Articolo 5: “Il rilascio di nuove autorizzazioni nel territorio nazionale per l’apertura di allevamenti intensivi è sospeso. Ed è, altresì, fatto divieto di aumentare il numero dei capi allevati negli allevamenti esistenti”.
Non si tratta dell'articolo di una legge, per fortuna, ma ancora soltanto di quello di una proposta di legge, la Proposta di legge n. 1760. Questa era stata presentata in Parlamento il 6 marzo scorso su input di alcune associazioni ambientaliste, con l’intenzione di “riconvertire” la zootecnia italiana.
Riconvertirla in modo anti-produttivo, come si può ben vedere scorrendone il testo. Lo troviamo a questi due link, che conducono al sito internet della Camera:
https://www.camera.it/leg19/126?tab=&leg=19&idDocumento=1760&sede=&tipo=
https://documenti.camera.it/leg19/pdl/pdf/leg.19.pdl.camera.1760.19PDL0081810.pdf
Cronologia senza intoppi
Più che nei contenuti, già ascoltati in tante occasioni negli interventi pubblici degli ambientalisti più oltranzisti, la notizia consiste forse nella cronologia dell’iter della proposta di legge. Ossia nel fatto che questa sta andando avanti senza intoppi: dopo pochi mesi dalla sua presentazione è già stata assegnata (26 luglio) alla commissione Agricoltura della Camera.
La tempistica che il testo della proposta sta seguendo può suscitare l’invidia, o l’ammirazione, di chi in passato ha portato avanti altre iniziative legislative:
22 febbraio 2024: Con una conferenza stampa organizzata presso la Camera dei Deputati, Greenpeace Italia, Isde - Medici per l’ambiente, Lipu, Terra! e Wwf Italia il 22 febbraio scorso hanno presentato a parlamentari e giornalisti “una normativa per una transizione ecologica del nostro comparto zootecnico”. Più precisamente una proposta di legge dal titolo “Oltre gli allevamenti intensivi. Per una transizione agro-ecologica della zootecnia”.
Le associazioni hanno spiegato che “gli eventi climatici estremi sempre più frequenti e le pesanti ricadute sulla qualità dell’aria, dell’acqua e del suolo impongono la ricerca di una nuova efficienza alimentare che prediliga produzioni a più basso consumo di risorse e con minori impatti ambientali, sociali e sanitari”.
6 marzo 2024: Senza indugio, dopo sole due settimane un gruppo di 21 deputati ha “presentato” alla Camera la proposta di legge di cui la foto qui accanto mostra la prima pagina. Proposta di legge ordinaria il cui titolo diventa un po’ più felpato. Infatti viene aggiunto l’aggettivo “progressiva” alle più dirette parole del titolo del documento di febbraio: “Disposizioni in materia di riconversione del settore zootecnico per la progressiva transizione agroecologica degli allevamenti intensivi”.
26 luglio 2024: Infine prima del black out parlamentare agostano la proposta di legge è stata “assegnata” alla XIII Commissione Agricoltura in sede referente, la data è il 26 luglio.
Ora che i legislatori sono tornati dalle vacanze vedremo quando si verificherà il quarto passaggio.
Bipartisan
Ma non è solo la tempistica ultra-fast a risultare un po’ inquietante. È tale anche la caratteristica bipartisan del gruppo dei 21 deputati che hanno avanzato la proposta: Eleonora Evi è del Pd, Michela Vittoria Brambilla è di Noi Moderati, Deborah Bergamini è di Forza Italia, Angelo Bonelli è di Alleanza Verdi e Sinistra, e così via.
Ma cosa ne pensano i protagonisti del settore zootecnico? Il commento del professor Carlo Angelo Sgoifo Rossi, dell’Università di Milano, è riportato più sotto, in corsivo.
Quello del professor Giuseppe Pulina dell’Università di Sassari, intervenuto nella sua qualità di presidente di Carni Sostenibili, è invece il seguente.
