L’allevamento del bovino da carne in Italia, nonostante una crescente attenzione verso la linea vacca vitello, continua a dipendere totalmente dalla Francia per l’approvvigionamento di giovani bovini da inviare all’ingrasso. L’inevitabile trasporto, la lunga distanza, il rimescolamento con altri soggetti, le variazioni ambientali, sociali e gestionali, nonché la manipolazione e l’interazione con l’uomo per gli interventi di profilassi sanitaria e la formazione di gruppi omogenei (Arthington et al., 2003; Sgoifo Rossi et al., 2013) rappresentano cause di stress in grado di causare un’immunosoppressione proporzionale all’entità dello stress provocato dagli eventi stessi.
Diversi studi evidenziano come lo stress induca un rilascio di glucocorticoidi che a seconda della durata e severità dell’evento stressante stimola o inibisce, nel suo complesso, la capacità di risposta immunitaria innata dell’organismo (Burdick et al., 2001). Uno stress significativo, come indubbiamente lo è quello percepito da un giovane bovino da ristallo, induce nell’organismo una risposta di fase acuta, paragonabile a quella che si verifica in caso di malattia o di grave ferita, che porta ad un aumento della temperatura corporea e all’alterazione del metabolismo e del normale comportamento (Arthington et al., 2008).
Si assiste anche ad una marcata riduzione sia dell’assunzione di alimento che dell’efficienza digestiva, dal momento che il rilascio dei glucocorticoidi e in particolare delle catecolamine, porta ad una riduzione della motilità ruminale e ad un aumento del transito a livello intestinale (Hughes et al., 2014; Hutcheson and Cole, 1986).
La malattia respiratoria bovina
L’animale si trova pertanto in una situazione già di per sé critica alla quale si abbina l’esposizione a nuovi e numerosi patogeni conseguente all’interazione con un ambiente diverso ma in particolare con bovini di diversa provenienza.
L’insieme di tali condizioni espone l’animale al rischio di colonizzazione e proliferazione di patogeni in grado di provocare stati patologici tra cui la malattia respiratoria bovina (BRD), la problematica più comune e grave nel bovino da carne da ristallo in tutto il mondo.
La BRD, oltre ad essere una delle maggiori cause di morbilità e mortalità nell’allevamento del bovino da carne è anche responsabile di una grave riduzione dell’incremento ponderale medio giornaliero, dell’indice di conversione alimentare e della qualità del prodotto finale carne, con una penalizzazione che nell’insieme risulta severa per il bilancio economico dell’allevamento.
La riduzione della crescita in caso di patologia respiratoria, proiettata sull’intero ciclo di allevamento, si attesta infatti su valori medi che vanno dai 150-200 g/giorno, con punte di oltre 300 g in caso di ricaduta (Sgoifo Rossi et al., 2013).
A livello di mezzena si assiste ad una diminuzione del peso tra il 5 e 10% ma anche dello stato di ingrassamento che, in tali casi, difficilmente riesce a raggiungere il livello minimo attualmente apprezzato e richiesto dal mercato (Seurop – stato di ingrassamento 3, mediamente importante).
Un obiettivo europeo
Proprio in considerazione del suo significativo impatto sul benessere animale e sull’economia aziendale, in passato era uso sottoporre a trattamento antibiotico l’intera partita quando il rischio di diffusione della malattia risultava già evidente il primo o il secondo giorno dall’arrivo, limitandone sia la diffusione che la gravità ma anche quel suo drammatico serpeggiare tra box adiacenti se non vi è la presenza di una separazione fisica efficace.
L’obiettivo europeo di ridurre l’utilizzo degli antimicrobici in zootecnia per interrompere la continua crescita delle antibiotico resistenze nell’uomo (Figura 1), ha portato ad una drastica “stretta” nell’utilizzo degli antimicrobici negli animali da allevamento limitandone l’utilizzo strettamente ai soggetti che risultano clinicamente chiaramente colpiti, e vietandone invece l’estensione a quelli con un quadro clinico dubbio o a rischio.
Ne risente il benessere
Nonostante non ci si voglia dilungare nel trattare quali siano le reali responsabilità nello sviluppo e crescita delle antibiotico resistenze (Figura 2), argomento tra l’altro già ampiamente affrontato sul numero 18-2019 dell’informatore Zootecnico, non possiamo però esimerci dal denunciare come un tale approccio comprometta in maniera drammatica il benessere animale, portando ad un aumento sia della mortalità che della gravità delle problematiche sanitarie.
