Lo sviluppo della carne bovina biologica e in genere di questo tipo di zootecnia è strettamente legato a diversi strumenti di sostegno strategico al comparto, come le risorse del Piano strategico della Pac, dei contratti di filiera del Pnrr e le azioni previste dal Piano d’azione nazionale per lo sviluppo del biologico. Questi interventi dovranno stimolare iniziative di aggregazione della filiera così da promuovere e migliorare la produzione.
È questa una delle conclusioni del report pubblicato di recente da Ismea sulla catena del valore della filiera carne bovina biologica. Sono più alti, come margini, secondo Ismea, gli allevamenti che fanno vendita diretta in un’ottica di filiera integrata.
Anche le prospettive di crescita sono da considerarsi interessanti perché la maggior parte della carne bio rappresenta ancora oggi una piccola quota della produzione totale di un allevamento. I margini, ovviamente, crescono se le imprese intensificano gli investimenti e gli sforzi necessari per impostare e gestire una filiera integrata verticalmente. Conta anche la dimensione dell’azienda, la collocazione geografica e la vicinanza e l’interesse dei mercati.
Si assiste spesso, inoltre, a una mancata valorizzazione della produzione biologica legata al mercato, agli impedimenti logistici, ai costi e all’impossibilità di alcuni macelli di potersi certificare. Anche dove la carne si fregia della certificazione, il differenziale di prezzo tra bio e convenzionale è, secondo alcuni allevatori, insufficiente e non in grado a spingere verso il biologico.
Bovini biologici, in Italia circa 400mila capi
Sono circa 400mila i capi bovini biologici (latte e carne) in Italia nel 2021 pari a circa il 7% del patrimonio bovino complessivo e 4.874 gli allevamenti (secondo il censimento Ista 2010). Di questi capi 160mila sono in allevamenti da carne o misti. Prevalgono le aziende di piccola dimensione a conduzione familiare (la media dei capi presenti si colloca sui 21-22 capi) anche se non mancano allevamenti di dimensioni ben più consistenti.
La dimensione intermedia può, invece, non consentire, per esempio nel caso degli allevamenti integrati, di rifornire la grande distribuzione e rendere, allo stesso tempo, difficile anche la vendita diretta.
I numeri principali della filiera bovina biologica nel 2019
Fonte: elaborazioni e stime Ismea su dati Istat, Anagrafe nazionale zootecnica e informazioni degli operatori
Il differenziale di prezzo ancora un deterrente
Chi entra in questa filiera lo fa per motivi etici e ideologici o per ricevere i contributi pubblici. Più recentemente, stanno, tuttavia, emergendo allevatori che hanno convertito le aziende per precisa scelta imprenditoriale.
Il differenziale di prezzo tra biologico e convenzionale è ritenuto da molti produttori insufficiente per fare fronte alle spese da sostenere, probabilmente a causa di una domanda troppo debole. Questa percezione è cresciuta nel primo semestre del 2022.
Tra le barriere al biologico il timore di fare un salto nel vuoto, ossia di produrre con una complessità maggiore e a un costo superiore senza la sicurezza di spuntare un prezzo sufficiente sul mercato.
L'Italia, in termini di costi, non è competitiva rispetto a un capo biologico polacco o austriaco, tanto che la distribuzione si rivolge anche alla carne estera, che ha prezzi inferiori. La filiera è resa complessa proprio dal flusso in entrata proveniente da altri paesi.
Filiera integrata, analisi dei costi e del valore
Fonte: Ismea
Prezzi di vendita stabili a fronte di una crescita dei costi
Un problema attuale è dato dal consistente incremento dei costi di produzione (in particolare cereali ed energia) a fronte di prezzi di vendita rimasti sostanzialmente stabili.
Il mercato finale della carne bovina biologica italiana si colloca attorno alle 8mila tonnellate, per un valore, stimato in base ai prezzi al consumo di 160 milioni di euro, ossia lo 0,8% della carne bovina complessivamente consumata.
Domanda in lieve progresso, più interesse per il bio
La domanda della carne bovina biologica è in leggera crescita in termini di quantità. Se da un lato, infatti, il consumo di carne rossa è in fase di contrazione, dall’altro, è aumentato l'interesse verso il biologico per una maggiore sensibilità del consumatore verso salute e alimentazione. Non si può, tuttavia, ignorare un problema, sottolineato da diversi operatori: parte dei consumatori biologici sono vegani o vegetariani, e vivono quindi con indifferenza la presenza di carne bovina biologica.
Anche per questo che la carne bovina biologica ha una presenza sugli scaffali poco rilevante e gli stessi punti vendita specializzati nel bio hanno un numero di referenze ridotto, o, in certi casi, non la trattano affatto.
Carne biologica, perdita di valore aggiunto
Non essendovi una domanda vivace di biologico, talvolta la carne proveniente da capi biologici viene venduta come convenzionale, perdendo così il valore aggiunto. In altri termini, essendo in Italia l’organizzazione della filiera bio piuttosto carente, una parte degli allevatori si certifica bio, poi vende il prodotto come convenzionale in quanto è difficile fare un percorso di filiera senza un’organizzazione efficiente.
Se la destinazione è l’ho.re.ca o una parte della Gdo, poi, spesso non si riescono a utilizzare tutte le parti del capo come bio, per cui le restanti sono vendute come carne convenzionale.
Molte grandi imprese di macellazione non hanno linee biologiche o al massimo linee bio con quantitativi veramente minoritari rispetto al loro volume di attività. Le imprese di macellazione italiane che macellano capi bovini biologici si stima siano comprese in un range fra le 60 e 70 unità, includendo sia gli impianti che macellano in conto proprio, sia quelli che macellano in conto terzi.
Filiera lunga e filiera integrata
Lo studio dell’Ismea ha affrontato due modelli per l’analisi dei costi e della catena del valore:
- la filiera non integrata, o filiera lunga, composta a monte da allevamenti a ciclo chiuso e a valle da imprese di macellazione e sezionamento o lavorazione (come attività in conto proprio); nella filiera lunga, quindi, gli allevamenti non sono integrati a valle e vendono i capi vivi a grossisti o a imprese di macellazione;
- la filiera integrata, costituita dagli allevamenti (anche a ciclo chiuso) che si occupano anche delle attività a valle rispetto a quella zootecnica, quindi della macellazione e del sezionamento della carne, e naturalmente della commercializzazione della carne.
Questa seconda tipologia è costituita da aziende zootecniche biologiche che vendono una parte significativa della loro produzione in canali commerciali corti o diretti.