Pulina: cibi più costosi
Sul sito di Carni Sostenibili il docente sassarese sostiene che uno “smantellamento del sistema zootecnico italiano” come quello prefigurato da questa proposta di legge porterebbe in sintesi a rischi come questi: “Cibi più costosi, un danno alle fasce della popolazione più fragile, distruzione di intere filiere agroalimentari che aiutano l’export italiano nel mondo, perdita di valore e di posti di lavoro, diminuzione della biodiversità per aumento della pressione produttiva sui terreni rinaturalizzati, perdita di capitale fisico e umano in un settore strategico quale quello dell’agroalimentare di alta qualità, riduzione degli standard di benessere e sanità animale che sono decisamente più controllabili in allevamenti protetti piuttosto che in cima alle montagne in territori desertificati”.
Senza contare, continua Pulina, l’impatto carbonico: “Gli allevamenti contribuiscono al 5,8% dell’impronta climalterante attuale in Italia”, secondo Ispra. “La loro estensivizzazione comporterebbe un aumento diretto delle emissioni”. Gli animali dei piccoli allevamenti, infatti, producono poco.
Inoltre, continua il presidente di Carni Sostenibili, chiudere gli allevamenti protetti genererebbe anche un aumento indiretto delle emissioni dovuto all’import di alimenti prodotti in altre aree con maggiori impatti.
Sei fake news
In particolare, aggiunge Giuseppe Pulina sul sito di Carni sostenibili sempre commentando la proposta di legge, “sono molte le fake news che inquinano il dibattito e impediscono lo sviluppo di una riflessione libera e basata su evidenze scientifiche”. Ne ha evidenziate almeno sei:
1. Gli allevamenti intensivi sono più inquinanti di quelli estensivi. È falso, afferma Pulina. Dal 1980 ad oggi l’Italia “ha ridotto della metà l’impronta carbonica, azotata e fosfatica dell’allevamento bovino da latte grazie all’intensivizzazione intelligente. Abolire gli allevamenti tecnologici per tornare al 1980 significherebbe immettere nell’aria il doppio della CO2 e far confluire nei terreni il doppio dell’azoto, nonché mettere a rischio chiusura le filiere dei nostri più importanti formaggi dop. Le stesse considerazioni valgono anche per le filiere della carne bovina, il suino e il pollo”.
2. Gli allevamenti intensivi consumano terra. È falsa anche questa informazione, continua Pulina su Carni Sostenibili. Infatti “la terra coltivata non si consuma, anche quella che è usata per nutrire agli animali”.
3. La transizione verso gli allevamenti estensivi aiuterà la biodiversità. “Falso: l’intensivizzazione intelligente della zootecnia nazionale e della sua agricoltura ha liberato enormi superfici marginali che sono state rinaturalizzate, mentre le produzioni zootecniche sono rimaste costanti”.
4. Gli allevamenti più intensivi non rispettano il benessere animale. “Falso: chiunque abbia a che fare con gli animali zootecnici - sostiene Pulina - può facilmente dimostrare il contrario. È molto più difficile garantire il benessere nell’estensivo, a differenza del protetto. Pretendere l’accesso esterno agli animali incondizionatamente significa non solo mettere a repentaglio la salute di questi e degli operatori, ma anche non tenere conto delle specifiche condizioni di allevamento e della stagionalità degli stress termici che compromettono il benessere degli animali”.
5. Ridurre il numero di capi per ettaro, vietare ulteriori aumenti delle consistenze e incentivare i piccoli allevatori, anche riducendo il numero totale di capi allevati in Italia, è la via maestra della sostenibilità ambientale. Falso: “Tutte queste azioni, promosse senza alcuna base scientifica, si dimostreranno controproducenti per l’ambiente, anche perché la stima dei carichi reali e la demolizione del patrimonio zootecnico nazionale avrebbero conseguenze drammatiche nel breve periodo: carenze alimentari con dipendenza da paesi terzi, effetti diretti sull’inflazione e sul carrello della spesa per le famiglie meno abbienti, chiusura di intere filiere del valore, le dop in primis”. Inoltre “chiudere gli allevamenti italiani non farebbe altro che esternalizzare gli impatti ambientali oltrefrontiera”.
6. Gli allevamenti sono i principali responsabili delle particelle inquinanti PM2,5. Anche in questo sesto caso “siamo davanti a una notizia totalmente infondata”, afferma Pulina sempre su Carni Sostenibili. Secondo Ispra “gli allevamenti su scala nazionale contribuiscono al 2,5% del totale delle emissioni di PM2,5 contro il 64% del residenziale, si veda ad esempio l’impatto del riscaldamento domestico”.