Tale tesi non trova conferma solo dalla “voce” dei veterinari buiatri ma anche nella bibliografia scientifica (Tabella 1).
L’accanimento nel demonizzare il trattamento antibiotico di un’intera partita anche in presenza di un’effettiva e concreta necessità non riguarda solo le istituzioni, eventualmente giustificate dall’obiettivo riduzione degli antimicrobici, ma anche alcune filiere che vedono nell’”antibiotic free” una possibilità di marketing di indiscusso interesse per il consumatore, senza però considerare i drammatici riflessi che ciò può comportare in termini di benessere animale e nello specifico di mortalità, morbilità e gravità dell’evento patologico.
Antimicrobici nella filiera del bovino da carne
A riguardo risulta indispensabile chiarire una volta per tutte che nell’allevamento italiano del bovino da carne, gli antibiotici non vengono certo utilizzati per compensare o mascherare carenze strutturali e gestionali o per semplificare o velocizzare il lavoro in allevamento di controllo e cura degli animali, ma bensì per contenere diffusione e gravità della patologia respiratoria che, nel periodo a rischio tra fine ottobre a fine febbraio, è in grado di compromettere in modo drammatico il benessere animale.
La cura di un bovino sanitariamente in difficoltà è un dovere tanto quanto lo è contenere e prevenire il rischio sanitario in un contesto in cui il rischio è certo e conclamato.
E’ comunque indiscutibile che l’utilizzo degli antibiotici nel ristallo del bovino da carne e in particolare del ricorso al trattamento dell’intera partita di nuovo arrivo, può e deve essere ridotto intervenendo su numerosi fattori riconosciuti in grado di limitare rischio e diffusione dei patogeni. A riguardo i punti su cui intervenire sono veramente numerosi anche se quelli dotati di maggior impatto non dipendono purtroppo dai nostri allevatori ma dallo “storico” del bovino e cioè dalla sua gestione nelle aziende di origine e nei centri di raccolta oltre ai suoi spostamenti prima dell’arrivo nelle aziende italiane.
Nonostante ciò, è indiscutibile che l’ottimizzazione della gestione e delle strutture negli allevamenti di destinazione è comunque in grado di determinare cambiamenti radicali nell’incidenza e severità delle problematiche sanitarie.
Tali interventi se potenzialmente attuabili in termini di gestione, richiedono però e nella maggior parte delle realtà italiane, cambiamenti strutturali radicali che il più delle volte si rivelano insostenibili per il considerevole impegno economico che richiedono. Si pensi ad esempio al costo necessario per la realizzazione di strutture specifiche per la quarantena che consentano sia di garantire ampio spazio per ogni bovino ma anche di suddividere la partita in numerosi sottogruppi caratterizzati da bassa numerosità, dimensionandole infine in modo che gli animali vi possano permanere per almeno 30 giorni.
Oltre a questo, va considerata la realizzazione di un corridoio specifico dotato di cattura con blocca e solleva testa, nonché di pareti mobili per “stringere” delicatamente l’animale, riducendogli in questo modo lo stress come scientificamente dimostrato da tempo dalla professoressa Temple Grandin (www.grandin.com).
Accettabile in rapporto ai benefici effetti
Certo è che indipendentemente dalla presenza di strutture e management ottimali, il trattamento di un’intera partita di animali di nuovo arrivo, in presenza rischio sanitario, riduce in maniera importante mortalità e morbilità a fronte di un aumento del consumo di antimicrobici che nel settore del bovino da carne da ristallo può ritenersi comunque accettabile in rapporto ai benefici effetti che invece ha in termini di benessere animale.
Tale affermazione può risultare anacronistica in un contesto dove la riduzione del farmaco è indiscutibilmente un obiettivo fondamentale e prioritario, se non si contestualizza il reale consumo di antimicrobici in relazione alla specie allevata.
E’ infatti emerso da una recente indagine effettuata nelle nostre realtà produttive che il consumo di antibiotico tra il trattamento dell’intera partita in caso di effettiva necessità (oltre il 15% dei bovini con sintomatologia clinica conclamata), rispetto ad attuare il trattamento in casi veramente estremi (oltre il 35% dei bovini con sintomatologia clinica conclamata) porta ad una riduzione marginale dei PCU (mg/kg peso vivo) rispettivamente da 11 a 4 o 7 mg/kg peso vivo (Tabella 2 - Sgoifo Rossi et al., 2019).
