra avere un profilo in aminoacidi ben bilanciato. La farina di estrazione di colza si pone quindi come una fonte proteica altamente interessante soprattutto per la produzione di latte alimentare per il consumo diretto o per la produzione di formaggi non legati a una dop.
Negli ultimi anni sono stati condotti numerosi studi per valutare l’uso di colza nella razione della bovina da latte. Tra questi studi si riportano in tabella 1, i risultati ottenuti da Brito e Broderick (2007) che hanno evidenziato come l’impiego di farina di estrazione di colza non abbia influenzato negativamente l’ingestione e la produzione di grasso e proteina del latte, aumentando la produzione giornaliera di proteina del latte rispetto a soia e altre fonti proteiche.
In conclusione
In conclusione, nella formulazione della razione è fondamentale massimizzare la quota foraggera (foraggi di qualità) e utilizzare foraggi dall’elevato tenore proteico.
Nella scelta delle materie prime per la formulazione dei mangimi, a seconda della “destinazione” del latte, è importante valutare i costi e rapportarli anche alla qualità della proteina con particolare attenzione al profilo amminoacidico e alla degradabilità ruminale della stessa.
* L’autore è dell’Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Scienze animali.
Visualizza l'intero articolo pubblicato su Informatore Zootecnico n. 7/2015