Sgoifo Rossi: a rischio l’economia
Fin qui dunque il commento del professor Giuseppe Pulina, rilasciato nella sua qualità di presidente di Carni Sostenibili. Ma un altro opinion leader di punta del settore zootecnico, il professor Carlo Angelo Sgoifo Rossi dell’Università di Milano, si è espresso su questa proposta di legge.
Lo ha fatto mediante un testo firmato da lui e consegnato in esclusiva all’Informatore Zootecnico, che riportiamo sotto in corsivo, nel quale in sintesi afferma che la proposta “è in grado di mettere in ginocchio non solo la zootecnia ma anche l’equilibrio economico e sociale”.
“Un incubo”
Scrive dunque il professor Sgoifo Rossi:
La proposta di legge n. 1760 relativa a “Disposizioni in materia di riconversione del settore zootecnico per la progressiva transizione agroecologica degli allevamenti intensivi”, presentata da 21 parlamentari il 6 marzo 2024, è la rappresentazione concreta di un incubo in cui la zootecnia italiana viene irrimediabilmente devastata e con essa il territorio, migliaia di imprese, centinaia di migliaia di lavoratori e milioni di consumatori e dove tutti i falsi buoni propositi e falsi vantaggi in essa riportati si trasformano invece in un disastro ambientale, sociale ed economico.
È sì, proprio così, una proposta di legge sulla transizione ecologica che invece dilania proprio i tre pilastri (ambiente, società, economia), alla base del riconosciuto e condiviso concetto di sostenibilità. Non è pertanto esagerato definirla un incubo ma bensì limitante considerando che in un momento di distrazione dei nostri bravi e saggi rappresentati parlamentari potrebbe venire accolta, con conseguenze irrimediabili per l’intero paese.
La proposta di legge mira (o meglio dice di mirare) a tutelare l’ambiente, la salute umana, la biodiversità, gli ecosistemi e il benessere animale, in sintesi attraverso le principali seguenti azioni:
1) impedendo l’apertura di nuovi allevamenti intensivi e riducendo il numero degli animali in essi allevati,
2) promuovendo la nascita e lo sviluppo di nuove piccole aziende intendendo per esse quelle con un carico non superiore alle 2 unità di bestiame adulto per ettaro e con accesso continuo e volontario all’aperto,
3) disciplinando una corretta gestione degli allevamenti (compatibile con la salute, l’ambiente e il benessere animale) e introducendo incentivi economici per le aziende che mirano alla tutela della biodiversità, alla circolarità dei prodotti, delle risorse e dei nutrienti e alla diminuzione della competizione alimentare tra le persone e gli animali.
La premessa
Già soltanto la premessa (è sempre Sgoifo Rossi che parla) pullula di informazioni false e fuorvianti e di considerazioni senza senso. Ad esempio:
- Sembra che esclusivamente la zootecnia intensiva dipenda da “fattori esterni” quali energia, mangimi e acqua, come se gli animali nelle piccole aziende o all’”aperto” non mangino, non bevano e non richiedano energia (ricoveri, coltivazione, gestione, ecc.). Non considerando inoltre un aspetto fondamentale ai fini dell’impatto sull’ambiente e cioè l’efficienza produttiva, almeno doppia negli allevamenti intensivi rispetto a quelli estensivi.
- Si afferma che il 70% dei terreni agricoli europei è destinato all’alimentazione animale, come se fosse un aspetto fine a sé stesso e non invece che tali animali producano poi alimenti nobili e indispensabili per la salute dell’uomo.
- Si paragona persino la quantità di proteine prodotte da un ettaro di cereali o legumi a quelle della carne ottenuta su una superficie equivalente, senza considerare il valore biologico della proteina ma, ancor più grave, il valore nutrizionale complessivo della carne, come dopotutto di latte o uova.
- Si accusa il settore dell’allevamento di essere la principale causa climalterante quando invece è ufficialmente riportato, documentato e consolidato che esso contribuisce solo per il 5,8% dell’impronta carbonica complessiva in Italia.