Se si considera che il consumo medio di PCU in zootecnia si attesta in Italia su valori di 273 mg/kg e in Europa su 107 mg/kg, ben si comprende come il consumo di antibiotici nel bovino da carne rappresenti già un’eccellenza, pur contemplando con l’obiettivo di tutelare ed ottimizzare il benessere animale, anche il trattamento dell’intero gruppo in caso di effettiva necessità.
La partita critica
E’ comunque comprensibile come il contesto risulti in ogni caso estremamente complesso e conflittuale, in quanto se si obbliga all’eliminazione dell’antibiotico profilassi si penalizza significativamente il benessere animale con un aumento della mortalità, dell’incidenza e gravità delle patologie e della sofferenza per gli animali, andando in netto contrasto con i fondamentali della sostenibilità e con le aspettative e le richieste del consumatore.
D’altro canto, il permettere il trattamento di un’intera partita a rischio sanitario dovrebbe però contemplare una valutazione obiettiva basata su evidenze certe per attribuire ad un gruppo di animali di nuovo arrivo l’appellativo di “partita critica”, con la conseguente autorizzazione al trattamento. Solo in questo modo si eviterebbe un ricorso indiscriminato al trattamento di gruppo, in netto contrasto con l’obiettivo riduzione degli antimicrobici.
A riguardo la definizione di “partita critica” dovrebbe basarsi su indicatori certi di potenziale rischio sanitario della partita, che contemplino aspetti come il trasporto (durata, condizioni, clima), la tipologia di animale (peso, razza e sesso), e la visita degli animali al momento dello scarico e nelle ore successive da parte del Veterinario aziendale, limitando comunque ed in ogni caso il trattamento di gruppo solo al periodo caratterizzato da maggior rischio di problematiche sanitarie che nel bovino da carne va da fine ottobre a fine febbraio.
Inoltre, e al fine di limitare i casi di effettiva necessità di antibiotico profilassi nel periodo a rischio ma anche con l’intento di limitare le problematiche sanitarie nei periodi non a rischio, serve una politica di intervento da parte delle istituzioni governative che agevoli gli allevatori ad attuare quelle modifiche strutturali e gestionali sostanziali in grado di ridurre mortalità e morbilità, ottimizzando il benessere animale.
Non da ultimo devono inoltre essere promosse e stimolate tutte quelle strategie in grado di ridurre l’incidenza e gravità delle problematiche sanitarie e conseguentemente del consumo di antibiotici tra cui l’alimentazione durante la fase di adattamento è riconosciuta svolgere un ruolo veramente cruciale.
Le diete di arrivo devono essere pertanto caratterizzate da un livello nutritivo basso, con un tenore proteico ed energetico rispettivamente inferiori al 13% e a 0.88 UFC per kg di sostanza secca, devono apportare una fibra strutturata, ben degradabile ma non selezionabile e devono essere integrate con nutrienti ad azione immunostimolante, antiossidante, pre- e probiotica ed in grado di velocizzare e facilitare il ripristino di condizioni organiche di normalità.
A riguardo diversi studi hanno dimostrato l’efficacia di specifiche sostanze naturali.
Con le sostanze naturali ad azione nutraceutica
È possibile a questo punto discutere del ruolo delle sostanze naturali ad azione nutraceutica nell’adattamento del bovino da carne da ristallo.
Con l’obiettivo di facilitare l’adattamento e ridurre l’incidenza e la gravità delle problematiche sanitarie e dell’utilizzo degli antimicrobici in condizioni di elevato stress, è stata valutata in una prova di campo e in condizioni rappresentative dell’allevamento del bovino da carne da ristallo, l’efficacia di un pool di estratti naturali (Ecoflorian – Vetoquinol Italia s.r.l., Via Piana, 265 – 47032 Bertinoro - FC) sull’andamento sanitario di 307 ristalli di provenienza francese.
Lo studio è stato condotto in un allevamento di grandi dimensioni ubicato in provincia di Alessandria in condizioni di elevato rischio sanitario. L’indagine si è infatti svolta nel mese di dicembre 2019, in un momento caratterizzato da un turnover estremamente elevato di soggetti, con l’impossibilità di effettuare il vuoto sanitario, di isolare le diverse partite di nuovo arrivo e senza il ricorso all’antibiotico profilassi nonostante la presenza certa di alto rischio sanitario.
I bovini oggetto di indagine, 307 femmine Limousine di peso medio all’arrivo di 301.18±33.22 kg, sono stati suddivisi, per ogni partita, in due gruppi (Tabella 3), omogenei per peso e conformazione, Controllo (156 capi) e Trattamento (151 capi), e sottoposti alla medesima gestione ad eccezione dell’aggiunta alla dieta dei bovini del gruppo trattamento nei primi 30 giorni dopo l’arrivo, del pool di nutrienti ad azione nutraceutica (Ecoflorian – Vetoquinol Italia srl, Bertinoro – provincia di Forlì Cesena), contenente Filipendula ulmaria, Boswellia serrata, Saccharomyces cerevisiae.
I parametri indagati nel corso dell’indagine hanno riguardato la mortalità, la morbilità con relative recidive e i bovini spostati nei box infermeria per una gestione particolareggiata.
I risultati ottenuti evidenziano come il pool nutraceutico si sia rivelato estremamente efficace nel ridurre sia l’incidenza che la gravità della patologia respiratoria.
La morbilità da BRD, elevata se considerata in termini generali ma decisamente normale se rapportata alle condizioni di elevato rischio sanitario come quelle in oggetto, è risultata infatti inferiore nei soggetti del gruppo trattamento rispetto a quelli di controllo.
Sono comunque i dati relativi alla gravità della patologia respiratoria e nello specifico mortalità, bovini spostati nei locali infermeria e ricadute, che hanno evidenziato delle differenze eclatanti ed estremamente importanti tra i due gruppi studio (Tabella 4).
Il pool di sostanze naturali utilizzato ha infatti determinato una riduzione notevole in tali parametri che sono indiscutibilmente gli indicatori più sensibili di salute e benessere degli animali, evidenziando una netta maggiore capacità adattativa dei bovini integrati con il pool di nutrienti ad azione nutraceutica, chiaramente in grado di rispondere in maniera più efficace e rapida agli eventi stressogeni che caratterizzano il trasporto e l’adattamento a nuove condizioni ambientali e sociali nonchè al rischio sanitario connesso.
Un aumento evidente delle performance
In considerazione della rilevante minor incidenza di patologia respiratoria, di ricaduti e di soggetti spostati nei locali infermeria, è assolutamente ipotizzabile che il trattamento abbia anche determinato un aumento evidente delle performance di crescita, parametro purtroppo non rilevato individualmente nel presente studio.
Tale considerazione trova però ampio riscontro in bibliografia da cui emerge chiaramente come la minor crescita che si verifica nei giorni successivi all’arrivo a causa di eventi patologici o difficolta di adattamento in genere, non viene successivamente recuperata nelle fasi seguenti del ciclo di allevamento, rappresentando una perdita netta (Timsit et al., 2012).
Il pronto recupero della piena funzionalità fisiologica, sia immunitaria che metabolica, è infatti un fattore chiave non solo per il benessere degli animali ma anche per la loro crescita ed efficienza produttiva (Timsit et al., 2012).
Emerge pertanto che il considerare anche uno specifico approccio alimentare durante la fase di arrivo, rappresenta una condizione indispensabile per limitare le problematiche sanitarie e che diventa obbligatoria quando in gioco ci sono la salute degli animali e la sicurezza dei consumatori.
Il maggior costo derivante dall’integrazione della dieta di arrivo con sostanze nutraceutiche di comprovata efficacia, oltre ad essere irrisorio viene ampiamente ripagato dalla riduzione della morbilità, della mortalità, della manodopera aziendale, del costo di produzione e dal miglioramento delle performance di crescita. Senza poi considerare gli aspetti commerciali legati ad una gestione sensibile e concentra in merito alle esigenze del mercato e del consumatore e cioè massimo benessere e minor utilizzo di antimicrobici.
La via migliore per ottimizzare
I risultati dello studio evidenziano inoltre altri aspetti importanti e cioè che le strategie nutrizionali, qualsiasi esse siano, non possono certamente eliminare l’utilizzo degli antibiotici ma rappresentano indubbiamente uno strumento efficace da affiancare al miglioramento della biosicurezza, delle strutture, dell’ambiente e del management, al fine di limitarne al massimo l’utilizzo.
Un tale approccio, certamente impegnativo su tutti i fronti ed in primis su quello economico, cela però la piacevole sorpresa di rivelarsi la via migliore per ottimizzare costo di produzione e l’immagine del prodotto finale carne.•