- A riguardo, e speculando sulla salute pubblica, si attribuisce al settore zootecnico la principale responsabilità di emissioni di particelle inquinanti PM 2,5, quando gli allevamenti contribuiscono invece solo per il 2,5% su scala nazionale rispetto, ad esempio, al 64% del settore residenziale, riportando inoltre i dati dei decessi connessi a tali emissioni non certamente ascrivibili alla zootecnia, come un tragico bollettino di guerra in grado di terrorizzare chiunque.
Si mettono persino in discussione le abitudini alimentari del consumatore italiano e pertanto la dieta mediterranea, riconosciuta invece tra le più salutari e persino patrimonio dell’Unesco.
Ancora, si indica come requisito minimo per il benessere il concetto di estensivo quando è oramai chiaro e dimostrato che è nell’allevamento confinato che gli animali godono del miglior benessere, della miglior salute, della maggior tutela e anche garanzia sanitaria per il consumatore.
Comunque sia, si cerca di far credere che gli allevamenti intensivi siano la causa principale dell’inquinamento e relativo cambiamento climatico e si siano sviluppati esclusivamente per causare la morte dei piccoli allevamenti e che la loro limitazione sia l’unica salvezza per l’ambiente e la biodiversità.
Cosa sfugge ai proponenti
L’intervento di Sgoifo Rossi continua così:
A riguardo, sembra che ai proponenti passi inosservato che il settore della carne bovina sia autosufficiente solo per circa il 45%, evidenziando una fondamentale necessità di ampliamento con riflessi positivi su tutti e tre i pilastri della sostenibilità e che una contrazione degli allevamenti e dei capi allevati nel settore lattiero caseario, suinicolo e avicolo si rifletta in una crisi economica e sociale senza precedenti per il nostro paese.
Gli allevamenti di piccole dimensioni si sono ridotti grazie alla mancanza in passato di azioni concrete in grado di sostenerli e promuoverli e alla miopia politica di allora, che oggi rischia nuovamente e ulteriormente di mettere in ginocchio il comparto. Nel 1990 i bovini in Italia erano oltre 11 milioni mentre oggi, in soli 30 anni, sono meno della metà con un abbandono delle zone rurali drammatico a favore di quelle urbanizzate da cui dipende il reale impatto ambientale.
Gli allevamenti intensivi, o come sarebbe meglio chiamarli confinati e protetti, si sono inoltre sviluppati non a scapito delle piccole realtà o di quelle estensive ma solo ed esclusivamente per far fronte ad una crescente domanda che in futuro risulterà problematica da soddisfare.
E si propone di ritornare ad un passato che non solo porterebbe a carestia e squilibri sociali ma anche a drammatiche conseguente di tipo ambientale. L’impronta carbonica, azotata e fosfatica della zootecnia italiana si è infatti ridotta di ben il 50% dagli anni ottanta ad oggi e grazie ad un sistema produttivo efficiente e tecnologico.
La specializzazione degli allevamenti ha inoltre consentito una riforestazione all’epoca inimmaginabile con un aumento dei boschi che sono passati da 5,6 milioni di ettari a oltre 11 milioni, garantendo una tutela e uno sviluppo della biodiversità senza pari.
Vincoli al consumatore
Ma i paradossi e le assurdità, conclude Sgoifo Rossi, sembrano non avere limiti quando all’Articolo 4 della proposta si legge non solo che “la riorganizzazione produttiva degli allevamenti intensivi deve basarsi sulla riduzione del numero di capi sul territorio…” ma anche “…senza l’incremento dell’approvvigionamento di animali e carni dall’estero”!
Ciò significa, oltre a uno sconquasso del mercato e dell’economia di settore, che il consumatore, come in un vero regime, non potrà più alimentarsi come crede sottostando a restrizioni ed obblighi su quali alimenti comprare e come nutrirsi.
In definitiva, questa proposta è in grado di mettere in ginocchio non solo la zootecnia italiana ma l’intero equilibrio economico e sociale del nostro paese, senza portare alcun miglioramento in termini ambientali e di salute degli animali da allevamento ma bensì causando gravi ripercussioni ecologiche, climalteranti e di benessere animale solo ed esclusivamente per un’ideologia animalista e ambientalista che non ha niente di etico e di concretamente utile ma che anzi è capace di causare un danno enorme, all’uomo, all’ambiente e agli animali sia da reddito che selvatici.